n. 11 - 30 giugno 2006

PIOGGIA D'ESTATE. "Basta! Fate un passo indietro di fronte all'abisso!"

Un brivido. Sgomento per l'ennesima vergogna: un "titolo" poetico per un crimine contro l'umanità. La "PIOGGIA D'ESTATE" si è abbattuta su Gaza e la Cisgiordania sotto forma di centinaia di carri armati, mezzi blindati, brigate corazzate, navi della marina militare, elicotteri apache. Un nome in codice per un'offensiva militare scatenata "non certo come eccesso di vendicatività ma come volontà del governo Olmert di chiudere qualsiasi porta di pace e togliere la Palesina come nazione dalla faccia del medioriente" (Rossana Rossanda). Le bombe dei caccia hanno distrutto le centrali elettriche e la rete idrica, gettando nel caos un milione e trecentomila esseri umani. Il mondo resta scosso, ma non troppo. Kofi Annan è "preoccupato per le azioni che danneggiano le infrastrutture civili e aggravano le condizioni di vita dei palestinesi"; Il Papa chiede un ritorno al dialogo ma viene criticato perchè prega "per ogni persona rapita", includendo i ministri e deputati che per Israele sono semplicemente stati "arrestati"; D'alema scontenta invece Condoleeza Rice, proponendo di inserire in un comunicato una frase che dice "preoccupazione per la detenzione di membri eletti del governo palestinese". La Rice non è d'accordo, ma alcuni ministri vengono in soccorso al "coraggioso" D'alema nella richiesta, così anti-israeliana! (Corriere della Sera 30 giugno 2006)
Ecco. Tutto qui: tutti sono "preoccupati" mentre viene compiuta "una inaccettabile punizione collettiva per milioni di civili, donne, bambini"(Abu Mazen) con la precisione rilevata da un giornalista del The Indipendent: "ogni singolo missile con precisione hi-tech si abbatte su ognuna delle sei centrali di trasformazione elettrica"(Donald Machintire), "gettando nuova miseria su 700.000 persone che stanno già soffrendo enormemente"- aggiunge Luis Michel, Commissario europeo per gli Aiuti Umanitari. Il Commissario Europeo continua e denuncia le "gravissime ripercussioni su tutti i settori vitali, la minaccia per la salute soprattutto per le donne e i bambini. Essendo Gaza chiusa al mondo, risulta poi impossibile portare soccorsi, acqua cibo e medicine". Ancora più decisa è la condanna del Commissario europeo per le Relazioni Esterne Benita Ferrero-Waldner: "È necessario fare un passo indietro di fronte all'abisso di questa crisi! Gli atti d'Israele non possono che peggiorare le cose. È inaccettabile perseguire dei fini politici attraverso questi mezzi".
L'enorme gravità del rapimento-arresto degli 87 tra ministri, deputati e membri del Governo palestinese, che viene così letteralmene affossato e cancellato, sui nostri media diventa una banale "misura di sicurezza". E così per il lettore "di sinistra" della Repubblica basta arrivare alla fine dell'articolo di Bernardo Valli per lasciarsi cogliere dal solito dubbio: "alla fine la colpa è sempre dei palestinesi..." Ma è chiaro invece che il disastro di questi giorni "non è una rappresaglia ma il tentativo di affondare per sempre la già assediata e affamata Autorità Palestinese chiudendo con ogni trattativa che pareva potersi aprire negli ultimi giorni." (Rossana Rossanda). È altrettanto indignato un leader israeliano membro del Parlamento: "La rioccupazione di Gaza non porterà alla liberazione del soldato né tantomeno ad una maggiore sicurezza. (...) Questa operazione militare è parte di un piano che mira a soffocare qualsiasi tentativo politico in grado di convogliare il governo israeliano verso il tavolo delle trattative. Si vuole vendicare l'operazione ancor prima di aver esaurito tutte le soluzioni pacifiche.(...) Olmert e Peretz si sentono accusati di debolezza ed esitazione... E non posso non notare che il dispiegamento delle forze militari nella zona di Gaza era avvenuto ancor prima dell'arresto del soldato..." (Al-Saneh, leader partito arabo-israeliano alla Knesset). Leggete su Internazionale 684 di questa settimana Amira Hass che alla fine del suo diario aggiunge un "P.S. :il soldato è stato 'rapito'? Ogni giorno i soldati israeliani 'rapiscono' dei palestinesi nelle loro case. Li chiamano 'arresti' per sottolinearne il carattere legale (...) I palestinesi, comunque rispondano all'occupazione, sono considerati criminali e l'occupazione è ormai una routine accettata come dimostra la progressiva scomparsa del termine dal vocabolario politico occidentale"

Ma BoccheScucite preferisce alle analisi dei fatti la voce degli internazionali che non hanno pulpiti nelle TV e nei giornali; ostinatamente però gridano dalle loro mail a chi vorrà ascoltare ciò che vedono con i loro occhi e denunciano: "le scorte di tutti gli ospedali dureranno solo due o tre giorni...manca la corrente e così presto mancherà l'acqua"...

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Carissimi,
nella notte sono iniziate le prime operazioni militari su Gaza. Ecco le prime notizie che riusciamo a mandarvi.
Stanotte forti attacchi a a Khan Younis, colpita l'università islamica a Gaza city. Non si registrano vittime o forti resistenze da parte palestinese. La gente cerca di condurre la solita vita. anche se i movimenti in alcune aree sono limitate. È invece pesante la situazione per quanto riguarda la linea elettrica, siamo razionati, alle 13.30 ci levano la corrente e la riaccendono alle ore 20.
In questo momento nel nord si sentono bombardamenti, già da questa mattina le forze militari di terra hanno cominciato a posizionarsi tutt'intorno a Beit Lahya, Beit Hanun e Jabalia. Si pensa che attaccheranno forte questa notte. Hanno chiesto alla popolazione del nord di evacuare la zona... ma dove vanno??? Inoltre notizia di adesso è che Israele ha chiesto agli ambasciatori dei paesi arabi di lasciare Gaza.

baci Meri

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Ho chiamato adesso un mio amico a Gaza, per l'esattezza nel campo di Magazi - proprio nel mezzo della striscia.
Mi ha confermato quello che già si sapeva, mi ha parlato della nottata di insonnia e di paura, dei bombardamenti con Apache e F16.
La striscia è stata praticamente divisa in 3 settori con l'abbattimento di 3 ponti, lui ha una sorella che abita vicino Rafah e non riesce a farla venire via, ovviamente è molto preoccupato per lei perché quella è la zona "critica". L'energia elettrica - almeno nella sua zona - era tornata da pochi minuti, lui dice che stanno alternando l'energia un po' per volta nelle varie zone della striscia.
Mi dice che tutti si aspettano per questa notte un altro bombardamento molto più intenso e la gente dice che stanotte al bombardamento seguirà l'entrata dei carri armati. Ho sentito veramente molta paura nelle sue parole, e lui è cresciuto lì, ha visto invasioni, coprifuoco, violenze di ogni genere.
Mi dice che tra la gente c'è molta paura e la speranza (non gli manca mai) che il pretesto per l'operazione militare venga a mancare prima possibile, perché lì hanno la sensazione che l'esercito possa fare qualsiasi cosa con la scusa dell'ostaggio.
Io cercherò di tenermi in contatto, anche se lui prevede che nei prossimi giorni potrebbe essere difficile.
Com'è diverso leggere i giornali e parlare con la gente vera,
saluti a tutti.

Matteo

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Carissimi,
vi inoltro, come ho già fatto nei giorni scorsi, le notizie che stiamo ricevendo dal Cric presente a Gaza. Aggiungo, alle terribili notizie giunte dalla Striscia, che ieri, già dal pomeriggio, l'esercito di occupazione è entrato in forze anche a Ramallah.
Come probabilmente avrete saputo, hanno arrestato numerose personalità dell'attuale governo palestinese (8 ministri, 23 membri del parlamento e una trentina tra sindaci e membri dei comuni). Sembra inoltre che, sempre in nottata, sia stato trovato il corpo del colono rapito, ucciso con un colpo di arma da fuoco e chiuso in una macchina: sembra, sempre secondo fonti locali, che sia stato ritrovato nella zona di al-Tire, che è il quartiere subito dopo Ramallah vecchia (questo per chi abbia un'idea della città).
Personalmente ho visto circa 8 jeeps dell'esercito israeliano girare nella notte, ma non erano le uniche: almeno un altro gruppo di mezzi dell'esercito girava nei pressi della Muqata'a. Nel pomeriggio, invece, verso le ore 17 le jeeps dell'esercito sono entrate a Ramallah sempre nei pressi della Muqata'a per effettuare un arresto.

Un abbraccio
Margherita

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Gaza, 28 giugno 2006
Operazione "Summer rain"


E così è stato. Una pioggia di missili che hanno colpito ponti, trasmettitori di elettricità, strade. Con la scusa di limitare i movimenti dei palestinesi che hanno in mano l'ostaggio, hanno colpito tutto quello che era possibile buttare giù in questo primo attacco.

La pioggia di missili, in questa calda sera di estate ha cominciato a farsi sentire intorno alle ore 11.30. I mezzi militari ammassati alla frontiera si sono mossi in direzione di Rafah (a sud della Striscia di Gaza, confine con l'Egitto) occupando l'area dell'aereoporto palestinese, dove hanno preso posizione e da li è iniziato il bombardamento. Tre ponti di collegamento nord - sud della striscia stati distrutti. La grande centrale elettrica è stata bersagliata dai missili. Finita di costruire lo scorso anno, serve circa il 60% della popolazione di Gaza, Anche israele avrebbe dovuto acquistare una quota di elettricità. "I danni subiti ammontanno a circa 20 milioni di dollari"... ci dice l'ingegnere Walid "e ci vorranno dai tre ai sei mesi per rimetterla a regime". Sono stati tirati sulle sei turbine 10 missili. Sono pezzi difficili da trovare e molto costosi, inoltre con la chiusura ormai cronica di ogni frontiera, i tempi si allungheranno molto.

Nessuno ha dormito questa notte, la gente è rimasta incollata ai televisori e alle radio per avere le notizie della preannunciata invasione militare. Questa mattina erano assonnati, per la notte passata in bianco, o meglio di fuoco. Hanno iniziato un nuovo giorno contando i danni e, pronta ancora una volta a ricostruire, riprendendo con tenacia e la solita speranza, la vita quotidiana.

I ponti distrutti sono già stati sostituiti da strade alternative per le quali i palestinesi hanno lavorato tutta la notte per poter riaprire le vie di comunicazione. Stessa cosa per garantire l'elettricità. Stanno cercando di riparare e razionare l'elettricità alla popolazione. Chiaramente per il momento si sta facendo uso di generatori, ma considerando la scarsità di gasolio, una volta terminate le scorte, la situazione sarà alquanto difficile.

Nel frattempo sul fronte diplomatico, pare che le trattative siano ferme, la percezione è quella che ad Israele non interessi tanto la vita dell'ostaggio, quanto annientare per sempre la forza di Hamas. Alle organizzazioni umanitarie, Croce Rossa Internazionale compresa, è stato chiesto di evacuare tutte le aree coinvolte dall'invasione militare. In un momento di così grave crisi umanitaria, a nostro parere l'atteggiamento dovrebbe essere inverso, dovrebbero essere permesse e garantite tutte le operazioni umanitarie possibili, affinché la popolazione non paghi il solito alto prezzo di morte.

Meri
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Dall'analisi alle testimonianze alle denunce ufficiali
la Presidente della Commissione Sviluppo al Parlamento Europeo Luisa Morgantini, Roma 30 giugno 2006
"Fermare Israele per la sua salvezza e per quella dei palestinesi: intervengano le forze ONU"

"A Gaza e nei Territori occupati la situazione è insostenibile. È passato il tempo delle dichiarazioni ufficiali: intervengano subito le forze d’interposizione delle Nazioni Unite”, lo ha dichiarato Luisa Morgantini (GUE/NGL) Presidente della Commissione Sviluppo al Parlamento Europeo in seguito all’escalation delle violenze di questi giorni nella Striscia di Gaza.

"La fase attuale è talmente esplosiva che si fanno sempre più urgenti misure eccezionali da parte della Comunità Internazionale, dell’Europa e dei singoli Governi” ha continuato Luisa Morgantini. “Auspico in particolare che il Governo Italiano faccia tutto quanto in suo potere per evitare l’ulteriore aggravamento della crisi israelo-palestinese e si adoperi con ogni mezzo per far cessare le violenze” ha aggiunto la Morgantini.

“In un momento in cui si è raggiunto l’accordo storico tra Hamas e Fatah sul “documento dei prigionieri”, riconoscimento implicito ma inequivocabile dello Stato d’Israele, Tel Aviv continua, invece, ad ostacolare ogni possibilità di soluzione pacifica del conflitto, dimostrando di preferire alla logica del negoziato una logica militare, sequestrando ministri e parlamentari. Il rapimento del soldato israeliano, che condanniamo, non può in nessun modo giustificare un’offensiva, da parte del Governo israeliano, violentissima e indiscriminata che mira ad affossare ogni leadership palestinese: a pagarne il prezzo sono sempre i civili, vittime di un’irresponsabile e pericolosissima punizione collettiva. Strade, ponti, centrali elettriche sono bombardati senza sosta, lasciando sempre più isolata la striscia di Gaza e al buio e senza acqua corrente oltre la metà della sua popolazione ”.

“Come Comunità Internazionale, non possiamo più rimanere osservatori esterni e inerti: le Nazioni Unite e le loro forze d’interposizione devono agire subito per ristabilire un quadro di legalità nella regione, intimare la fine immediata dell’aggressione israeliana, il rilascio degli otto ministri e dei membri di Hamas fermati, esortare l’Anp a continuare nelle trattative per la liberazione del soldato israeliano rapito e infine condannare con forza ogni atto che ostacoli la rapida ripresa dei negoziati di pace.

L’Unione Europea e il Quartetto, inoltre, devono intervenire immediatamente per far fronte alla crisi umanitaria della Striscia di Gaza, pretendendo dal Governo Israeliano la riapertura dei valichi per il passaggio delle merci”.


Dalle denunce alla fatica di comprendere

Comprendere e discernere il vero pensiero dei leader di Hamas non è sforzo comune. Ben più facile è ripetere il ritornello :"La colpa è di Hamas che non riconosce Israele". Ma a dirla tutta anche questa scusa non dovrebbe tenere più dopo il 27 giugno con l'accordo Fatah-Hamas sul documento dei prigionieri. Per i più non serviva dare alcun rilievo alla "svolta storica dell'accordo sul piano di pace dei prigionieri" in cui Hamas di fatto ufficialmente RICONOSCE ISRAELE a fianco dello stato palestinese! (ma voi l'avete letta questa notizia?). Il 27 giugno si è arrivati a questo accordo Fatah-Hamas con una piattaforma basata sul principio dei due stati per due popoli, sui confini del 67 e Gerusalemme capitale dei due stati. Un cambiamento di rotta tanto atteso quanto sottovalutato da Israele e Usa preoccupati di dover riprendere veri accordi di pace con l'interlocutore palestinese. Fatah l'ha ritenuto "svolta politica di grande importanza" di cui sarebbe "un grave errore non coglierne l'importanza", visto che l'accordo "indica la direttrice su cui la pace va ricercata, quella indicata dalle Risoluzioni 242 e 338. È la pace fondata sul rispetto della legalità internazionale." Nella piattaforma c'è poi un altro passaggio davvero inedito: "si circoscrive la resistenza all'interno dei Territori Occupati. Resistenza alle forze di occupazione -peraltro contemplata dalla stessa Convenzione di Ginevra- e non più attacchi suicidi contro civili israeliani. L'Occidente chiedeva un gesto concreto contro il terrorismo: questo documento è una risposta importante che non va sottovalutata" (Rawhi Fattuh, leader di Fatah, L'Unità, 29 giugno 2006)


Vi hanno mai fatto sentire cosa pensa il Primo Ministro Ismail Haniya? Davvero interessante e orientativo per i nostri pregiudizi...
(L'intervista è precedente all'attuale escalation repressiva di Gaza).

Intervista di Der Spiegel con il Primo Ministro Palestinese Ismail Haniya, 12 giugno 2006-06-16
“Vogliamo la pace e la stabilità”

SPIEGEL: Mr. Primo Ministro, come ci si sente a vivere cucinando olio e olive?
Haniya: Quando dissi qualche settimana fa che la nostra gente avrebbe mangiato cucinando olio e olive se necessario, non intendevo che ci sarebbero stati solamente olio e olive. Quello che intendevo era che la nostra gente ha la necessaria pazienza per sopportare la difficile situazione attuale. I palestinesi farebbero piuttosto a meno di certi cibi piuttosto che dei loro diritti nazionali.

SPIEGEL: Ma non sembra che la gente volesse tenere Hamas al potere, non importa quale. I palestinesi fanno dimostrazioni ogni giorno per il latte e il pane, e gli impiegati delle autorità autonome chiedono i loro salari, che da tre mesi non ricevono. Ha sovrastimato la sua popolarità?
Haniya: La gente sta davvero soffrendo. Ma questo non è per colpa del governo. È la prima volta nella storia dell’umanità, che un popolo è stato punito per la sua elezione democratica, anche se stanno continuando a vivere sotto occupazione. Ma più aumenta la pressione sul governo, più sostegno riceviamo, sia dalle strade palestinesi che dal mondo arabo e islamico.

SPIEGEL: Ma chi è responsabile di questa crisi? Sono realmente solo i paesi che stanno boicottando la sua amministrazione? Il vostro comportamento non vi rende parzialmente responsabili?
Haniya: Questa non è una crisi politica, ma una dichiarazione di bancarotta morale da parte della comunità mondiale. So che molti in Europa non sono felici con le politiche dei loro governi verso la Palestina.

SPIEGEL: Ma si troverebbero poche persone in Europa che negherebbeo davvero ad Israele il diritto di esistere. In altre parole, si risolverebbe il problema riconoscendo Israele.
Haniya: sono stupito che vengano continuamente imposte delle condizioni sulle vittime e non sugli occupanti. Per primo bisognerebbe chiedere ad Israele di riconoscere il nostro diritto di esistere e il diritto di avere un nostro Stato palestinese.

SPIEGEL: Ma Israele lo ha già fatto con la “roadmap” internazionale del 2003.
Haniya: Il defunto Presidente Yasser Arafat e l’attuale Presidente Mahmoud Abbas hanno riconosciuto Israele e stabilito le basi dei negoziati per raggiungere una risoluzione del conflitto. E che cosa hanno ricevuto in cambio i palestinesi?

SPIEGEL: L’esercito israeliano si è ritirato dalle città palestinesi; una autorità autonoma con la sua forza di polizia ed elezioni democratiche parlamentari che l’ha portata al potere. E ancora Hamas si rifiuta di riconoscere Israele.
Haniya: Non stiamo parlando di inchiostro e carta, ma dell’esperienza degli anni recenti. Malgrado gli accordi, i trattati e i riconoscimenti, il popolo palestinese rimane un popolo sofferente per la povertà, l’ingiustizia e l’occupazione. Ci sono 475 blocchi stradali militari nella West Bank. La regione è divisa in cantoni. È stato costruito un muro che incorpora larghe parti del nostro territorio in quello di Israele. È stato imposto un embargo lungo l’intera striscia di Gaza. Gli insediamenti ebraici sono stati espansi ed è stata annessa la valle del Giordano. Non vogliamo firmare un altro documento, vogliamo migliorare la situazione del popolo palestinese.

SPIEGEL: Ma il governo di Israele ha ripetutamente dichiarato che i confini definitivi non sono ancora stati discussi. In altre parole, questa è una definizione preliminare dei confini, per lo meno dalla prospettiva di Israele. Tutto dipende se ci sarà un mutuo riconoscimento dei vostri rispettivi diritti di esistere.
Haniya: Se tutto quello di cui stavamo parlando fosse un mutuo riconoscimento, saremmo d’accordo. Ma la realtà è alquanto differente. Israele è contro la divisione di Gerusalemme, contro il ritorno dei rifugiati e contro il ritiro nei confini del 1967.

SPIEGEL: Se Israele si ritirasse entro i confini del 1967 e lasciasse Gerusalemme est, inclusi i siti santi islamici, ai palestinesi, sareste disposti a riconoscere Israele?
Haniya: Se Il Primo Ministro di Israele Ehud Olmert domani dicesse che Israele è disposto a soddisfare queste condizioni offriremo qualcosa in cambio.

SPIEGEL: Che cosa offrireste?
Haniya: Un lungo periodo di “Hudna”, o “cessate il fuoco”, per i prossimi 50 anni.

SPIEGEL: Ma perché solo questo? Perchè può andare un passo oltre e dire: Se Israele soddisfa queste condizioni, noi riconosceremo lo Stato di Israele?
Haniya: queste sono questioni ipotetiche. Fin qui, nessun leader di Israele ha annunciato queste concessioni. Invece, Israele annuncia delle misure unilaterali. Gerusalemme deve rimanere unita, i rifugiati non possono ritornare e i più grandi insediamenti non possono essere abbandonati. Questa è la realtà. Noi vogliamo sovranità, vogliamo uno stato e vogliamo vivere come gli altri popoli del mondo. Se Israele riconosce i nostri diritti, assicureremo che la pace e la stabilità ritornino in questa regione.

SPIEGEL: possiamo capire che molti palestinesi si sentano frustrati. Ma abbiamo l’impressione che due posizioni diametralmente opposte e irremovibili si stiano scontrando qui. Come ci può essere pace se nessuna parte è disposta a cedere a compromessi?
Haniya: Di chi è la responsabilità, delle vittime o del potere occupante?

SPIEGEL: Gli israeliani sono responsabili dell’occupazione del West Bank. Ma il vostro governo è responsabile delle minacce alla stessa esistenza di Israele. Voi fate delle richieste che scuotono lo Stato di Israele alle sue fondamenta, il diritto ai ritorno dei rifugiati, per esempio.
Haniya: esiste uno statuto di limitazione dei diritti dei rifugiati? Il mondo non vede la sofferenza di milioni di palestinesi che hanno vissuto in esilio in giro per il mondo o in campi per rifugiati durante gli ultimi 60 anni? Nessun Stato, nessuna casa, nessuna identità, nessun diritto a lavorare. Il mondo non vede questa ingiustizia?

SPIEGEL: Il mondo vede questi fatti. Ma ci sono stati molti rifugiati nell’arco della storia. In milioni vennero forzati a scappare dalle loro case dopo la seconda guerra mondiale. Ciò nonostante, lo status quo venne accettato nell’interesse della pace. Un eventuale ritorno di questi rifugiati avrebbe causato nuova sofferenza.
Haniya: Il diritto di ritorno è un diritto individuale. Nessuno che rappresenti i palestinesi, nè le varie organizzazioni, né il governo, né il presidente, ha l’autorità di rinunciare a questo diritto. Ogni rifugiato può decidere per se stesso se vuole ritornare nel suo Paese natale.

SPIEGEL: In altre parole, può decidere di spostarsi piuttosto in un nuovo Stato palestinese e ricevere un compenso finanziario per questo?
Haniya: Si aspetta che i palestinesi vendano il loro paese natio, la loro madre terra, per denaro?
SPIEGEL: No, ma le proposte devono essere realistiche. Nel 1947 le Nazioni Unite decisero di dare al popolo ebraico il loro proprio Stato. La maggioranza ebraica sarebbe messa in pericolo se 4 milioni di palestinesi ritornassero.
Haniya: Il diritto di ritorno è menzionato nelle risoluzioni internazionali, che contengono anche l’opzione della compensazione finanziaria.

SPIEGEL: È ancora in atto il cessate il fuoco che Hamas ha accordato nel marzo del 2005?
Haniya: È ancora in atto, e Hamas e le atre organizzazioni lo stanno rispettando. Sono gli israeliani quelli che stanno violando il cessate il fuoco – bombardando e occupando il territorio.

SPIEGEL: Se tutte le organizzazioni stanno rispettando il cessate il fuoco, come spiega l’attacco al bus terminal del 17 aprile? E perché Hamas cerca di giustificare questo attacco chiamandolo “resistenza”?
Haniya: Siamo un popolo che non ha mai attaccato gli altri. Non siamo noi gli aggressori. Vogliamo pace e stabilità in questa regione. Gli israeliani sono il problema. Devono smetterla con le uccisioni mirate e il bombardamento quotidiano sulla striscia di Gaza.

SPIEGEL: Questo significa che il vostro governo sta facendo tutto ciò che può per prevenire gli attacchi?
Haniya: Noi vogliamo pace e stabilità in questa regione. Io invito Israele a stabilire le condizioni che permettano al mio governo di ottenere un lungo periodo di cessate il fuoco.


E UN' ESCLUSIVA PER BOCCHESCUCITE: dialogo con ZVI SHULDINER a Venezia

"La pace sarà un mito dettato unilateralmente da Israele, ignorando i diritti e le aspirazoni dei palestinesi. E questo sarà possibile anche grazie al silenzio internazionale di questi giorni." Puntuale e coraggioso come sempre, il giornalista israeliano ZVI SHULDINER è passato in laguna alcune settimane fa. Lunghissime chiacchierate non potevano che esser "compresse" in questo testo che vi offriamo di seguito, con la raccomandazione di seguirne le attente analisi sul Manifesto di questi giorni:
"Quanti palestinesi e quanti giovani soldati israeliani pagheranno con la loro vita per la decisione presa? Non lo sanno i nostri grandi strateghi? E se lo sanno, qual'è l'agenda reale nascosta tra la distruzione seminata dalle nostre truppe, la sofferenza che creano e gli arresti delle ultime 24 ore? (...) da parte israeliana forse l'obiettivo più importante è dimostrare ancora una volta che non c'è un interlocutore da parte palestinese. E se è così non è necessario negoziare...
(30 giugno)

HAMAS
Ci sono diversi deputati di Hamas: alcuni sono fondamentalisti, altri indipendenti: in generale emerge una reale possibilità di dialogo. La realtà di Hamas non è monolitica. È necessario ricercare delle soluzioni pragmatiche. Hamas in quest’ultimo anno e mezzo ha rispettato la tregua. Cercare di distruggere il governo di Hamas significa rafforzarlo.
ZVI: I deputati di Kadima sono amorfi, e accettano senza particolari riserve una soluzione unilaterale al conflitto. Qualcuno tra loro è più realista, altri sono più fondamentalisti. È indispensabile comunque non scivolare sempre negli stereotipi.

VIOLENZA E TERRORISMO
È necessario capire la violenza, anche in occidente. Io ho cominciato leggendo la Bibbia, per capire come ad esempio educhiamo i bambini ad un certo tipo di pensiero: Giuditta, Oloferne, Sansone… la cultura della violenza, dell’essere patriota, l’accettazione della violenza quando è favorevole al mio popolo… Tutto ciò ci fa capire che ci sono delle motivazioni religiose terribilmente serie e profonde, che partono dalla Bibbia e arrivano fino ai nostri giorni.
È importante dare la parola all’occupato e dire: “ Non accettiamo la violenza, ma vogliamo capirla nel suo contesto storico, anche per demistificarla.” Dobbiamo poi pensare alle nostre forme di violenza sociale ed economica nei confronti dei paesi poveri. Stiamo uccidendo milioni di persone in Africa. La violenza non è solo quella del terrorista. Se siamo veramente contro la violenza, siamo contro un sistema violento che impone all’altro il ricorso alla disperazione. Il terrorismo è l’arma del debole. Dobbiamo dare voce ai più deboli.
Dico no al terrorismo per molte ragioni: etiche, pratiche, politiche. Ma allo stesso tempo voglio capire il terrorismo per dire no anche al terrorismo statale e per tentare di individuare una via d’uscita. Usare la forza, in una spirale senza fine, non funziona; è dimostrato anche praticamente.

SIMMETRIE
L’immagine del terrorismo ha creato la questione della simmetria.
ZVI: Tra Palestina ed Israele non c’è simmetria: c’è un’occupazione, ed è l’occupazione del più forte. Questo è sempre dimenticato. L’ANP è vista come un’entità statale: ma non è così. Non c’è uno Stato. Un Generale ora in pensione, responsabile dell’organizzazione civile nei Territori Occupati, diceva: “Che significa che i Palestinesi devono fare guerra al terrorismo? Ogni momento della loro vita è sottoposto al nostro controllo!” Quando noi israeliani vogliamo, andiamo dove ci pare. Ma i media creano l’immagine di un’ANP equivalente ad uno Stato indipendente, e quindi responsabile di quello che avviene sotto la sua amministrazione. Perfino Hamas è sotto occupazione israeliana,. E Gaza oggi è un’enclave, ed è più facile controllarla da fuori che da dentro.
La frase ‘Hamas non riconosce Israele’ suggerisce invece una simmetria effettiva: nemmeno Israele riconosce, nei fatti soprattutto, la possibilità che la Palestina diventi uno Stato. O si arriva ad una soluzione positivamente simmetrica, con un reciproco riconoscimento dei diritti nazionale, o si avrà una guerra permanente. I pacifisti italiani devono sollecitare Hamas a riconoscere Israele. Ma devono anche spingere Israele a riconoscere il diritto dei palestinesi alla formazione di uno Stato. E il minimo storico sono le frontiere del ’67.
È poi importante che ci sia una simmetria del viaggio: i pacifisti internazionali devono venire anche in Israele ad incontrare l’israeliano medio, che soffre per la povertà e la disoccupazione; devono incontrare il beduino israeliano, che ha un’identità complessa. E l’arabo-israeliano. La simmetria in questo caso è andare verso le due società.

ANTISEMITISMO
Non bisogna cadere nella trappola della propaganda: essa è vincolata anche ad una nostra manipolazione dell’Olocausto. Ci sono molte interpretazioni sull’olocausto e tra queste c’è la tentazione di muovere accuse di antisemitismo a fronte di qualsiasi critica.
ZVI: Ma noi ebrei possiamo anche dire che dall’Olocausto si può trarre una lezione universale, importante. Significa adottare alcuni valori di base che devono stare anche a fondamento delle nostre scelte politiche, e mantenere un comportamento etico per se stesso, senza scivolare in comparazioni.
Certo bisogna anche stare lontani da un uso demagogico dell’Olocausto, e la sinistra italiana non lo ha sempre fatto.
Il carcere israeliano non è certo un bel posto. Ma non è un lager, non è un campo di sterminio e alla fine non c’è la camera a gas.
A volte la sinistra ha utilizzato un linguaggio che freudianamente riprendeva schemi antisemiti. E questo non favorisce niente. La sinistra deve ricreare una sua chiara posizione contro l’antisemitismo e contro l’uso di tutti gli stereotipi.
Anche i pacifisti che arrivano in Israele e Palestina usano un linguaggio solo unilaterale. E questo presta il fianco a far dire ‘Sono tutti antisemiti’.
Bisogna avere chiari i valori di base: in questo modo si può consapevolmente e liberamente condannare parimenti il terrorismo kamikaze e il terrorismo di stato e non temere allora di essere tacciati di antisemitismo.

UNILATERALISMO
Olmert non sta portando niente di nuovo: è la continuazione dell’unilateralismo di Sharon. La politica della forza è chiara: significa voler affermare che siccome non c’è un partner… faccio da solo!
ZVI: Ad agosto dello scorso anno Furio Colombo era arrivato a paragonare Sharon a De Gaulle! La ritirata da Gaza è stata positiva per molte cose. Ma la strategia politica era chiara: non c’è un partner con cui trattare e Israele ha individuato una soluzione territoriale che confaceva al proprio esclusivo interesse. Questo significa essere miopi e non capire che se la soluzione trovata è inaccettabile per il proprio partner, il conflitto continuarà in eterno. Con l’amico non c’è bisogno di fare la pace. E anche oggi, con Hamas al potere, dovremmo ricordarci che la pace si fa con il nemico anche quando non ci è simpatico. Oggi siamo di fronte ad un grande, nuovo e più sfumato unilateralismo.
È urgente e necessario dire che il progetto Olmert non è diverso dal progetto Sharon.

AL NUOVO GOVERNO ITALIANO
Se potessi chiedere al nuovo governo italiano una cosa esagerata, chiederei il zapaterismo.
Rimanendo entro una richiesta più moderata, vorrei una voce italiana ed europea diversa dalla voce americana. Non voglio tanto sentire proposte che riguardino le emergenze umanitarie: voglio sentire parlare di una politica diversa, chiara, che si occupi davvero di ricercare una via alla pace. E la via alla pace non è la via dell’unilateralismo. Hamas deve riconoscere Israele, ma questo deve avvenire all’insegna del dialogo.
Negli anni ’70 la sinistra israeliana sosteneva la necessità di dialogare con l’OLP, e veniva tacciata di tradimento. Poi il dialogo è avvenuto. Oggi è esattamente lo stesso.
La sinistra italiana deve parlare con Hamas per capire come poter facilitare il dialogo. E Hamas deve sapere che la sinistra crede in due stati per due popoli, semplicemente perché questa è una questione di principio.

Un appello
7 luglio, dalle 20 alle 24: tutti a Piazza Farnese a ROMA per la Palestina e per la pace


È ora di dire tutti insieme basta alle stragi, al terrore, alle violenze.
Chiediamo che Israele fermi la sua macchina da guerra e faccia valere la ragione. Chiediamo l’immediato rilascio del soldato israeliano. Non sono i carri armati, né le aggressioni, né i sequestri a costruire condizioni di pace, di giustizia e di convivenza. È ora che i Governi dei paesi europei, a partire dal nostro Governo, intraprendano una nuova politica, rispettosa delle risoluzioni delle Nazioni Unite e della parere della Corte dell’Aja, ripristinando gli impegni presi con l’Autorità Nazionale Palestinese in materia di aiuti e di assistenza, promuovendo con determinazione e coerenza il tavolo del confronto e del negoziato tra le parti.
Questo favorirà anche la ricomposizione dei contrasti dentro la società palestinese. È necessario confermare l’appoggio ed il sostegno al processo democratico ed ai suoi risultati , come unica risposta a chi opera per dividere le varie componenti palestinesi, per creare conflitto e caos. Il recente accordo tra Fatah e Hamas dimostra che il dialogo ed il rispetto danno buoni risultati, che la violenza ed il terrore seminano solo odio e disastri.
Tra pochi giorni saranno passati due anni dal parere della Corte di Giustizia dell’Aia del 9 luglio 2004 che dice:

«L’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, sta costruendo nel territorio palestinese occupato, ivi compreso all’interno e sui confini di Gerusalemme est, e il regime che lo accompagna,sono contrari al Diritto internazionale...
Israele è obbligato a porre termine alle violazioni del Diritto internazionale di cui è l’autore; è tenuto a cessare immediatamente i lavori di costruzione del muro... di smantellare immediatamente l’opera situata in questo territorio e di abrogare immediatamente o privare immediatamente di effetti l’insieme degli atti legislativi e regolamentari che vi si riferiscono...
Israele è obbligato a riparare tutti i danni causati con la costruzione del Muro...
Tutti gli Stati sono obbligati a non riconoscere la situazione illecita derivante dalla costruzione del Muro e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento della situazione creata da questa costruzione; tutti gli Stati parti della Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, dal 12 agosto 1949, sono inoltre obbligati nel rispetto della Carta delle Nazioni unite e del Diritto internazionale, a far rispettare da Israele il Diritto internazionale umanitario incorporato in questa Convenzione».

Ma la costruzione del Muro e le sue drammatiche conseguenze sulle condizioni di vita dei palestinesi continuano a demolire le speranze di pace e di giustizia.
È urgente, quindi, far sentire tutte le voci possibili della società civile e quella di una nuova politica che chiedano il reciproco riconoscimento, la fine dell’occupazione, lo smantellamento del muro e la nascita di uno Stato palestinese indipendente che possa vivere in pace e sicurezza accanto a quello di Israele.
Sosteniamo la società civile israeliana democratica nella sua opposizione a questa escalation di violenza.

7 LUGLIO A ROMA - PALESTINA: NE’ MURI NE’ SILENZI
Basta con le violenze, l’occupazione e il muro: per uno Stato palestinese
indipendente fondato sul diritto internazionale, accanto allo Stato di Israele

Per una nuova politica estera in Italia e in Europa: pace, giustizia, diritti in Medio oriente. Arci, Associazione per la pace, Associazione ONG italiane, Associazione Giuristi democratici, Beati i costruttori di pace, Casa della Pace, CGIL, Donne in nero, Ebrei contro l’occupazione, FIOM-Cgil, FGCI, Fotografi senza frontiere, Giovani comunisti, ICS, La Rinascita, Libera, Mezzaluna rossa palestinese, Pax Christi. Aderiscono: Prc-Sinistra europea, PdCI, Punto critico, Verdi

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