n. 10 -16 giugno 2006

Dalla terra, dal mare, dal cielo: quando l'occupazione divanta massacro quotidiano

"Chi s'è mostrato sorpreso e turbato, alla notizia della strage della spiaggia di Gaza il nove giugno, avrebbe dovuto sapere che tragedie simili si ripetono da troppo tempo. Un esercito che spara missili in strade affollate e tira colpi di cannone contro una spiaggia, non può pretendere di affermare che non aveva intenzione di colpire civili innocenti"
(Gideon Levy, Haaretz 11 giugno 2006)

Non riusciamo a chiudere questo numero di BoccheScucite che già arriva un'altro terribile aggiornamento delle stragi di civili palestinesi (Avvenire le giudica comunque "un buon alibi" e Il Gazzettino afferma "in fin dei conti non sono state provate"). Dopo la spiaggia insanguinata, oggi è dal cielo che arriva la morte per 11 tra donne, inferieri e bambini. Ciò che per la stampa è solo contorno alla più appetitosa notizia del rischio di guerra civile tra fazioni palestinesi, fa esplodere Abu Mazen: "Quello di Israele è terrorismo di stato. Chiediamo all'umanità intera di prestare attenzione a queste aggressini brutali che colpiscono la nostra gnte in ogni istante" (14 giugno). Ecco la nostra chiave di lettura: non solo una strage ma "in ogni istante". E' l'analisi coraggiosa di due giornalisti israeliani che traduciamo per voi.
Forse il volto straziato di Huda, unica sopravvvissuta alla sua famiglia diverrà per un po' un'icona del dolore e del lutto. Una delle tante tragedie che succedono nel mondo. La sua bocca spalancata in un urlo che non ci arriva è un grumo di dolore puro. E forse l'attenzione della stampa sulla sua storia la inchioderà per sempre al momento in cui si è ritrovata in mano gli stracci che avvolgevano le vite della mamma, del papà e dei fratelli. E al dolore per la perdita si aggiungerà la fissazione della sua vita futura a quest'immagine. La bambina con la bocca spalancata da adulta rimarrà la bambina dalla bocca spalancata. E come potrà crescere, proseguire nella vita... chi si interesserà tra dieci anni alle vicende di una donna rimasta bambina con la bocca spalancata? Chissà.
Non vogliamo usare il tuo volto per capire il dolore dei palestinesi, carissima bimba Huda. Vorremmo semplicemente che tutto questo non fosse la quotidianità nella tua terra. Ma invece, nel frattempo, altre stragi si aggiungeranno a questa, altri soprusi, altro sangue.
I civili rimasti a terra, per Huda, erano tutto l'amore che aveva, la famiglia Ghalia.Ecco come un'internazionale italiana, Meri, restituisce loro la loro storia consegnandoli, nello spazio di poche righe, alla Storia:

"Sono andata ai funerali della famiglia Ghalia, li conoscevo, ne conosco molti di loro. Qualcuno di loro lavora con noi nel progetto di gestione e riciclo dei rifiuti. Una famiglia di Beit Lahya che lavora nell'agricoltura, una delle tante famiglie che in questi anni, hanno purtroppo subito attacchi continui nella zona nord di Beit Lahya, una delle zone più colpite da Israele. Hanno pagato con la vita, dei propri cari per aver deciso di rimanere a vivere in quel posto.
Tutta la famiglia era seduta sulla spiaggia, in circolo, si erano portati il cibo per passare una intera giornata al mare, con i bambini. È arrivata la prima bomba sonora, poi la seconda... stavano decidendo di andarsene, avevano paura, ma in quel momento dal mare è arrivata una bomba vera, ha centrato il cerchio, ha preso in pieno il padre, la madre con il piccolo in braccio che stava allattando...pezzi di loro sono volati ovunque, gli altri sono stati colpiti dalle schegge.
Altri tre della stessa famiglia sono morti, molti di loro tra cui altri bambini sono in ospedale, chi ha perso una gamba, chi un braccio...
Uno dei fratelli rimasti in vita, insieme alla piccola che le TV hanno mostrato disperata in cerca del padre, persa sulla spiaggia, è sconvolto, ha 20 anni, vive in una casa, ora rimasta vuota, povera gente.
Una delle sorelle della madre ha perso lo scorso anno 4 figli, nello stesso modo, colpiti mentre ignari giocavano dietro casa.
"Questo è quello che ci tocca a noi " - dice - "noi saremo sempre le vittime di chi sta seduto su una poltrona e decide a che gioco giocare. Noi lo sappiamo che pagheremo sempre per tutti... ma da qui non ce ne andiamo".
I parenti, gli amici e la gente di Al Manshia è tutta li oggi, al funerale di questo ennesimo strazio, a piangere e a contare le vittime, che continuano ad aumentare di ora in ora.
Mi dispiace tanto per loro... ma le scuse non bastano."
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Infatti, mentre il ministro della Difesa israeliano "esprime rincrescimento per le vittime",
sulla stampa israeliana si incidono con coraggio i giudizi di Bradley Burston:

Il sangue sulle nostre mani
di Bradley Burston, Haaretz 12 giugno 2006


È facile per noi, molto, troppo facile, aver passato l’intero fine settimana, e ancora non vedere il sangue sulle nostre mani. Una ragione è che non guardiamo Al Jazeera. Un’altra è che non vediamo davvero noi stessi. Abbiamo trovato immediatamente un sacco di modi per sbarazzarci della tragedia di una famiglia cancellata per il crimine di aver fatto picnic sulla spiaggia.

Un metodo è il Mondiale. Un altro è agire di riflesso. L’inesprimibile angoscia nell’immagine di una ragazza che corre su una spiaggia dove la sua famiglia giace a pezzi sulla sabbia, è stata mostrata ancora e ancora e ancora su Aljazeera, ma è passata rapidamente sugli schermi della televisione israeliana e sulle coscienze di Israele, rimpiazzata in molti casi, con l’indignazione sulla propensione del mondo ad avere dei pregiudizi su Israele e facilmente condannarci.

Non siamo stati noi, ci diciamo. E se siamo stati noi eravamo più che giustificati.

“Rifiuto categoricamente tutti i tentativi di contestare la moralità delle Forze di Difesa israeliane”, dice il Primo Ministro Ehud Olmert, aprendo domenica la riunione del Governo. “La Forza di Difesa israeliana è l’esercito più morale del mondo. Non ha mai condotto una politica di attacco ai civili, e non lo sta facendo neanche oggi.”

Il comandante dell’esercito del fronte di Gaza, Generale Maggiore Yoav Galant, ha detto domenica che “il quadro non è chiaro. Il fuoco dell’artiglieria è stato analizzato bene, e i punti di domanda molteplici a riguardo sei il fuoco dell’artiglieria sia stato la causa dell’incidente”. Diciamo che è giusto, diciamo non è stata colpa nostra. Dice abbiamo messo da parte come irrilevante il fatto che cinque proiettili IDF sono atterrati vicini allo stesso momento, e che la traettoria del sesto è mancante.
Cerchiamo di credere che sia stata solo una coincidenza che quando la radio dell’esercito ha detto che l’indagine deve determinare chi è il responsabile dell’uccisione della famiglia Ghalia, abbia suggerito che le possibilità erano: un missile della artiglieria israeliana, o un razzo palestinese Qassam che è atterrato nell’area per errore.

E già che ci siamo…

Diciamo che il sangue che è sulle nostre mani non è quello di Ali Ghalia, il padre della famiglia, della sua moglie Ra’isa, quattro delle sue figlie, una di due anni, e il suo figlio di otto mesi.

Diciamo che il sangue non è quello di Mohammed Dura, il ragazzino di 12 anni ucciso all’inizio dell’intifada in un fuoco incrociato tra israeliani e palestinesi.

Per ogni Mohammed Dura, ci sono stati centinaia e centinaia di palestinesi uccisi “per errore”, in concomitanza con l’uccisione di terroristi, o a causa della schiacciante forza e tecnologia a distanza applicata dalle truppe israeliane per minimizzare i rischi.

Ma non c’era nessun reporter a filmarli, perciò al mondo non interessa. E neanche a noi. Le loro tragedie non sono meno insopportabili, sicuramente non meno insopportabili delle centinaia delle nostre di cui il mondo non si preoccupa.

Possiamo vivere con esse, come viviamo con l’idea di mandare migliaia e migliaia di proiettili di artiglieria in uno dei distretti più popolati del pianeta, con lo scopo di cercare di colpire un gruppo di tre uomini sparando un razzo non più grande di una scopa… l’equivalente di correre dietro ad una mosca con un trattore. (…)

Noi possiamo conviverci, fondamentalmente, perché non sappiamo cos’altro fare, e perché l’unica cosa che ci rimane da credere, è che è sbagliato negoziare.

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E nell'aula del Parlamento Europeo tuonano i "basta" di Luisa Morgantini:

Basta stragi, basta silenzi
Luisa Morgantini (*), Strasburgo, 14 giugno 2006


"Basta stragi, basta silenzi: subito una soluzione politica per le aggressioni nei Territori Palestinesi. E subito gli aiuti europei al popolo palestinese, che devono essere versati nella loro totalità" lo ha dichiarato Luisa Morgantini, (GUE/NGL), Presidente della Commissione Sviluppo al Parlamento Europeo e membro del Comitato politico dell'Assemblea parlamentare Euro-mediterranea.
"L'Unione Europea e la Comunità Internazionale devono condannare con forza i continui e ripetuti crimini che in questi giorni si stanno perpetuando nella striscia di Gaza e nei Territori Occupati.
L'elenco di morti si fa sempre più lungo, i bambini continuano ad essere un bersaglio di violenze indiscriminate: solo ieri sono state 11 le vittime dei raid israeliani.
Bisogna dire chiaramente basta alle incursioni israeliane su Gaza e ai missili palestinesi sulle città a sud di Israele.
In Palestina non c'è solo una crisi umanitaria, alla quale l'Europa deve far fronte con il ripristino integrale degli aiuti al popolo palestinese, come chiesto dall'Assemblea parlamentare Euromediterranea, nella sua riunione straordinaria del 7 giugno 2006 a Bruxelles, quando ha espresso anche "le sue vive preoccupazioni nei confronti del deteriorarsi della situazione" nei Territori e a Gaza.
Anche la crisi politica interna si fa, infatti, drammaticamente sempre più prossima alla guerra civile.
Il silenzio della Comunità Internazionale è complice di questa catastrofe: cosa si aspetta, ancora, per rilanciare una soluzione politica giusta e sostenibile per entrambe le parti?
Abbiamo bisogno di altre morti per lavorare concretamente per una ripresa effettiva dei negoziati, nel rispetto della Road Map e definitivamente contro ogni piano unilaterale del governo israeliano?
È nostra responsabilità, inoltre, accelerare i tempi per la realizzazione del meccanismo di aiuto proposto dal Quartetto, che riguardi "senza restrizione tutti gli aspetti della vita quotidiana dei palestinesi, incluse le spese relative al pagamento dei salari delle amministrazioni", come ribadito dall'Assemblea Euromediterranea, che chiede anche esplicitamente ad Israele di restituire i soldi dei diritti doganali e delle tasse percepiti per conto dell'Autorità Palestinese.
Se continuiamo a cedere a pressioni di parte, alla negligenza, alla violenza, al silenzio, saremo inevitabilmente sempre più complici di questa catastrofe.

(*) Luisa Morgantini - Presidente Commissione sviluppo al Parlamento Europeo e dell'Assemblea parlamentare Euro-mediterranea
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Ma per noi italiani che andiamo in edicola pensando di leggere magari sul più stimato quotidiano, cosa sta realmente accadendo, può capitare di imbattersi nella mostruosa raccolta di menzogne ad opera del citatissimo Magdi Allam: per lui il muro è una gran bella idea... quasi un'opportunità di pace (ma guardate come un amico di bocchescucite smonta criticamente le sue affermazioni):

In volo sul Muro, identità di Israele
Il "recinto di separazione" aiuta a definire le due realtà nazionali
Magdi Allam, Il Corriere della sera, 29 maggio 2006


dopo lo sgomento, un commento...

"…Dall'alto colpisce la costruzione a testuggine delle città israeliane. Le case in prima linea dispiegate a semicerchio come scudi levati a protezione della retrovia, concepite come roccaforti che devono essere sempre pronte a difendersi da un nemico onnipresente che le assedia da ogni lato, un insieme urbanistico compatto e rinchiuso su se stesso. (...) la paura dell'aggressione terroristica che permea la vita degli israeliani in ogni sua manifestazione e in ogni suo intimo dettaglio ha impresso il suo indelebile marchio nella progettazione urbanistica. (...)

niente di nuovo ... tutto è già successo. questa non è altro che la rappresentazione acritica del controllo e la conquista, ad opera di un popolo, di un territorio in cui ne vive un altro. Niente di nuovo... tutto è già successo, in quelli che oggi chiamiamo Stati Uniti d'America. Le similitudini sono tante, con le dovute contestualizzazioni del caso. La progettazione urbanistica dei forti (gli avamposti militari israeliani) e dei ranch e dei villaggi nel cosiddetto "selvaggio far west" di tanti film americani (i kibbuz e le prime piccole colonie), ricordano paurosamente la colonizzazione della palestina. L'uccisione sistematica dei bufali, fondamentali per l'alimentazione e la costruzione di tende e suppellettili, ricorda l'attualità del blocco economico in atto nei confronti del democraticamente eletto governo palestinese. Le tribù indiane sono state lentamente decimate con guerre e deportazioni, come non ricordare la fuga di 700mila palestinesi nel 1948-49 (circa il 90% dei palestinesi viventi nella palestina della spartizione della risoluzione onu 181). La vendita del whisky ai pellerossa ricorda la diffusione dell'eroina nei campi profughi palestinesi, fenomeno che ha distrutto tanti giovani della prima intifada.

Muro della paura (...) che gli israeliani non chiamano "wall", muro, come è in voga tra i suoi critici e neppure "barrier", barriera, come usano le nazioni unite, ma semplicemente "fence", recinto. Per la precisione "recinto di sicurezza anti-terrorismo", perchè correttamente al 94% consta di tralicci e reti metalliche facilmente rimovibili, soltanto il 6% del tracciato è costituito da un muro in cemento, esclusivamente laddove si è ritenuto indispensabile separare fisicamente dei centri israeliani e palestinesi contigui.

- "gli israeliani": sarebbe interessante capire quali. Probabilmente coloro che ha incontrato il nostro cronista, leggermente di parte, oserei dire ...
- "recinto di sicurezza anti-terrorismo": cito dal parere della corte internazionale dell'aja: "il «muro» in questione costituisce un'opera complessa e pertanto tale termine non può essere inteso nel suo senso fisico stretto. tuttavia, gli altri termini utilizzati da israele ("chiusura") o dal segretario generale dell'onu ("barriera"), presi nella loro accettazione fisica, non sono più esatti. pertanto, nel presente parere, la corte ha scelto di utilizzare la terminologia impiegata dall'assemblea generale". cioè "muro", aggiungo io. ... questa è una guerra di parole, chiamiamolo come vogliamo, la sostanza rimane: il muro è stato condannato, dichiarato illegale. sintomatico che all'interno dell'articolo in questione la legislazione internazionale, su cui la corte dell'aja si è basata per decidere, NON compare.

- "consta di tralicci e reti metalliche": il muro, barriera, recinto, chiusura, ... quando NON è muro in senso fisico, é:
una chiusura fornita di rilevatori elettronici;
un fossato (che potrà raggiungere i 4 metri di profondità);
una strada per pattugliamenti asfaltata a 2 corsie;
una strada che permette l'identificazione di eventuali trasgressori (fatta di sabbia liscia che permette il rilevamento di impronte) parallela alla chiusura;
6 parabordo di fili spinati accumulati che marcano il perimetro delle installazioni;
l'opera ha una larghezza di 50-70 metri, ma può raggiungere 100 metri in alcuni luoghi. si possono aggiungere a tale dispositivo delle barriere dette "avanzate".
- "separare fisicamente dei centri israeliani e palestinesi contigui": NON è esatto, il muro in senso fisico è posto nei punti in cui alcuni centri palestinesi sono contigui ad ISRAELE, cioè alla linea verde. altra cosa è il muro nei pressi di gerusalemme, dove il governo di tel aviv, negli anni, sta concentrando l'opera di colonizzazione, stravolgendo lo status quo della zona. il tutto vietato dalla IV convenzione di ginevra, dalle numerose risoluzioni onu di condanna, dagli accordi di oslo del 93 e dalla road map. Per rendersi conto che il cosiddetto "fence" NON è proprio un recinto "facilmente rimovibile", fate un giro sul sito www.stopthewall.org e sui siti consigliati, uno sguardo alle mappe ed alle foto é FONDAMENTALE per capirci meglio.

(...) la separazione fisica tra israeliani e palestinesi si è resa inevitabile nel momento in cui è apparso del tutto evidente il fallimento di un progetto di pacifica convivenza basato sul mantenimento dello status quo.

Quando è apparso quel momento? Chi l'ha decretato? Mi sfugge il "progetto di pacifica convivenza" ... forse che siano gli accordi di Oslo?

(...) ricordo come la prima volta che mi recai in Israele nel gennaio del 1998, all'indomani dell'esplosione della prima intifada delle pietre, era praticamente impossibile individuare il confine tra Gerusalemme e, rispettivamente, Betlemme e Ramallah.

Per individuare il confine bastava prendere una carta geografica della Palestina con la linea verde. Il fatto che Allam non riuscisse ad individuarlo significa che: o non conosce la linea verde (giornalista ignorante?) o che la conosce, ma la dimentica (giornalista in mala fede?). trovo altresì grave glissare su di un punto BASILARE del conflitto israelo-palestinese: la linea verde è stata stabilita dalla comunità internazionale da cui tutti noi, se vogliamo essere al di fuori delle parti, dobbiamo partire. Una cosa rimane: già all'epoca la trasformazione del territorio intorno a Gerusalemme era significativa.

perchè vi era una continuità abitativa e un'assenza di confini naturali, eccezion fatta per i posti di blocco israeliani che cominciavano a spuntare per controllare il territorio.

naturalmente! Trattasi di territorio occupato, come tale le truppe militari occupanti svolgono il loro compito. Spiazzante la sincerità del cronista che parla di pagliuzza, ma non s'avvede del tronco, a conferma del fatto che NON si tratta di giornalista ignorante, NON si tratta di giornalista in mala fede ... trattasi di giornalista DI PARTE.

una realtà che aveva fatto immaginare a Abba Eban, l'ex ministro degli esteri israeliano e anche al suo successore Shimon Peres, che si potesse dar vita a una sorta di benelux mediorientale, creando un'entità politico-economica integrata tra Israele, la Giordania e il futuro stato palestinese. Un sogno che si è tragicamente infranto dopo il tradimento di Arafat nel 2000, che ha privato i palestinesi di un'opportunità storica per avere il loro stato.

era parecchio che non saltava fuori il fallimento del negoziato di Camp David del luglio del 2000 con Arafat, Barak (l'allora premier laburista) e Clinton (presidente usa) a mediare. negoziato che uccise le speranze, per chi le nutriva, di pace degli accordi di Oslo. Tutti i cronisti del corriere hanno sempre scaricato la colpa ad Arafat. Vorrei credere che lo abbiano fatto senza MAI guardare una mappa che evidenziasse le proposte israeliane, vorrei... infatti è tipico del giornalista di parte fidarsi ciecamente di coloro in cui credono, vorrei... aggiungo solo che le proposte di Barak non contemplavano capitale dello stato palestinese Gerusalemme est, non concedevano confini autonomi e controllo sul proprio spazio aereo e acqueo, evitavano di esaminare il problema dei profughi, e... il confine proposto RICALCAVA PAUROSAMENTE l'attuale tracciato del muro... semplicemente è la politica delle proposte inaccettabili.

chi di voi sa che il 75% della popolazione israeliana è rinchiusa nella stretta fascia costiera che va da Hadera a Ashdod, ampia non oltre 10 km? un ghetto nel ghetto che lo stesso Abba Eban definì la "Auschwitz di Israele", dato l'assedio e la minaccia di morte constante che grava sullo stato ebraico. Come non comprendere la priorità della sicurezza di Israele?

- "la stretta fascia costiera (...) ampia non oltre 10 km": sono in realtà 15 e... tale calcolo SI EVINCE partendo dalla linea verde... Allam la conosce, quindi, ma non la cita. Esemplare.
- la collocazione della popolazione ebraica nella parte di palestina diventata Israele, tuttora ricalca quella degli anni 20-40 del secolo scorso, anni dell'esplosione dell'insediamento ebraico con l'occupazione e/o l'acquisto dei terreni migliori, più fertili. Territori quindi dove piove più spesso e la vita è più facile e gradevole. Ai più pignoli consiglio uno sguardo alla mappa della spartizione della risoluzione onu 181 del 1947: nel territorio assegnato allo stato ebraico, il 56% della palestina interessata, vivevano il 99% degli ebrei, che ne avevano acquistato SOLO il 7%!

piaccia o meno, ma il tanto diffamato "muro" non solo ha salvato tante vite umane, ma rappresenta la base certa di un'identità nazionale, per gli israeliani e per i palestinesi, che finora non aveva un riferimento territoriale. non perché il "muro" costituisce il tracciato dei confini definitivi, ma perché per la prima volta permette di individuare concretamente dei confini. La separazione fisica è un passaggio inevitabile, un trauma che non si è potuto evitare per consentire ai 2 popoli di accreditare una identità nazionale chiaramente autonoma e definitiva, ponendo delle nuove basi per accettarsi, come stati indipendenti, ma non più nemici.

fine dell'articolo. Ribadisco, tutto ciò è la ripetizione perfetta della politica israeliana. Nel 1988 Arafat e l'olp riconobbero lo stato d'Israele e stiamo ancora aspettando che un governo israeliano riconosca lo stato palestinese... sulla base del diritto internazionale e delle risoluzioni onu. Tutto già scritto negli accordi di Oslo...
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UN ULTIMO DOCUMENTO ci è stato chiesto di pubblicare: i prigionieri palestinesi aprono al dialogo, mostrano che gli interlocutori ci sono e hanno idee concrete e davvero possibili. È la pesante situazione del Referendum proposto da Abu Mazen e rifiutato da Hamas. Ne riparleremo prossimamente su BoccheScucite.

Il documento politico elaborato dai prigionieri palestinesi di tutte le organizzazioni e reso noto da Marwan Barghouti
Documento della concordia nazionale palestinese

- Con alto sentimento di responsabilità nazionale e storica, in vista dei pericoli che circondano il nostro popolo, per rafforzare il fronte interno palestinese, e per mantenere e proteggere l’unità nazionale e l’unita del nostro popolo in patria e nella diaspora.

- Per fronteggiare il piano israeliano di imporre una soluzione unilaterale, che farebbe saltare il sogno del nostro popolo e il diritto a costruire il suo Stato Palestinese indipendente a piena sovranità. Tale piano, che il governo israeliano intende attuare nella prossima fase, si fonda sulla costruzione del muro del apartheid, l’ebraicizzazione di Gerusalemme, l’allargamento delle colonie israeliane, l’appropriazione della valle del Giordano, l’annessione di gran parte della Cisgiordania e la negazione al nostro popolo del diritto al ritorno.

- Per conservare ciò che il nostro popolo ha conquistato durante la sua lunga lotta, nel rispetto dei nostri martiri, delle sofferenze dei nostri prigionieri e dei nostri feriti. La nostra è una lotta di liberazione nazionale il cui carattere fondamentale è quello patriottico democratico. Ciò impone una strategia politica di lotta adatta a questo carattere.

-Per contribuire alla riuscita del dialogo nazionale palestinese, che si basa sulla dichiarazione del Cairo, e su una pressante necessità di una solida unità, presentiamo questo documento (Documento della Concordia Nazionale) al nostro magnifico e resistente popolo, al presidente Mahmuod Abbas, alla direzione del OLP, al presidente del governo Ismail Hanieh, al consiglio dei ministri, al presidente del Consiglio Nazionale Palestinese (CNP) e ai suoi membri, al presidente del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP) e ai suoi membri, a tutte le organizzazioni e alle forze palestinesi, a tutte le strutture, alle organizzazioni pubbliche e private, a tutti coloro che orientano l’opinione pubblica palestinese in patria e nella diaspora.

Con l’auspicio di considerare questo documento integralmente, e di ricevere l’appoggio, il sostegno e l’approvazione di tutti, come contributo fondamentale, perché sia adottato quale documento della Concordia Nazionale Palestinese:
Il popolo palestinese in patria e nella diaspora si sta adoperando per liberare la sua terra e realizzare il suo diritto alla libertà, al ritorno, all’indipendenza, all’autodeterminazione, alla creazione del suo stato indipendente con capitale Gerusalemme su tutti i territori occupati nel 1967. Garantire il diritto al ritorno dei profughi, la liberazione di tutti i prigionieri e i detenuti in base al diritto storico, che il nostro popolo ha sulla terra dei suoi padri e dei suoi antenati, già garantito dalla carta delle nazioni unite, dal diritto e dalla legalità internazionali.
Sollecitare la realizzazione di ciò che stato concordato al Cairo nel marzo 2005, concernente lo sviluppo e l’attivazione dell’OLP su principi democratici e con l’entrata dei movimenti Hamas e Jihad islamico nell’OLP, in quanto essa è l’unico legittimo rappresentante del popolo palestinese ovunque esso si trovi. Si devono per questo prendere in considerazione i cambiamenti in Palestina, in modo da riaffermare una vera rappresentanza dell’OLP come unico legittimo rappresentante del nostro popolo, e per rafforzare la sua capacità a condurlo con responsabilità in patria e nella diaspora, di mobilitarlo per la difesa dei suoi diritti nazionali, politici e umanitari, nelle varie istanze internazionali e regionali. L’interesse nazionale necessita della formazione di un nuovo CNP prima della fine del 2006, che garantisca la rappresentanza proporzionale di tutte le forze, le organizzazioni, i partiti patriottici e islamici, i raggruppamenti del nostro popolo in qualsiasi luogo e in qualsiasi settore, e le capacità individuali. Tale rappresentanza si basa sulla presenza e sull’efficacia combattiva, politica, sociale e di massa, mantenendo l’OLP come un riferimento politico superiore composto da un ampio fronte di alleanza patriottica globale e un luogo nazionale unificante dei palestinesi, in patria e nella diaspora.
Il popolo palestinese afferma il suo diritto alla resistenza, al mantenimento di questa scelta con tutti i mezzi concentrandola nei territori occupati nel 1967, affiancandola al lavoro politico di negoziato e diplomatico, continuando la resistenza popolare e di massa contro l’occupazione in tutte le sue diverse forme. Particolare attenzione bisogna porre all’allargamento della partecipazione dei vari strati sociali a questa resistenza popolare.
Elaborare un piano palestinese per un lavoro politico globale. Unificare l’azione politica basandosi su un programma di accordo nazionale palestinese, sulla legalità araba e sulle risoluzioni internazionali, che diano giustizia al nostro popolo, rappresentato dall’OLP, dall’Autorità Nazionale, dal Presidente e dal Governo, dalle organizzazioni patriottiche e islamiche, dall’organizzazione della società civile, dalle personalità, e dagli enti pubblici. Tale programma deve richiamare e rafforzare il sostegno arabo, islamico, politico economico, umanitario, internazionale a favore del nostro popolo e dell’A.N.P. tutto questo a favore del diritto all’autodeterminazione, alla libertà, al ritorno e all’indipendenza, per fronteggiare il piano israeliano di imporre una soluzione unilaterale ai Palestinesi e per respingere l’ingiusto assedio del nostro popolo.
Proteggere e rafforzare l’A.N.P. come nucleo del futuro Stato; questa Autorità che il nostro popolo ha costruito con la sua lotta e i suoi sacrifici, che sono costati sangue e sofferenze ai propri figli. Il supremo interesse nazionale impone a tutti il rispetto della Costituzione provvisoria di questa Autorità, delle leggi vigenti, delle responsabilità e delle prerogative del Presidente eletto tramite elezioni libere, democratiche e trasparenti, e di quelle del Governo che ha ottenuto la fiducia del Consiglio Legislativo. Si ritiene importante e necessaria una creativa collaborazione tra la Presidenza e il Governo, per un lavoro comune attraverso incontri periodici che risolvano ogni divergenza con un fraterno dialogo che tenga conto del supremo interesse nazionale e rispetti la Costituzione provvisoria. Altrettanto necessario è procedere ad una riforma globale in tutte le strutture dell’A.N.P. ed in particolare dell’apparato giudiziario rispettando la magistratura a tutti i livelli, attuando le sue decisioni, rafforzando e applicando il diritto.
Formare un governo di unità nazionale in modo che garantisca la partecipazione di tutti i gruppi parlamentari, in particolare dei due movimenti Fatah e Hamas e di tutte le forze politiche che desiderino aderire a questo documento e ad un programma comune per far risorgere la questione palestinese a livello interno, arabo, regionale e internazionale. Affrontare le sfide in atto con un Governo patriottico forte dell’appoggio politico e popolare di tutte le forze palestinesi, nonché del sostegno arabo e internazionale. Sia capace di attuare il programma di riforma lottando contro la povertà e la disoccupazione e che ponga maggiore attenzione possibile agli strati popolari, che hanno sopportato gli sforzi della resistenza e dell’intifada, e che sono vittime della criminale aggressione israeliana, in particolare le famiglie dei martiri, dei detenuti, dei feriti, dei proprietari delle case e dei beni distrutti dall’occupante e che ponga particolare attenzione al problema della diffusa disoccupazione.
La gestione delle trattative è una prerogativa dell’O.L.P. e del Presidente dell’A.N.P. e devono basarsi sul mantenimento dei nostri obiettivi nazionali, realizzarli a condizione che ogni accordo sul nostro destino abbia l’approvazione del nuovo Consiglio Nazionale Palestinese oppure, ove possibile, attraverso un referendum.
Liberare i prigionieri e i detenuti è un sacro dovere nazionale che spetta, utilizzando tutti i mezzi possibili, alle forze politiche, alle organizzazioni patriottiche e islamiche, all’O.L.P., all’A.N.P., al Presidente, al Governo, al Consiglio Legislativo e a tutte le formazioni della resistenza.
È necessario adoperarsi e raddoppiare gli sforzi a sostegno e in appoggio ai profughi e alla difesa dei loro diritti, per un Congresso Popolare rappresentativo dei profughi che nasca da strutture che hanno la funzione di riaffermare il diritto al ritorno, invitando la comunità internazionale ad attuare la risoluzione n. 194 dell’ONU, concernente il diritto al ritorno e il risarcimento.
Lavorare per la formazione di un fronte unificato (sotto il nome di Fronte di Resistenza Palestinese) che guidi la resistenza contro l’occupante, unificando e concertando il lavoro e l’azione e costituisca un referente politico unico.
Mantenere il metodo democratico attraverso elezioni periodiche a suffragio universale, libere, trasparenti e democratiche per eleggere il Presidente, il Consiglio Legislativo, i Consigli locali e comunali, nel rispetto delle leggi e del principio dell’alternanza pacifica delle forze al potere. Proteggere l’esperienza democratica palestinese rispettandone le scelte e le sue conseguenze, la sovranità della legge, le libertà private e pubbliche, la libertà di stampa e l’uguaglianza fra i cittadini nei diritti e nei doveri, senza discriminazione. Proteggere inoltre le conquiste delle donne rafforzandole e sviluppandole.
Rifiuto e condanna dell’ingiusto assedio al nostro popolo perpetrato dagli Stati Uniti e da Israele invitando i popoli arabi e i loro governi a sostenere i Palestinesi, l’O.L.P. e l’A.N.P. e richiamare i governi arabi ad applicare le risoluzioni politiche, finanziarie, economiche e d’informazione adottate dai vertici arabi in appoggio e sostegno al popolo palestinese, alla sua fermezza, alla sua resistenza e alla sua causa nazionale, riaffermando che l’A.N.P. è legata all’unanimità araba e al lavoro arabo congiunto.
Invito al popolo palestinese a consolidare l’unità, l’appoggio e il sostegno all’O.L.P., all’A.N.P., al Presidente e al Governo. Rafforzare la fermezza e la resistenza contro l’occupazione e l’assedio, rifiutando l’ingerenza altrui negli affari interni palestinesi.
Ripudiare tutti i fenomeni di divisione e di scontro e tutto ciò che potrebbe portare alla guerra civile. Condannare l’uso delle armi per risolvere i conflitti interni e proibirne l’uso tra figli dello stesso popolo, riaffermare la sacralità del sangue palestinese e l’impegno al dialogo come unico mezzo per risolvere le divergenze. Garantire la libertà di espressione con tutti i mezzi, compresa l’opposizione all’A.N.P. e alle sue delibere, negli ambiti della legge, del diritto alla protesta civile e all’organizzazione di manifestazioni e comizi, a condizione che siano pacifici e senza armi, che non aggrediscano i cittadini e che non danneggino beni privati o comuni.
L’interesse nazionale impone la necessità di cercare i metodi migliori e più opportuni per proseguire la partecipazione del nostro popolo e delle sue forze politiche della striscia di Gaza (nella sua nuova situazione) alla battaglia di libertà, di indipendenza, per il diritto al ritorno e per la liberazione. Questo, costituisce una vera forza di fermezza e di resistenza del nostro popolo, in Cisgiordania e Gerusalemme. Riteniamo che l’interesse nazionale imponga altresì la rivalutazione dei metodi di lotta per resistere all’occupazione.
È necessario riformare e sviluppare le istituzioni di sicurezza palestinesi in tutti i suoi rami, su principi moderni e renderli più capaci nello svolgimento della missione di difesa della patria e dei cittadini. Affrontare l’aggressione e l’occupazione. Garantire la sicurezza pubblica e l’applicazione delle leggi per mettere fine allo stato di disordine e alla mancanza di sicurezza. Sequestrare le armi fuori legge. Mettere fine alle manifestazioni armate, sequestrare le armi del disordine e della mancanza di controllo della sicurezza che danneggiano gravemente la resistenza, deformandone l’immagine e minacciando l’unità della società palestinese. Tutto questo implica la necessità di concertare e organizzare i rapporti tra le forze e le formazioni della resistenza, proteggere le sue armi e regolarne il possesso.
Si invita il Consiglio Legislativo a continuare ad emanare leggi che organizzino l’operato degli apparati di sicurezza in tutti i suoi rami. Emanare una legge che vieti l’esercizio del lavoro politico e di partito ai membri di questi apparati e che li obblighi a far riferimento al potere politico eletto secondo la legge.
Ci si adoperi per allargare il ruolo e la presenza politica dei comitati di solidarietà internazionali e dei gruppi amanti della pace che sostengono la fermezza e la giusta lotta del nostro popolo, contro l’occupazione, la colonizzazione e contro il Muro dell’apartheid, per l’applicazione della sentenza della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja concernente lo smantellamento del Muro, della colonizzazione e che ne ha dichiarato l’illegalità.
Questo documento stilato l’ 11 maggio 2006 è stato firmato da:
Movimento di liberazione nazionale palestinese (Fatah), On. Marwan Barghouti segretario di Fatah in Cisgiordania.
Movimento di resistenza islamica (Hamas) Suprema Direzione, Sceicco Abed al Khaleq Alnatsha
Movimento Jihad islamico, Sceicco Bassam Al Saadi
Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, Abed Alrahim Mluh membro del Comitato Esecutivo, vice Segretario Generale
Fronte Democratico, Mustafah Badarne.

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