Saluto inaugurale

28 aprile 2001
Mons. Diego Bona

CONGRESSO NAZIONALE PAX CHRISTI

Marina di Massa, 28 aprile - 1 maggio 2001

Ogni Congresso di Pax Christi, che ritorna ogni quattro anni, risente inevitabilemente del clima e della situazione sociale in cui vive.
Quello del '93 veniva pochi giorni dopo la scomparsa di don Tonino e la sua presenza si faceva tangibile nella memoria, nell'affetto profondo, nelle indicazioni che emergevano dai suoi interventi durante il servizio di Presidenza.
Quello del '97 risentiva da una parte della fine della guerra di Bosnia e della sua cieca violenza, un incubo che aveva condizionato le coscienze dell'Occidente, mentre raccoglieva le inquietudini crescenti sul tema della diversità (l'umanità non ha ancora imparato a convivere con la diversità) e registrava la fatica del dialogo ecumenico a Graz.
Quest'anno il Convegno, giunge in una stagione in cui non emergono fatti così macroscopici da polarizzare l'attenzione, anzi si assiste ad una sorta di disattenzione ai grandi problemi dell'umanità, ad un pragmatismo diffuso nella risoluzione dei problemi, ad una forma di acquiescienza da parte della maggioranza della gente, quasi: un'omologazione al modello esistente che pur non piace molto ma, di fatto, è l'unico che sembra possibile.
I problemi ci sono e gravi:
La proporzione dell'80 a 20 nella distribuzione delle risorse con la povertà che cresce anche in Italia; la guerra infinita in Terrasanta; l'Africa che muore tra conflitti e AIDS; la drammatica situazione della Colombia; la nuova schiavitù della prostituzione (tratta di minori e donne).
Sembra che tutto questo non interessi più di tanto:
o perché è lontano e non ci tocca direttamente;
o perché sembra che non ci possiamo fare niente.
Vorrei evidenziare due aspetti che mi sembrano macroscopici ed inquietanti:
il primo riguarda l'attuale sperequazione del mondo, con un sistema economico che taglia fuori dall'accesso al necessario per una vita dignitosa i 2/3 dell'umanità, con la prospettiva di un allargamento sempre più ampio che divide i garantiti da quelli che non lo sono. Quello che più preoccupa è assistere ad una larga acquiescenza a questo sistema, quasi si trattasse di dato scontato ed irreversibile, anzi positivo, convinzione abilmente manovrata da chi ha interesse ed alimentata da una mentalità consumistica che ne garantisce la stabilità. Si levano voci forti ed autorevoli a contestarlo e c'è un fermento di base, anche se ancora confuso e scoordinato, ma non si può negare una larga disattenzione o peggio una omologazione a questa deriva liberistica.
L'altro aspetto, che ci tocca anche più da vicino, come movimento di pace, lo troviamo nel pragmatismo con cui viene affrontato il tema della pace. Sembra che siano gli eserciti quelli che di fatto difendono la pace e che, comunque, senza di loro, essa non può mantenersi. Ad una distanza abissale dalla promessa di Isaia "...non si eserciteranno più nell'arte della guerra..." e dal comando di Gesù: "...rimetti la spada nel fodero!".
Anche la "ingerenza umanitaria", pur legittima a certe precise condizioni, rischia di offrire un ritorno della guerra giusta, una palla al piede che ha condizionato per secoli teologia e politica.
Se pensiamo a certe stagioni della nostra storia: la protesta corale del mondo per i fatti del Vietnam, l'appassionato dibattito sulla guerra del Golfo, l'attenzione alla fatica dell'America Latina ai tempi di Romero, quel grido che è risuonato all'Arena di Verona "In piedi costruttori di pace!", ci sembra, questa, una stagione povera di profezia, debole di sparanza, scarsa di coraggio e di audacia.
E' una bassa marea che avvertiamo un po' ovunque:
meno dibattito nella Comunità cristiana
una politica di contrapposizione senza tensione ideale (pace, sviluppo, solidarietà marcano il passo) anche il fronte della società civile, gruppi, associazioni, hanno perso parte della loro capacità critica, propositiva ed utopica…
Pax Christi risente anch'essa di questo calo di tensione.
Avvertiamo che non possiamo restare così.
Veniamo dalla celebrazione della Pasqua, che è la novità delle cose: (pietra rovesciata, lo sconcerto e la speranza che rinasce, l'annuncio che diventa irresistibile…).
Per di più è la prima Pasqua del nuovo millennio ed ogni inizio è carico di attesa e speranze (la pacifica convivenza dei popoli, la dignità umana per tutti, l'unità delle Chiese cristiane…).
Nel messaggio di Pasqua, il Santo Padre ha detto: "...con gioia e stupore vediamo che il mondo non è più schiavo di eventi ineluttabili".
A Tor Vergata aveva detto ai giovani: "Voi non vi rassegnerete!"
Tutto questo diventa per noi, per il nostro Movimento, una domanda e un interrogativo pressante, un richiamo forte ed urgente.
Penso a quel fatto che riporta all'Evangelo di Giovanni, quando Maria Maddalena va dagli apostoli a dire che il sepolcro è vuoto e il Signore non c'è più. Un annuncio sconvolgente e Pietro e Giovanni si mettono a correre per andare a vedere. E tutto ha avuto un nuovo inizio…
In questo Congresso nazionale ci proponiamo di risalire alla sorgente che è la Parola, il Vangelo della pace, metterci in ascolto attento per accogliere quello che il Signore dice a noi qui ed oggi. Parola che è pioggia e rugiada ma anche fuoco e martello, spada a due tagli che penetra fin dentro le giunture.
Per riprendere a correre, come in altre stagioni di Pax Christi, un riprendere a correre che richiede indicazioni chiare del Congresso, voglia di impegno personale e forte determinazione dei Punti Pace.
Si tratta di rimettere in moto le cose, attizzare il fuoco che sembra sonnecchiare, riscoprire gli interrogativi che la realtà ci pone, solidali con i compagni di viaggio che troviamo camminare sulla stessa direzione (per citarne due: la Rete Lilliput, che qui si è data convegno ad Ottobre; il Forum sociale mondiale di Porto Alegre del Gennaio u.s.).
Un Congresso che chiede la collaborazione di tutti. Buon lavoro, allora!

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