Relazione del Coordinatore Nazionale di Pax Christi
CONGRESSO NAZIONALE
Marina di Massa, 29 aprile
C'è sempre una certa trepidazione nel relazionare al Congresso. Non che il coordinatore si senta sul banco degli imputati e avverta gli sguardi e le presenze come giudici indagatori, pronti ad emettere la sentenza. Fosse così, io utilizzerei la formula classica degli avvocati d'ufficio: "Mi rimetto alla clemenza della corte". E non crediate che una locuzione di questo genere sarebbe per me un atto di arrendevole sottomissione, piuttosto la definirei uno scatto d'astuzia in quanto conosco per certa la bontà d'animo, la capacità di solidarietà e la vicinanza che contraddistingue la gente di Pax Christi. Ma niente di tutto questo! La trepidazione nasce piuttosto dalla preoccupazione di poter riferire con puntualità su tutto ciò che i diversi livelli del movimento sono stati capaci di realizzare in questi quattro anni che sono trascorsi dall'ultimo bel congresso tenutosi a Rimini dal 24 al 27 aprile 1997. Inoltre non vi nascondo che proprio in queste occasioni avverto con maggiore evidenza tutto il peso della responsabilità che comporta il ruolo che mi si chiede di svolgere come coordinatore nazionale di un movimento che tanti riconoscono come rilevante per la crescita della sensibilità per la pace da parte della società e della comunità cristiana che vivono in questo Paese. Da circa 50 anni Pax Christi tenacemente annuncia la verità della Pace in nome di un mandato che lo stesso Maestro ha consegnato ai suoi discepoli. Nel corso di questi anni lo Spirito Santo ha fatto in modo che, pur tra mille difficoltà e fatiche, diffidenze e incertezze, questa sensibilità andasse crescendo e vedesse persino la nascita di altri soggetti all'interno delle istituzioni e nella società civile che, con sfumature differenti, si proponessero i medesimi obiettivi di costruzione della pace. Questo è stato possibile grazie a tanti testimoni che hanno offerto il loro contributo e hanno dato la loro stessa vita per questa causa. Prima ancora che ai presenti - pertanto - vorrei che il nostro pensiero traboccante di gratitudine andasse a Gigi De Simone, a don Tonino Bello e a don Giorgio Pratesi, solo per ricordare gli ultimi nostri compagni di viaggio che seguono i lavori di questo congresso godendo a pieno della Pace che hanno annunciato con la vita. Sentirsi eredi di queste persone, ci fa maggiormente avvertire il senso del nostro limite. Solo qualche giorno fa scrivendo un messaggio alle comunità del Cusio che si accingevano a fare memoria di don Tonino confidavo i miei sentimenti prendendo in prestito l'immagine che un amico mi confidava tempo fa parlando della nostra comune amicizia con quel vescovo così speciale: "Ci siamo sentiti come nani portati sulle spalle da un gigante!" Ecco, a me sembra che questa metafora dica bene della nostra mediocrità che la profezia di don Tonino è riuscita ad aprire a orizzonti nuovi per i quali vale la pena ancora oggi spendersi. In verità non ci ha indicato nulla che già non conoscevamo e di cui non avevamo già letto nella Parola di Dio e nella sapienza dei popoli. Solo che, stando sulle sue spalle, abbiamo intuito che era possibile realizzarlo. Era possibile percorrere le terre prima intuite e poi intraviste. Era possibile:
- vivere la nostra appartenenza alla famiglia umana e alla comunità cristiana indossando il grembiule con lo stile del Maestro e farsi realmente compagni di strada dei più poveri;
- levare alta la voce degli oppressi;
- divenire "agenzie periferiche della comunione trinitaria";
- riconoscere il volto dell'altro;
- provocare nuove convivialità delle differenze...
Ora non siamo più sulle sue spalle e siamo tornati a percorrere la strada con i nostri piedi. Però conosciamo la direzione, la fatica e l'entusiasmo e procediamo in maniera più convinta.
Sempre nell'ordine delle premesse vorrei chiedere a tutti umilmente perdono per il calo di speranza (un vero e proprio momento di sconforto) che mi ha colto nei giorni scorsi allorquando mi rendevo conto che il numero degli iscritti a questo congresso non cresceva e, a distanza di pochi giorni, restava al di sotto delle cento presenze. Siamo molti di più! La presenza numerosa, partecipata e consapevole, è più che una semplice testimonianza. La leggo come la consapevolezza del compito di annunciare la pace cui veniamo continuamente sfidati dalla storia e dalla cronaca, come la volontà di raccogliere il testimone che altri ci consegnano, come un senso di responsabilità nei confronti delle generazioni future. Di questo ringrazio ciascuno di voi.
In genere in questa relazione il coordinatore nazionale è chiamato a tracciare un bilancio di quanto è stato realizzato in questi ultimi quattro anni e degli obiettivi che sono stati raggiunti, indica i nodi problematici e traccia una proposta per il cammino futuro del Movimento. Facendo a meno di una ripartizione così rigida e schematica io vorrei dedicare poco tempo all'esposizione delle cose realizzate per fornire - semmai - qualche elemento per una programmazione futura, qualche suggerimento che favorisca i lavori dei gruppi di questo pomeriggio. E' il primo Congresso del nuovo millennio: è vitale leggere alcuni segnali di cambiamento per adeguare la nostra azione e renderla più significativa.
La spiritualità
Per la preparazione di questo congresso già nel marzo dello scorso anno abbiamo scritto a 47 nostri amici, compagni di strada che per la maggior parte formalmente non fanno parte di Pax Christi ma con i quali abbiamo incrociato tante volte il passo in occasione di qualche iniziativa o per impegni continuativi come Campagne o altro. Rivolgevamo loro una domanda semplice: ci stiamo preparando al congresso e vorremmo chiedervi un aiuto: "Cosa chiedete ad un movimento che ha la natura e le finalità di Pax Christi?" Ebbene, di quelli che hanno risposto, sono stati molti a sottolineare l'importanza per tutti oggi di ritrovare motivi di speranza, significati e motivazioni nuove per riprendere il cammino con rinnovato slancio. Ci hanno chiesto di rafforzare un'identità di Pax Christi che, nel panorama variegato delle organizzazioni per la pace, apportasse il contributo specifico di chi, per la propria azione di costruzione della pace, trae ispirazione ed energia dalla fede nel Risorto. Le tesi congressuali vanno lette e interpretate con l'occhio del dossier che è apparso sul numero di marzo di Mosaico di Pace. E' per questo che come pellegrini abbiamo voluto risalire il corso d'acqua per riconoscere e ritrovare la fonte, la sorgente. Siamo invitati a prendere maggiore coscienza che è la Parola che ci convoca e ci invia a costruire la pace. Mi auguro che questo orientamento per nessuno sia indizio di rientro nei ranghi e di rifugio intimistico entro la cinta muraria di una spiritualità disincarnata seppur devota. D'altra parte la lettura delle tesi smentiscono senza equivoco alcuno un'interpretazione di questo genere. Fanno emergere semmai l'impeto di un'eversione evangelica che porta a moti nuovi di conversione verso i sentieri di Isaia tanto la vita di ciascuno di noi quanto il cammino delle nostre comunità di appartenenza.
Sono convinto che domani il cardinal Piovanelli ci offrirà indicazioni luminose per segnare un percorso in questa direzione, ma noi già abbiamo piena consapevolezza che la pace sarà sempre un frutto acerbo se inteso come risultato dei nostri sforzi e che lo riconosceremo come frutto maturo solo se lo accoglieremo come dono - SHALOM - del Dio che "stronca le guerre", che "dirige i nostri passi sulle vie della pace", che "ascolta il grido del suo popolo", che ci fa osare nuovi e inesplorati camminamenti.
Ritengo che ci sarà sempre più bisogno nei prossimi anni di riferirci in maniera più esplicita a queste radici per poter cogliere la bellezza, il fascino e il profumo dei rami di mandorlo.
Ricercatori umili di segni di speranza
Accanto alla richiesta di una maggiore evidenza delle radici della spiritualità che sostiene l'impegno dei costruttori di pace, il sussurro che si levava dalle risposte ricevute era quello di alimentare la speranza, di aiutare a ritrovarne dei segni che rianimassero il cammino. Troppe volte, insomma, ci sembra che il cammino delle chiese e delle istituzioni politiche nazionali e internazionali non forniscano motivi di speranza, si attardano piuttosto nelle piazzole rassicuranti della prudenza invece che osare la profezia, inclini ad equilibrati dosaggi di diplomazia attenta a non urtare la suscettibilità di nessuno, piuttosto che annunciare e affermare la verità della pace… Anche quando un fiore sembra sbocciare, somiglia più a quelli di serra inodori che vediamo sulle corone dei funerali, piuttosto che quelli spontanei e freschi dei rami di mandorlo che adornano le campagne assolate. Il cammino è frequentemente frenato da motivi di opportunità più che sospinto dal vento impetuoso del cambiamento. Rimane da chiedersi se abbiamo orecchi esercitati all'ascolto del grido di un'umanità dolente che costituisce la maggioranza degli abitanti del pianeta! E mai come oggi, in un clima di violenza diffusa, ci rendiamo conto di quanto il sistema produca guasti più profondi di quel che si immagina e che presenta puntualmente il conto dei suoi dissesti non soltanto nelle zone del sud del mondo, dove i danni sono macroscopici e si calcolano con i milioni di morti per fame che sembrano invisibili agli occhi di chi deve informarci, quanto anche per i dissesti che va creando anche nel nord del mondo e che divengono solo più evidenti e preoccupanti quando sfociano in fatti di cronaca che ci colgono di sorpresa. I danni maggiori sembrano crearsi proprio "nel cuore dell'uomo" per usare un linguaggio biblico! Ed è una lenta mutazione che si evidenzia come insoddisfazione profonda, solitudine, depressione, pazzia, violenza…
In tutto questo ci viene richiesto di rintracciare e porre segni di speranza, fiaccole ( se non fari) che illumino la via e ci dicano che ne vale la pena, anzi che rinnovino il nostro entusiasmo al cammino, che invitino a proseguire.
…negli ultimi quattro anni
Dalle mine…
Ebbene, se io fossi un bravo coordinatore nazionale e mi convincessi che vale la pena relazionare con dovizia di particolari e con precisione maniacale sulle attività svolte in questi ultimi quattro anni trascorsi dall'ultimo bel congresso di Rimini dal 24 al 27 aprile 1997, vi direi che proprio quell'anno si concludeva con importanti successi per la Campagna per la messa al bando delle mine antipersona cui nel 1993 avevamo dato vita insieme ad altre quattro organizzazioni. Nel dicembre di quell'anno il Parlamento approvava la legge italiana per la totale messa al bando di produzione, stoccaggio, esportazione e uso di quegli ordigni micidiali, ad Ottawa veniva siglato il Trattato internazionale e a Oslo veniva ritirato il Premio Nobel per la Pace che era stato assegnato proprio a Jody Williams e alla Campagna Internazionale. Il percorso faticoso ed affascinante che ha accompagnato quella Campagna mi pare alquanto paradigmatico per i discorsi che andiamo facendo. Infatti dal punto di vista dei calcoli umani quella Campagna non valeva il nostro impegno per una serie di "serie" ragioni. I nostri interlocutori erano soprattutto le istituzioni politiche che manifestano una tragica miopia (questi giorni di campagna elettorale ne sono la riprova) su queste tematiche, gli uomini di partito sono prevalentemente preoccupati di raccogliere il consenso e una questione come quella non avrebbe favorito granché la crescita del numero dei voti… Insomma soltanto degli illusi potevano pensare di poter far iscrivere nell'agenda della classe politica, non solo italiana, un tema come quello delle mine! All'interno del cosiddetto pacifismo non mancò chi con analisi profonda e saggia manifestò la propria perplessità - quando non vero e proprio dissenso - perché un impegno per la messa al bando delle mine lasciava passare l'idea che ci fossero armi buone e armi cattive (classificate inumane) mentre la contestazione doveva rivolgersi all'intero sistema della guerra globalmente inteso. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e sono convincenti se è vero che anche di recente il Parlamento ha approvato una legge che prevede un finanziamento per le azioni di sminamento umanitario, che la sensibilizzazione sul problema ci ha portato non solo in tante piazze d'Italia, ma anche in tante scuole, oratori, centri giovanili dove il tema diveniva lo spunto per veri e propri percorsi di educazione alla pace.
Continuo a ritenere che le metodologie e lo stesso percorso della Campagna contro le Mine debbano ancora essere analizzate profondamente per ricavarne un modello di azione valido anche per altre proposte e nuovi obiettivi. Si sono rivelati vincenti:
il lavoro in rete tra organizzazioni con sensibilità e competenze differenti che hanno saputo interagire in maniera sinergica;
la rete internazionale delle collaborazioni e delle intese;
la capacità di fare lobby sui palazzi;
lo sforzo di "piazzare" il tema sui giornali!
Nello stesso tempo la Campagna risponde efficacemente all'obiezione di chi vorrebbe anche a Pax Christi chiedere un impegno sul piano dell'aiuto umanitario piuttosto che su quello politico, di spendersi nell'emergenza piuttosto che sulla rimozione delle cause del sottosviluppo e delle guerre… Se riconosciamo necessario e ineludibile l'impegno per la prevenzione degli incidenti da mine, la bonifica dei terreni, la cura e la riabilitazione delle vittime, il rilancio dei territori bloccati dalla presenza di quegli ordigni, non possiamo non riconoscere che averne messo al bando produzione, uso e commercio diventa l'aiuto più radicale che si possa prestare a chi viene continuamente minacciato dalle mine antipersona. Semmai anche qui riconosciamo che forse è più difficoltoso da comunicare e da comprendere un impegno di profilo politico piuttosto che quello umanitario, ma nessuno potrà affermare che non sia utile e importante!
…alla Rete di Lilliput
In questi anni abbiamo continuato a sperimentare l'importanza del lavoro in rete. La collaborazione ed il coordinamento con altre realtà della medesima area si rendono necessari non solo perché abbiamo coscienza dei nostri limiti e delle nostre povertà, ma anche perché iniziative e obiettivi realizzabili e raggiungibili in tanti, non sarebbero nemmeno pensabili da soli.
La Tavola della Pace è l'esempio storico di questo modulo per il quale la Perugia - Assisi così partecipata o la presenza di più di 100 persone in rappresentanza di altrettanti popoli per l'Assemblea dell'ONU dei popoli, non sarebbe realizzabile se una sola delle organizzazioni che vi partecipano volesse provare a farlo!
Ritengo peraltro che mentre quelle citate sono le iniziative che maggiormente risaltano… nei fatti la Tavola e il Coordinamento degli Enti Locali per la Pace, hanno contribuito non poco a territorializzare in maniera più capillare l'impegno per la pace coinvolgendo meglio le comunità locali e le scuole - per fare un esempio-. Pax Christi fa parte del direttivo della Tavola e contribuisce alle iniziative con quel po' di mobilitazione che può provocare a livello locale e con le idee che fornisce.
Moltissime delle prese di posizione e degli appelli che abbiamo firmato in questi anni sono stati assunti congiuntamente ad una rete di associazioni. Ma mi preme soprattutto sottolineare le attività e gli impegni con un carattere più continuativo. Purtroppo debbo limitarmi necessariamente a citarli (nemmeno tutti) mentre ciascuno meriterebbe una relazione a parte. La Campagna Sudan, Sbilanciamoci, La Grande Riforma Sociale, la Fondazione "Don Tonino Bello", la Scuola di pace "Don Tonino Bello", Transfair Italia, Campagna Kossovo, Libera - associazioni nomi e numero contro le mafie, Chiama l'Africa, Tobin Tax… Come si può notare si tratta di impegni molto diversificati che abbracciano le tematiche dei diritti umani, dell'impegno sociale, dell'economia di giustizia, del disarmo, di talune aree del mondo particolarmente critiche e in conflitto. Più avanti dirò dell'organizzazione leggera di Pax Christi e di come riusciamo a condividere una tale mole di impegni.
Altre attività abbiamo cercato di seguire con le nostre sole forze. Alcune di queste hanno visto un impegno continuativo nel tempo ed altre si sono concentrate nel tempo. Si tratta soprattutto di alcuni "gridi" che si levavano inascoltati soprattutto in Italia come la drammatica situazione dei prigionieri di guerra kosovari in Serbia o di aree interessate da conflitti e crisi come l'Iraq, la Cecenia, il Timor Est, il Kurdistan, il Guatemala e El Salvador… In alcuni casi abbiamo curato soltanto una migliore e alternativa diffusione di informazioni, in altri era necessario imbastire una vera e propria campagna, per altri costituire semplicemente la sponda italiana di una rete internazionale.
Nel lavoro in rete in particolare la novità di questi ultimi anni è costituita dalla costituzione delle Rete di Lilliput. Parlo di costituzione, ma le modalità operative e il soggetto sono talmente nuovi che ci si muove con difficoltà nel mondo delle definizioni che utilizzano categorie ancora troppo legate a vecchi schemi. Sono convinto che la Rete di Lilliput sia destinata a sprigionare ancora le proprie potenzialità se solo riuscirà a darsi una struttura organizzativa adeguata e se non si lascerà stringere alle corde dal pregiudizio ricorrente sul "popolo di Seattle". La scommessa e la posta in palio sono troppo alti per poterne smarrire i risultati. In questo non nascondo che siamo stati spronati soprattutto da Alex Zanotelli e dalla felice coincidenza di essere già presenti nel Tavolo Intercampagne che, seppure non ha un ruolo istituzionale riconosciuto nelle Rete, di fatto oggi svolge un ruolo di coordinamento, indica gli obiettivi di mobilitazione, produce la riflessione necessaria a chiarire i contenuti dell'azione e le prese di posizione…
Se l'immediato post-congresso del 97 vedeva i risultati della Campagna Mine, la vigilia di questo nostro appuntamento mi pare sia stata caratterizzata dalla vittoria conseguita dal popolo e dal governo del Sudafrica che hanno costretto 39 multinazionali dei farmaci a ritirarsi dalle aule giudiziarie. Il prossimo numero di Mosaico di Pace dedica l'editoriale e la copertina a questo evento. Esattamente un anno fa (nel numero di maggio 2000) Mosaico dedicava la copertina e il dossier curato da Nicoletta Dentico alla questione dell'accesso ai farmaci. Con lo stesso numero distribuivamo la cartolina di appoggio alla Campagna che Medici senza frontiere andava cominciando. Ora, tutti i commentatori più avvertiti sono concordi nell'affermare che le multinazionali hanno dovuto arrendersi per non compromettere la propria immagine dal momento che la questione era stata conosciuta a livello internazionale. Ancora una volta, non pensiamo neanche lontanamente di accampare diritti di primogenitura: semplicemente riteniamo d'aver contribuito in minima parte ad accompagnare i poveri su un cammino di liberazione e di aver sottratto un po' dello strapotere ai potentati dell'economia. E' un sistema economico che miete più vittime delle guerre combattute con le armi convenzionali e nel 99% dei casi è all'origine delle guerre stesse. Nella programmazione della nostra agenda futura non potremo fare a meno di concentrare l'attenzione su questi aspetti. Nello stesso tempo voglio rassicurare che il ramo di mandorlo fiorisce. Abbiate speranza, fiorisce! Non è vero che siamo destinati a inoltrarci e a smarrirci sempre lungo i sentieri della sconfitta!
La guerra nei Balcani
Come molti tra voi sapranno il nostro interesse per l'area del Kossovo risale al 1993. Certo, con tutti i limiti dettati dalla leggerezza delle organizzazioni che compongono la Campagna Kossovo…sin da allora avevamo cercato di attirare l'attenzione dei mezzi di informazione e dei governi italiano ed europeo su quell'area. Non avete bisogno di immaginare il senso di frustrazione profonda che ci ha colti quando abbiamo compreso che la crisi degenerava nel conflitto armato, e che in quel conflitto la nostra nazione - guidata allora da un governo di centrosinistra - assumeva un ruolo di primo piano. Anche in quel caso, - ricordate? - l'atteggiamento di don Diego e dell'intero Consiglio Nazionale fu quello di non perdersi d'animo e di non soccombere sotto quella debacle umanitaria spacciata come intervento umanitario. Gli interventi di Pax Christi furono improntati alla speranza. Non la speranzella sciocca degli imbelli, piuttosto quella che ci faceva dire con don Tonino: "E' nel tempo dell'alluvione che bisogna mettere da parte la semente". Tempestivamente, il primo giorno degli attacchi aerei su Belgrado, lanciammo l'iniziativa "Mille città per la pace" in cui chiedevamo agli enti locali di prendere posizione contro l'intervento armato. Rivelando una forte maturità, il Consiglio nazionale decise di scrivere una serie di lettere ai politici, ai vescovi, ai militari, ai giovani, ai compagni di strada, agli operatori dell'informazione… Anche se le prese di posizione, nel turbinio di quei giorni rimasero invisibili all'inchiostro dei mezzi di informazione, sono convinto che abbiano avuto un ruolo importante nel rimotivare l'impegno di tanti, nel chiarire le ragioni della scelta nonviolenta, nel contribuire alla soluzione del conflitto e persino nel mettere in crisi la coscienza di qualcuno di quelli che s'erano lasciati convincere che il linguaggio delle armi in quel frangente non avesse alternative e che quella delle "bombe intelligenti" e della "guerra lampo" doveva essere l'ultima parola.
La guerra ha lasciato solchi profondi col suo pesante strascico di morti, di odi, di sporcizia… La guerra segna sempre la sconfitta. Di tutti. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che - proprio perché si è trattato di una guerra sull'uscio di casa - nonostante sia stata meno lunga e cruenta di tante altre che anche in questo istante stanno mietendo vittime in qualche parte del mondo, è quella che ha lasciato il segno più evidente, profondo, lacerante nell'animo. Non penso sia una magra consolazione considerare che fuori dalla mischia cruenta di quei giorni Pax Christi offriva un contributo in termini di riflessione e, rileggendo le pagine scritte a più mani in quel periodo, si può verificare la profondità dell'analisi che superava il frangente e ragionava su altri parametri. Penso che anche dall'azione condotta in quei giorni bui si possa trarre una luce anche per il cammino dei prossimi anni.
Il rapporto con le istituzioni
In quella come in altre occasioni abbiamo sperimentato la difficoltà a farci ascoltare dalle istituzioni, tanto da quelle politiche che da quelle ecclesiali. Non nascondo che molta strada è stata percorsa in questa direzione. Tante sono state le occasioni in cui rappresentanti di popoli, voci emersi dal dolore di intere popolazioni sono state ammesse al palazzo grazie alla nostra mediazione. In questi anni in diverse circostanze abbiamo avuto la possibilità di incontrare le Commissioni Estere di Camera e Senato, il Sottosegretario al Ministero per gli Affari Esteri Rino Serri, la Sen. Patrizia Toia - sottosegretaria prima e ministra dopo - , le sedi diplomatiche di vari Paesi, la Segreteria di Stato della Santa Sede. Abbiamo rappresentato in quelle sedi il dramma dei prigionieri di guerra albanesi del Kossovo in Serbia con la presenza di Teki Boshi, l'avvocato che ha pagato di persona il suo impegno a fianco di tante persone che avevano la propria condanna scritta nell'atto di nascita e non nella loro condotta. Come dimenticare l'audizione alle Commissioni Esteri di Camera e Senato con due rappresentanti della società civile sudanese del nord e del sud alla presenza, tra gli altri di un Giulio Andreotti particolarmente attento! Quante volte abbiamo riferito delle condizioni della gente di Baghdad, abbiamo incontrato i rappresentanti diplomatici iracheni presso lo Stato italiano e la Santa Sede, la delegazione palestinese, i diplomatici dei paesi maggiormente provati dalla presenza delle mine… Abbiamo trovato interlocutori attenti presso il Pontificio Consiglio Justitia et Pax e presso la Commissione CEI per la Pastorale sociale e del lavoro, Giustizia e Pace e pensiamo che questi rapporti siano destinati a dare frutti maturi. Con il dr. Steffan De Mistura - rappresentante delle Nazioni Unite in Italia - e con i suoi collaboratori abbiamo collaudato un rapporto di collaborazione improntato alla stima reciproca. L'ambasciata italiana in Kenya ospita un importante tavolo di trattative per la soluzione della guerra in Sudan, ebbene l'ambasciatore Balboni e i suoi collaboratori hanno imparato da tempo che quando arriva Pax Christi parla di Sudan! Tant'è che una volta che dovetti rivolgermi a quegli stessi uffici per chiedere un nuovo passaporto per rientrare in Italia (il vecchio me lo avevano rubato… con destrezza in quel di Korogocho!) mi fecero immediatamente entrare dall'ambasciatore prima di chiedermi alcunché, tanto erano convinti che fossi lì per il Sudan.
Ma il pensiero in questo momento va ad un testimone non molto noto eppure decisivo nelle questioni che riguardano il Sudan - il Paese più grande dell'Africa - Yusuf Kuwa, il governatore delle zone liberate dei Monti Nuba. Dopo un incontro pubblico sul tema del rispetto dei diritti umani, lo avevamo accompagnato ad incontrare il sottosegretario agli esteri e il funzionario per gli affari africani della Segreteria di Stato del Vaticano. Lo guardavo varcare i pesanti cancelli laterali di Piazza San Pietro mentre a fatica risaliva la strada fino agli uffici che ci aspettavano. Un uomo dal passo severo, abituato a risalire i sentieri impervi dei suoi monti africani e ad organizzare la sua gente in una difficile resistenza. Meno di un mese fa è deceduto in seguito a un cancro che non ha risparmiato nemmeno un fisico ed un'intelligenza così prestanti. Ecco pertanto un'altra indicazione: favorire l'incontro diretto tra i testimoni - vittime dei danni dell'economia di mercato e della guerra con i rappresentanti delle istituzioni. Sono ben cosciente che questo non basta e tanto meno mi illudo che i palazzi si convertano facilmente… ma si pongono come piccoli passi verso un cambiamento, una presa di coscienza, si pongono all'interno di un itinerario ancora più ampio...
Lo stesso discorso vale per gli enti locali con alcuni dei quali abbiamo interagito con la consapevolezza che anche la politica estera può crearsi dei by-pass rispetto alle democrazie più solenni e sia destinata a dare risultati più proficui quando singole comunità si pongono in relazione tra di loro, imparano a conoscersi nelle culture, nelle tradizioni, persino nei progetti (i sogni dei popoli). Anche in questo si sarebbe potuto da fare molto di più che approvare qualche delibera sui rapporti con l'Iraq, con i Balcani, con le mine antipersona; qualcosa in più che ospitare in una conferenza Fatima Hamed Ibrahim (sudanese esule a Londra); qualcosa in più che scrivere una lettera di sollecito per un nuovo processo di democrazia al presidente del Congresso guatemalteco... ma tutto questo costituisce comunque un piccolo sforzo destinato a rifiorire in un sogno più ampio; quello che Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, aveva cominciato a tessere portando la voce delle comunità locali a Mosca, a Gerusalemme, a Saigon.
I pellegrinaggi, le visite
Nel passato in Pax Christi aveva ottenuto molti risultati sul piano della creazione di una coscienza solidale l'invito di alcuni testimoni che, dal sud del mondo, incontravano i gruppi locali in iniziative appositamente create per far risuonare in loco la voce del dolore e della speranza. Negli ultimi anni abbiamo cominciato a sperimentare un'altra formula che, senza grandi pretese e nella logica dei piccoli passi, poniamo come seme nella terra. Si tratta delle visite e dei pellegrinaggi che sono stati organizzati verso la Repubblica Democratica del Congo, il Kenya, il Guatemala, El Salvador, Iraq, Palestina. Durante l'anno del grande giubileo abbiamo detto che bisognava sì fare pellegrinaggi ma anche portandoci lontani da San Pietro e più vicini a Gesù Cristo! Avviene così che più di cinquanta persone abbiano preso parte ad un pellegrinaggio in Guatemala e El Salvador partecipando alle suggestive celebrazioni per il XX Anniversario del martirio di Mons. Romero. Oltre alla conoscenza personale della fatica e dei sogni che tante piccole comunità vivono, abbiamo potuto comprendere quanto sia importante per delle sorelle e dei fratelli lontani (non solo geograficamente) ricevere la visita di alcuni amici che, almeno solo per pochi giorni, affrontano il disagio di un lungo viaggio per "farsi prossimo". Anche l'anno precedente, in collaborazione con Progetto Continenti, avevamo percorso lo stesso itinerario con 98 persone per unirci al popolo guatemalteco nella memoria di un altro martire: Mons. Juan Gerardi.
Il 26 aprile 1999 eravamo nella piazza della cattedrale di città di Guatemala insieme alle 150 mila persone che, per la prima volta dopo gli anni bui della dittatura, prendevano il coraggio di manifestare in piazza. Era la memoria di un testimone fedele ma nello stesso tempo era la risurrezione di un popolo. E' stato importante poter gridare insieme con loro: "El sangre de los martires es semilla de nueva humanidad", "Se vehe, se siente Romero està presente".
Come non ricordare in questo senso il lavoro forse meno visibile ma addirittura più efficace che in questi anni Gianni Novello ha compiuto recandosi sovente nelle comunità della Diocesi di Butembo-Beni, nel Nord-Kivu, in Congo. Nell'estate scorsa anche Mons. Bettazzi ha accompagnato quei passi cogliendo l'occasione per rivolgersi al clero e agli operatori pastorali di quella diocesi. Grazie a questo lavoro certosino oggi vi è un gruppo di abitanti di Lukanga che sperimentano sulla propria pelle il fascino e i rischi della scelta nonviolenta, sono sorte comunità, cooperative, un gruppo che si ispira al profeta Osea e che è stato ammesso da Pax Christi International come gruppo associato.
Erano solo 12 i giovani che hanno accolto l'invito ad un pellegrinaggio in Kenya (si doveva andare in Sudan, ma le condizioni politiche e il riaccendersi della guerra non lo permisero). Nei quindici giorni di permanenza a Nairobi e dintorni abbiamo potuto condividere in punta di piedi la quotidianità di padre Kizito e di Alex Zanotelli insieme a tanti operatori di strada, ad esperienze innovative di servizio. Erano solo 12, ma oggi quei giovani hanno dato vita ad un gruppo denominato "Auariù" e a Bari come a Ferrara, a Verona coma e Torino vengono invitati da scuole, parrocchie, oratori a raccontare di ciò che hanno visto e di chi hanno incontrato.
Le marce di Capodanno
Dopo Iglesias, Milano, Lecce, Genova, è stata la volta di Verona, Sarno, Siena, Assisi. Anche qui si è trattato di mettersi in cammino, questo è il senso delle marce! E, mentre ogni volta ci ripetiamo che la formula va aggiornata, siamo puntualmente smentiti dal numero di partecipanti che accoglie l'iniziativa. D'altra parte il senso originario con cui veniva avanzata la proposta non solo non ha perso di significato, semmai ne ha trovati di nuovi. Se è vero che la società dei consumi proprio quella notte vive uno dei suoi momenti più fastosi, diventa una provocazione il cammino, il digiuno, la testimonianza di chi costruisce resistenza e alternativa. Ma ancora più importante è modulare l'iniziativa sul messaggio del Papa perché in questo caso quel cammino si fa ancor più pienamente ecclesiale, comunitario e la sfida della pace non è più un optional per i credenti e un pallino di Pax Christi! Ora, sicuramente bisognerà apportare qualche correzione, preparare la comunità locale che ci ospita e far emergere un sommerso che attende di essere svelato, dare seguito all'iniziativa coltivando la rete di amicizie che si tesse in quell'occasione... ma di certo l'iniziativa va conservata e valorizzata. Essendo uno degli appuntamenti annuali qualificanti del movimento forse sarà opportuno incaricare un gruppo ad hoc che ne delinei il progetto per tempo e non badi soltanto agli aspetti organizzativi. Per la verità nell'anno giubilare abbiamo vissuto anche un'altra marcia significativa: quella che da Borgo San Lorenzo ha portato più di 500 obiettori di coscienza verso Barbiana. Anche se non è stato annoverato nel programma ufficiale delle celebrazioni giubilari, a noi è sembrato che l'evento abbia assunto dimensioni politiche, pedagogiche e di testimonianza anche in considerazione del fatto che veniva celebrato esattamente 15 giorni prima del Giubileo dei militari, questo sì ufficialmente inserito tra le celebrazioni giubilari e consumatosi in Piazza San Pietro. In quell'occasione Pax Christi ha riscoperto e proposto un segno nel quale bisognava osare la profezia e che molti hanno inteso proprio in questo senso.
Struttura e organizzazione
Nessuna enfasi nel riferire delle iniziative che il movimento ha portato avanti in questi anni. Siamo coscienti delle nostre capacità limitate e ogni volta che mi trovo a riflettere sulla mole di lavoro che riusciamo ad affrontare, alle tematiche che scegliamo di approfondire, alle situazione nel mondo che vogliamo sostenere... mi sembra un miracolo se raffrontato con la povertà di mezzi e di strutture con cui operiamo. Il nostro non è un movimento dei grandi numeri se pensate che ad essere in regola con il versamento della quota associativa al 23 aprile scorso erano 632 persone. Non solo non abbiamo una grande tradizione di tesseramento e di sostegno alle attività, ma molto spesso gli stessi aderenti condividono l'appartenenza a Pax Christi con altre forme di volontariato, di servizio politico o ecclesiale, di impegno civico etc. etc. Quante volte ci siamo trovati di fronte a persone che, pur avevano intelligenza, energie, capacità e passione da dedicare a queste tematiche senza averne il tempo. A lungo andare mi pare che questa situazione generi un cambiamento sostanziale per il quale mentre in questi anni è andata rafforzandosi la struttura e l'organizzazione centrale, i Punti Pace ed i singoli aderenti non sempre sono stati nella possibilità di rispondere alle enormi attese di chi chiede la pace. Rispetto allo scorso anno il numero degli aderenti è rimasto sostanzialmente invariato, ma a preoccuparci maggiormente è la consistenza, nel numero e nelle attività dei punti pace. Se volessimo oggi contare i punti pace che danno "segni di vita" e di vitalità dobbiamo dire che essi non sono più di 30. Nell'inchiesta sociologica sull'associazionismo condotta da prof. Franco Garelli e i cui risultati si possono leggere in uno degli ultimi numeri (3617) di Civiltà Cattolica viene posta in evidenza la crisi che vive sia l'associazionismo tradizionale quanto le forme di volontariato che erano andate affermandosi soprattutto negli anni '70 e '80. Rispetto al quadro che viene delineato in quell'inchiesta possiamo addirittura ritenerci soddisfatti proprio per la sostanziale tenuta. Nel Paese si respira un clima culturale che segna preoccupanti arretramenti di terreno sul piano della riflessione e delle azioni su "pace e dintorni" e la mentalità individualista non incoraggia certamente il "mettersi insieme per". Se può consolarci sapere che in tutto questo si coglie uno specifico di Pax Christi - movimento cattolico internazionale per la pace, destinato a camminare contro corrente (d'altra parte è solo camminando contro corrente che si raggiunge la sorgente!), prendiamo coscienza che diventa sempre più difficile riuscire ad essere più efficaci ed incisivi se non ci si aggrega e non si cammina insieme nella stessa direzione. Personalmente ho sempre rinunciato ad esercitare la benché minima pressione perché le persone che incontravo nelle diverse occasioni potessero entrare a far parte del movimento costituendo magari un gruppo locale. Forse per una sorte di pudore che mi portava a considerare proselitismo la proposta di lavorare per la pace, ho evitato qualunque invito esplicito. Oggi mi rendo conto che è necessario riprendere ad organizzarsi. Tanto nella chiesa, quanto nella comunità politica e sociale le forme di impegno per la pace, la giustizia, la solidarietà autentica sono sempre di più poste ai margini, ridicolizzate, guardate con sospetto. Significativamente nella sede di una prestigiosa organizzazione non governativa faceva bella mostra di sé un poster con questo slogan: "Dichiarazione per la pace, valore nutritivo zero". Non è soltanto una filosofia, è una mentalità che oggi è molto più affermata rispetto a ieri. L'aiuto d'emergenza è più perseguito e incoraggiato che non il progetto per lo sviluppo, l'assistenza umanitaria trova più consenso e comprensione che non l'educazione allo sviluppo, il soccorso dei feriti nella strenua marcia verso l'affermazione di un'economia di concorrenza trova più disponibilità di operatori che non l'approfondimento critico, l'informazione controcorrente, il progressivo cammino del formarsi di una coscienza critica. Insomma le gare di generosità oggi trovano partecipanti più numerosi del concorso per la rimozione delle cause. Noi che, sin dai tempi del Concilio Vaticano II, della Pacem in Terris, della Populorum Progressio e della Dichiarazione Universale dei diritti umani abbiamo maturato l'idea che "la pace è opera di giustizia", "lo sviluppo è il nome nuovo della pace" e che l'annuncio del vangelo della pace deve consistere nello stare accanto a coloro che fanno fatica a vivere, nel ridare dignità alle persone e non solo pane... oggi subiamo lo scacco di una cultura tanto diffusa quanto miope che crede nell'azione dei barellieri della storia e non nell'impegno "del samaritano dell'ora prima e dell'ora giusta" Mi scuserete la digressione ma era soltanto per riuscire a condividere con voi qualche riflessione anche sui perché di una crescita mancata.
Ritengo che oggi sia tempo di un forte e radicale ripensamento della nostra proposta. Forse dovremmo osare di più, incoraggiare maggiormente all'impegno, riuscire a rendere la proposta di Pax Christi più comprensibile e perseguibile. In particolare penso che il ruolo della segreteria nei prossimi anni debba essere sempre di più quello di curare il consolidamento e la crescita dei punti pace, di coltivare meglio la fitta rete di relazioni che si vanno intessendo in tante iniziative, di meglio informare circa i risultati (pochi o tanti che siano) che i lillipuziani riescono a raggiungere. Nell'intento di rimotivare continuamente l'impegno, si dovrà evidenziare con maggiore forza anche la spiritualità che origina, sostiene e dà senso al cammino di Pax Christi.
Nella personale esperienza di questi anni ho potuto verificare come alla mole di lavoro, di incontri, iniziative, attività... che la segreteria sviluppa non sempre corrisponde una reale crescita (non solo numerica) all'interno del movimento. D'altra parte gli impegni che si assumono dovendo dar vita e seguito a tante iniziative non consentono di garantire un'adeguata informazione all'interno del movimento. Se il Consiglio Nazionale che risulterà eletto da questo Congresso vorrà chiedermi un ulteriore impegno come coordinatore nazionale, sappia che è mia ferma intenzione investire soprattutto in questa direzione.
Scherzando, a volte mi sono ritrovato a dire che Pax Christi lavora per scomparire, ovvero che tutti desidereremmo che la sensibilità, l'attenzione, l'impegno per la pace nella chiesa e nella società fossero talmente diffuse da non aver più bisogno di qualcuno che operi nel senso di tener viva questa fiamma. Accanto a tanti segnali incoraggianti, ce ne sono troppi che ci inducono a pensare che il compito di Pax Christi non sia esaurito, al contrario gli viene chiesto un surplus di profezia, di coraggio... di vangelo.
Mosaico di pace
Sin dal Congresso nazionale tenutosi presso la Domus Pacis di Roma nel 1989, s'era deciso di dare vita ad una rivista che potesse servire meglio la richiesta di informazione alternativa e di formazione sui temi della pace. A rileggere il verbale di quel congresso se ne evince che Pax Christi intese investire molto nella rivista intendendola come uno degli strumenti principali per il perseguimento delle proprie finalità. Col tempo è avvenuto che all'interno della redazione prevalesse una linea che andava a soddisfare particolarmente l'area psicopedagogica dell'educazione alla pace a scapito di quel ruolo di informazione e denuncia che pure il congresso aveva consegnato come mandato alla redazione stessa. Con forte convinzione il Consiglio Nazionale attuale intese intervenire a correggere la linea editoriale per una maggiore fedeltà all'identità di Pax Christi ed una più forte sintonia con i percorsi che il movimento andava tracciando. Questa richiesta ha generato dapprima qualche incomprensione e poi un riassetto della redazione in cui fosse garantito il disegno originario di Mosaico, pur adattato alle nuove condizioni storiche. Questo non significa affatto che Mosaico di pace sia diventato il bollettino del movimento, al contrario conserva gelosamente il pluralismo di voci e fa rifluire al suo interno la vivacità variopinta di quanto si muove nell'area ecopacifista e nonviolenta. Il numero di settembre del 1998 ha segnato l'inizio di questo nuovo corso che, a dispetto di qualche previsione che affermava la perdita progressiva di tanti abbonati legati al mondo dell'"istruzione per l'uso nell'educazione alla pace", può contare oggi 1733 abbonati rispetto ai 1200 circa del momento in cui abbiamo ereditato la gestione della rivista e ai 1362 dello scorso anno in questo stesso periodo. Il numero di aprile (l'ultimo che abbiamo conseganto alle poste), compresi gli omaggi, le copie saggio e gli scambi con altre riviste, è stato inviato a 2112 indirizzi. Vi è da considerare che il numero potrebbe essere falsato da un cospicuo contributo pervenutoci ultimamente dalla Caritas Italiana e che abbiamo convertito in 253 abbonamenti omaggio (Caritas Diocesane, obiettori di coscienza, istituti di pena, comunità varie...) ma anche in questo caso resta comunque l'incremento significativo di 118 nuovi abbonati rispetto all'anno precedente. Se insisto puntigliosamente sui dati degli abbonati non è per una eccessiva scrupolosità, quanto perché a differenza di altre testate Mosaico di Pace non conta sulla raccolta pubblicitaria o di finanziamenti certi di enti e provvidenze pubbliche. Anche dal punto di vista economico il suo unico punto di forza è costituito dagli abbonati. A questo si aggiunga che non è stata mai pagata una sola lira per le collaborazioni dei giornalisti, per l'acquisizione di materiale iconografico, per la progettazione grafica... Dal momento in cui abbiamo cominciato a gestire la redazione all'interno della stessa segreteria, è rimasto invariato anche il numero dei dipendenti che sono le stesse Marianna e Rosa cui va tutto il nostro riconoscimento per la passione e l'entusiasmo convinto che pongono nel curare la segreteria e la redazione. Se insisto nel riferire dei dati sugli abbonati è anche perché come saprete c'è un clima generale di crisi nell'editoria, soprattutto per questo genere di pubblicazioni, e molti considerano una vera e propria impresa riuscire a mantenere la pubblicazione di una rivista.
Alla gestione diretta della redazione della rivista si è aggiunto in seguito anche l'acquisizione della testata. Il Congresso dell'89, pur avendo deciso di dar vita ad un nuovo strumento non poté di fatto registrarlo a nome di Pax Christi soltanto perché non eravamo ancora in possesso del riconoscimento giuridico necessario. Nel 1999 si è giunti finalmente anche al passaggio di proprietà della testata che a nostro avviso sarebbe dovuto avvenire senza alcuna corresponsione di denaro e che invece è stato quantificato da La meridiana nell'ordine di L. 20 milioni che stiamo ancora liquidando con una rateazione mensile. In molti abbiamo avuto la sensazione di una beffa per cui si andava a comprare qualcosa che doveva essere già nostro anche perché se è vero che la cooperativa La meridiana aveva gestito fino a quel momento ogni cosa, Pax Christi s'era fatto sempre carico di appianare gli eventuali deficit a fine anno e nessuna delle spese necessarie alla produzione della rivista è mai stata trascurata. A questo punto abbiamo una situazione completamente differente: Mosaico di Pace è stato registrato presso il Tribunale competente come proprietà di Pax Christi, l'iscrizione al Registro della Stampa ci dà ampia facoltà di gestione e piena legittimità, l'iscrizione del Movimento anche alla Camera di Commercio ci consente una corretta gestione fiscale e amministrativa.
Come accennavo, Mosaico di pace non disdegna di accompagnare anche alcune iniziative sullo stile delle campagne per svolgere un ruolo attivo che vada oltre l'informazione. E' avvenuto così per la campagna per l'accesso ai farmaci, ma ancora di più per la "campagna contro le banche armate" che intendeva denunciare i notevoli interessi lucrati da molte banche nell'export di armi "made in Italy". L'esperienza è ancora più interessante se si pensa che è stata concertata in stretta collaborazione con Missione oggi e Nigrizia che sono due riviste cui riconosciamo una sensibilità molto vicine alla nostra ma che possono vantare ben più lunga e nobile tradizione. La campagna è ancora in corso e, pur avendo notizia di tante azione che sono state messe a segno in diverse parti d'Italia, non abbiamo ancora elementi sufficienti per poter considerare i risultati ottenuti.
Ora i nostri sforzi sono concentrati per rendere anche più interessante e bella la rivista per cui da settembre prossimo Mosaico di Pace uscirà con una veste grafica più dignitosa e coerente, stiamo cercando la collaborazione di firme che diano maggiore spessore alla riflessione che vogliamo proporre, con il numero di aprile abbiamo cominciato a pubblicare le foto che un'importante agenzia fotografica italiana ci permette di acquisire gratuitamente (finora avevamo utilizzato le foto di parenti, amici e conoscenti...), abbiamo inoltre comunicato a La meridiana che con la preparazione del numero di settembre ci sganciamo definitivamente anche per quanto riguarda la produzione della rivista perché sussistono le condizioni di ottenere una qualità migliore a costi molto più contenuti...
Per quanto riguarda Mosaico di pace ci sono tutti gli indici di una crescita sicuramente più consistente rispetto al movimento e per questo vanno ringraziate le persone che con sacrificio, passione e volontà vi hanno contribuito con apporti significativi di conoscenza, competenza, energie e tempo. A Rosa Siciliano e Marianna Napoletano voglio aggiungere la menzione di Giancarla Codrignani, Franz Comina, Cornelia Dell'Eva, Lucia Foglino, Nicoletta Dentico, Piero e Diego Cipriani... oltre a Renato Sacco, Alberto Vitali, Sandro Bergantin, Andrea Bigalli e altri della redazione. Una bella squadra davvero che ora vuole aprirsi con convinzione anche ad altri giovani che scalpitano in panchina per giocare la loro partita e si accinge ad accogliere le disponibilità di Paolo Fuser-Poli, Massimo Ferè, Giulia Ceccutti, Fabio Dell'Olio. Per parte mia devo ammettere che i cambiamenti avvenuti in seno alla redazione di Mosaico di Pace hanno fatto in modo che almeno il 50% del tempo è stato dedicato alla rivista e, in qualche modo, sottratto alla segreteria di Pax Christi: ne chiedo venia, ma nel contempo assicuro che ci adopereremo per trovare una maggiore autonomia operativa della rivista. Ricordo a tutti che questo può avvenire soltanto se nuove e più certe fonti di finanziamento vengono definite e se l'azione di acquisizione di nuovi abbonati si fa più convinta da parte di tutti. Se solo la metà degli attuali abbonati riuscisse a trovare ciascuno un altro abbonato... avremmo risolto parte dei nostri problemi e potremmo assicurare la retribuzione di un'altra persona che lavori per la produzione della rivista. Anche nelle ultime riunioni della redazione peraltro abbiamo assunto la convinzione che ci sarebbe bisogno di un intervento più deciso nella direzione della promozione della rivista che ha potenzialità inespresse e potrebbe trovare un più vasto consenso. Molto comunque è stato fatto anche per cercare di contenere la perdita di abbonati (che statisticamente erano tanti quanti i nuovi!), per una promozione su altre testate e per ampliare il target. Attualmente questo ruolo è affidato ad Agata Diakoviez che profonde impegno fino al sacrificio. Anche a lei la nostra gratitudine.
Casa per la pace
L'altra gamba del movimento è costituita dalla Casa per la pace. Ci sarebbe molto da dire rispetto alle novità che sono intervenute dall'ultimo Congresso ad oggi. Mi limito a evidenziarne solo alcune:
L'inserimento di Gianfranco Boccalini a sostegno dell'opera insostituibile resa da Gianni Gatti. Dobbiamo essere loro grati per aver contributo in maniera sostanziale a garantire un'accoglienza dignitosa, gradevole e significativa presso la Casa.
Il dato che in tutte le sedute di Consiglio, la Casa per la Pace sia stata sempre all'ordine del giorno, ci fa riflettere sulle difficoltà che troviamo ordinariamente nella gestione e su quanto stia a cuore a tutti che essa continui a rendere un servizio alla pace nel migliore dei modi possibili. Le difficoltà di questi anni sono stati di ordine legale nel senso che al contenzioso con gli Alinei circa la congruità della donazione si sono aggiunti i disagi con gli eredi Poggi e con qualche vicino. Sembra proprio che quella Casa ci faccia sperimentare nel piccolo le difficoltà di chi vuol percorrere i sentieri della pace. Luciano Ghirardello è stato delegato a coordinare tutte le questioni relative agli aspetti legali e si avvale in questo del sostegno determinante dell'avv. Fiorella Rossetto. Il risultato più importante è stato la vittoria del primo grado di giudizio nella causa con gli Alinei che peraltro hanno ricorso in secondo grado. Stiamo ora oliando meglio il meccanismo della trasmissione di informazioni tra tutti gli attori e le parti interessate... rimando ad eventuali domande di chiarimento questa parte.
Un altro cambiamento importante avvenuto nel frattempo è l'acquisizione degli appartamenti del Sig. Poggi. Si è trattato di un passaggio importante anche se non privo di difficoltà. Attualmente quella parte della Casa è occupata dalle persone che vi abitano permanentemente e ha contribuito non poco a risolvere taluni problemi logistici. Abbiamo potuto provvedere alla ristrutturazione e a liquidare la cifra di 60 milioni concordata per il riconoscimento delle migliorie apportate dai precedenti inquilini.
Nelle considerazioni del Consiglio che aveva ereditato in tal senso opportune mozioni del Congresso del 97 vi era la volontà di rafforzare le potenzialità della Casa che attualmente viene sottoutilizzata da Pax Christi e dal Centro Studi economico sociale per la pace ed è piuttosto posta a disposizione di tante organizzazioni affini che vi svolgono lì momenti formativi, incontri di programma e iniziative in linea con le nostre stesse finalità. In questo senso un'apposita commissione formata da Gianni Novello, Mino Spreafico, Pino Rubinetto e Carmine Campana ha lavorato per oltre un anno predisponendo un progetto che vede Pax Christi giocare un ruolo più propositivo. Il Consiglio nella sua ultima seduta ha approvato quel progetto. Ora siamo nella fase delicata della valutazione della fattibilità e andiamo considerando una serie di fattori (condizioni di sicurezza, congruità con le finalità indicate nella donazione, entità dei costi di gestione...) che vanno ponderati con la massima attenzione e scrupolosità prima di imbarcarsi in un'avventura. L'esecutivo riunitosi il 27 marzo scorso ha dato mandato a Mino Spreafico di provvedere alla fase di avvio.
Al ritorno dal Congresso inizieranno altri lavori di consolidamento e di adeguamento di alcune strutture all'interno della Casa. In particolare si vorranno predisporre gli ambienti che accoglieranno la segreteria nazionale che definitivamente abbiamo deciso di ubicare presso la Casa per la Pace. Non era più pensabile una segreteria itinerante da Ivrea a Salerno, da Mestre a Bisceglie! Questo comporterà una serie di modifiche organizzative oltre che strutturali di cui dovrà farsi carico il Consiglio che risulterà eletto da questo Congresso.
Gianni Gatti, Gianfranco Boccalini, Giuliana Bonino , Gianni Rocca e Andrea Bigalli compongono attualmente il gruppo di gestione cui il Consiglio in via transitoria ha affidato la presa in carico delle decisioni relative alla Casa per la Pace. Penso che, con tutte le difficoltà che si trovano a dover "cavalcare" come in un rodeo non abbiano la nostra invidia quanto la nostra ammirazione. In particolare poi, Giuliana Bonino cui il Consiglio ha delegato la sovrintendenza ai lavori strutturali presso la Casa. E' in assoluto la persona che meglio conosce la storia, le scelte, le difficoltà della Casa stessa e ha inventiva e personalità adeguate a svolgere un ruolo che finora - le va riconosciuto - ha interpretato in modo egregio. La ringraziamo.
Centro Studi Economico Sociale per la Pace
Il Centro Studi era stato pensato perché si avvertiva la necessità di una riflessione più approfondita e seria su alcune questioni cruciali, come quella dell'economia, in riferimento alla pace. In questi anni ha offerto un contributo importante aiutandoci a riflettere su aspetti che altri non dibattono o proponendoci anche temi già ascoltati ma in modo e prospettiva differenti. Rimangono memorabili gli appuntamenti sul ruolo della Massoneria, sull'informazione, sui rischi che corre la democrazia, sulla globalizzazione... In particolare direi che proprio sulle questioni dell'economia si dovrà forse affondare maggiormente il bisturi della ricerca e del dibattito nei prossimi anni. Anche nel caso del Centro Studi penso che dovrà meglio mettere a frutto nel futuro le proprie potenzialità, magari allargando o rinnovando al suo interno le persone del direttivo, aggiornando il proprio statuto alla luce delle recenti normative su ONLUS e fondazioni, cogliendo l'attenzione che in questo momento è concentrata su queste tematiche. Probabilmente questi cambiamenti andranno pensati contestualmente a quelli della Casa per la Pace. Il gruppo di lavoro che ci aiuterà a riflettere sulla formazione ne tenga conto.
Per il futuro...
Avrei voluto offrire anche qualche valutazione sull'assetto organizzativo della segreteria e dell'intero movimento ma me ne astengo dal momento che almeno alcuni aspetti sono stati inseriti in altre parti della relazione che avete finora ascoltato.
Mi preme soprattutto indicare alcune conclusioni che possono essere utilizzate tanto dai gruppi di lavoro del pomeriggio, quanto dal Consiglio e dall'esecutivo che risulteranno eletti dal Congresso.
1. C'è un livello internazionale del movimento che rappresenta un punto di forza di cui altre realtà della nostra stessa area sono privi. Noi di fatto non lo sfruttiamo come dovremmo. Abbiamo bisogno di un contatto più continuativo con le altre sezioni e con la segreteria internazionale per coordinare meglio azioni comuni, ottimizzare energie, condividere conoscenze. Nello stesso tempo ci sarebbe da informare più puntualmente in Italia di quanto viene fatto altrove, soprattutto dalla segreteria internazionale. Ci sono evidenti limiti strutturali in tutto questo dal momento che non si può pensare di gravare ulteriormente sul personale di segreteria. Censire qualche idonea (conoscenza delle lingue) disponibilità al riguardo è vitale. Nell'epoca della globalizzazione e dell'Unione Europea, non ci è dati di accumulare ulteriori ritardi in questo ambito.
2. Rafforzare il lavoro in rete è essenziale per tutte le considerazioni che ho fatto avanti. Solo bisogna ripensare la distribuzione del carico di lavoro. Non è pensabile proseguire nella stessa maniera in cui si è andati avanti finora. Il coordinatore nazionale si fa carico di rappresentare il movimento sul 90% dei tavoli in cui siamo presenti. Questo non perché mi spaventi o preoccupi il lavoro, quanto perché mi rendo conto che per limiti concreti non vi può essere la necessaria ricaduta all'interno del movimento e perché non si riesce ad aderire con lo spirito di apportare un contributo specifico secondo quel "proprium" che è del patrimonio ideale di Pax Christi. Approfitto di questo spazio per rendere pubblico che ho fatto presente all'esecutivo uscente che sarei molto felice di passare - dopo otto anni di queste fatiche - il testimone a qualcun altro che insieme possiamo individuare. Mi è stato già risposto che viviamo un momento delicato anche in considerazione del ricambio che vi sarà a livello di Consiglio. Permane tuttavia questa mia che è più che una semplice disponibilità. In ogni caso deve prevedersi un sostegno sostanziale in termini di persone disponibili nei confronti della segreteria. Vi prego di impostare una mozione in tal senso all'interno di qualche gruppo di lavoro.
3. Nello stesso tempo bisognerebbe fornire un assetto organizzativo più efficace alla segreteria. Lo dico in termini di distribuzione degli incarichi, di utilizzo delle disponibilità a titolo di volontariato, di utilizzo delle competenze. Io confesso pubblicamente la mia ignoranza in materia. La mia unica laurea in scienze confuse non mi supporta sufficientemente in questo. Non sarebbe il caso di pensare ad una supervisione esterna che guardi con competenza alle risorse umane e tecniche che abbiamo a disposizione e predisponga una mappa a fronte delle necessità cui dobbiamo rispondere?
4. L'argomento delle fonti di finanziamento viene trattato da noi secondo quel pudore solito al quale ci condiziona la tradizione cattolica e soprattutto il movimento pauperistico del tredicesimo secolo di cui sembriamo essere eredi in linea diretta. Sono l'ultima persona che vi consiglierà di scialacquare o di raccogliere a piene mani senza alcuna discriminante anche se fosse Berlusconi a volerci "disinteressatamente sostenere" nelle nostre attività con le sue cospicue provvidenze! Ma dobbiamo -e l'invito non è nuovo - porci seriamente il problema di come far fronte a quelle esigenze minime che ha un movimento nazionale. E' aspetto che non può essere interamente scaricato sulle spalle del Cireneo di turno, tesoriere o coordinatore che sia! Provare a delineare un progetto di fund raising, a stilare un decalogo etico per reperire degli sponsor... sarebbe il minimo. Varare una commissione che pensi in modo continuativo a questo distribuendosi al proprio interno incarichi a seconda delle competenze... sarebbe quello che auspico.
5. Ci sono poi alcuni suggerimenti che vanno più nella direzione dei contenuti dell'azione. Ritengo ad esempio che vadano ricercate le formule più idonee a soddisfare una richiesta formativa sempre più esigente. E' vitale se vogliamo garantirci anche un futuro di qualità! Sono state avanzate di recente alcune proposte dal Punto Pace di Bolzano, da Roberto Mensa circa la formazione a distanza e nell'ambito del progetto Casa per la Pace. Sono tutte proposte
interessanti e meritevoli di attenzione ma che da sole non bastano. Ritengo dobbiamo concentrare maggiormente la nostra attenzione su differenti livelli di formazione facendo crescere anche la consistenza dei Punti Pace distribuiti sul territorio nazionale.
6. Ci sarebbe da ripensare anche le modalità con le quali attualmente cerchiamo di portare avanti alcune proposte. Le campagne, gli appelli, le marce e le dimostrazioni, gli incontri con le istituzioni, i comunicati stampa e i convegni sembrano a volte eccessivamente generici e danno un risultato infinitesimale rispetto alla mole di lavoro che si sviluppa. Non sarebbe il caso anche qui di delineare con maggiore precisione ambiti e aree di intervento, modalità adeguate e fasi di lavoro?
7. Il linguaggio di Pax Christi spesso è difficile da intendersi. Soprattutto oggi diventa arduo per molti riflettere sulla pace nella maniera in cui continuiamo a proporlo. Non sarà il caso di abbassare i ponti levatoi di questi linguaggi adottando anche qualche iniziativa più semplice da intendere? Mi spiego: a volte sembra quasi che per operare per la pace secondo la proposta di Pax Christi o si ha una laurea o si è condannati alle retrovie! Se l'area ecclesiale è quella cui prevalentemente ci rivolgiamo il mio pensiero va a coloro che vivono forme di religiosità popolare e affollano i santuari, che frequentano la Santa Messa alla domenica, che vanno al catechismo... dobbiamo rassegnarci a che rimangano a digiuno? Tra l'altro ritengo che qualcosa da imparare ce l'abbiamo anche noi se ci poniamo in ascolto di questi mondi! Cosa faremo nei prossimi quattro anni per loro? Attenzione perché, pur non avendo fatto alcuna indagine statistica adeguata, forse costituiscono la maggioranza. Attenzione perché queste persone sono periodicamente chiamate alle urne e credono di votare alla luce del Vangelo anche quando scelgono chi predica un modello economico che condanna a morte milioni di persone ogni anno, chi pensa che le controversie internazionali si risolvono con le guerre umanitarie e gli interventi chirurgici... Se accanto alla riflessione poderosa sulla teologia della pace, sul sistema di ingiustizia insito nella globalizzazione, sul disarmo e sui diritti umani... decidessimo di porre qualche segno di intervento diretto che in un secondo momento potesse aiutare meglio a riflettere sulle cause... non verremmo anche meglio incontro alla comprensione dei più semplici? Sto parlando di una funzione pedagogica della solidarietà.
8. Tra le persone che sento di ringraziare c'è don Alberto Vitali che, sia pure a mezzo tempo ci è stato messo a disposizione dalla Chiesa Ambrosiana dietro nostra richiesta esplicita. Si è fatto carico soprattutto di utilizzare gli strumenti telematici per Pax Christi strutturando e curando un sito web e moderando una lista di discussione. Sono i linguaggi altri che - non andranno forse bene per la religiosità popolare - ma si rivolgono a tante persone che non potremmo sperare di raggiungere diversamente. E' un ambito che non solo non va trascurato ma che bisognerà aggiornare continuamente.
9. Il rapporto con le istituzioni a mio avviso va potenziato nel senso che dicevo prima. Favorire l'incontro diretto tra i poveri e chi ricopre incarichi di responsabilità. In questo ruolo di presenza discreta, di via umile, riscopriamo una tradizione che anche Pax Christi International persegue quando lascia la parola cui ha diritto avendo status consultivo all'ONU e al Consiglio d'Europa, ai rappresentanti delle minoranze, ai rifugiati, ai perseguitati politici. Penso che oggi ce ne sia bisogno e nessuno sforzo deve essere risparmiato in questo senso. Dimenticavo di dire che proprio da quegli incontri sono sortite interpellanze e interrogazioni, prese di posizione e sollecitazioni al nostro governo da parte di alcuni parlamentari. Almeno non si potrà più dire: "Non sapevo". Ribadisco che gli enti locali sono un interlocutore privilegiato in tutto questo.
10. La comunità cristiana deve rimanere il nostro ambito di lavoro più importante. E' nel nostro DNA. Forse è terminato il lungo periodo in cui Pax Christi era spesso guardato con sospetto o diffidenza... oggi abbiamo un dialogo sincero e leale con alcune istituzioni ecclesiali ma dovremmo essere capaci di essere maggiormente incisivi nei confronti delle parrocchie e degli istituti religiosi, degli oratori e delle confraternite. Insomma verso una base che ha bisogno di conoscere un Vangelo della Pace che forse ignora.
11. Naturalmente non sarà possibile capillarizzare territorialmente questo impegno se non ci saranno i Punti Pace e i Punti Pace attrezzati a farlo. Per questo ribadisco che bisognerà dare priorità a questo nel progetto futuro. Vedete, non è un segnale incoraggiante scoprire che facciamo fatica a trovare almeno 15 persone disposte ad arrischiarsi nel Consiglio Nazionale. Vuol dire da una parte che non abbiamo investito sufficientemente nelle risorse umane e dall'altra che Pax Christi rischia di smettere i panni di un movimento per abbigliarsi come un'agenzia di servizio che riesce a sviluppare proposte e iniziative al centro ma non si allunga fino ai terminali della periferia, a stimolare nuovi percorsi, ad affascinare con proposte di vita, ad appassionare ai temi della giustizia. Io credo che abbiamo bisogno di spenderci un po' di più in questo e vi scongiuro: Se nella vostra economia di tempo pensate di tagliare qualche cosa, che non sia questa! Senza assumere toni apocalittici penso davvero che le generazioni future ce ne chiedono conto quanto i testimoni che ci hanno preceduto. L'arretramento di terreno cui assistiamo platealmente anche in questi giorni di campagna elettorale, ci chiede un abbondare sul piatto della bilancia dell'impegno per la costruzione della pace che costituisce poi l'anima di ogni altra forma di impegno.
Prima di ringraziarvi per la pazienza e la benevolenza che avete mostrato nei miei riguardi non solo oggi, dandomi ascolto, ma anche in questi anni quando in tante occasioni di incontro mi avete manifestato la vostra stima... lasciate però che esprima io il mio grazie a don Diego, a Gianni Novello e Lucia Foglino con cui ho condiviso in questi quattro anni la responsabilità dell'esecutivo. A don Diego in particolare, questo presidente vescovo regalatoci da un corto circuito della Provvidenza. Non è piaggeria. Chi mi conosce sa che almeno questo vizio non ce l'ho e poi in questo caso non ne avrei bisogno. Puntuale e preciso nei suoi interventi, disponibile nei confronti di tutti fino al sacrificio, fino a sentirsi rimproverare spesso dai suoi diocesani che non c'è mai! - ma anche in questo Bettazzi e Bello gli sono stati ottimi maestri - dimostra di volerci bene sul serio. E questa mi pare la cosa più importante di tutte. In questo bene che mostra, riesce ad esserci vicino, ad incoraggiare i passi incerti, a consigliare saggiamente, a vedere un po' più lontano di noi (e Dio sa quanto in questi frangenti ne abbiamo bisogno). Ringrazio con voi il Signore perché ce lo ha messo accanto e ce lo affida come esempio di impegno e di fede fervente nel Cristo nostra Pace.
Concludo con alcune parole di don Tonino rivolte al popolo della sua diocesi in questo periodo di Pasqua del 1986: "Quanta gente sorride sui nostri discorsi di pace. Bene, cari amici, io voglio sottolineare questa coincidenza: l'apparizione di Gesù Risorto coincide con questo audio: 'La pace sia con voi', 'Pace a voi'. E noi non possiamo separare il video dall'audio: se accettiamo il video, cioè la resurrezione, dobbiamo accogliere anche l'audio, cioè: 'La Pace sia con voi'. Non possiamo credere, cioè, alla luce senza credere alla voce. Non possiamo accogliere la visione e continuare tutto il resto nelle fabulazioni. Ecco perchè la Chiesa, figlia primogenita della Pasqua di Cristo e riviera dolcissima di chi cerca la pace non deve aver paura di certi vaneggiamenti e se la Resurrezione di Gesù è la sua fede incrollabile, la pace deve essere la sua speranza imperitura".
Grazie, auguri, shalom. Tonio Dell'Olio
Sociale.network