n. 12 - 15 luglio 2006

Equidistanti, equivicini... "Buona guerra, Israele!"

...ammutoliti ci chiediamo, cari amici di Bocchescucite, cosa potrebbero pensare dei nostri farfuglianti equilibrismi le persone che in questi giorni a Gaza, in Israele, in Libano e anche in Cisgiordania stanno vivendo ore terribili, se avessero voglia e modo di scorrere i giornali italiani con lunghe disquisizioni su “misure sproporzionate”, “inviti alla moderazione” ed “equivicinanza”, Cosa penserebbero dell'equivicinanza le intere famiglie straziate nelle loro case dai massacri o i 15 bambini inermi fatti esplodere tutti insieme sul bus (ma il generale israeliano interpellato ha risposto:"non possiamo mica lanciare caramelle dagli aerei!").

A Gaza manca ormai tutto e non si contano gli appelli disperati degli organismi internazionali ( dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, alla Caritas (“la gente è allo stremo!”); dal Programma Alimentare Mondiale, all'Unicef (“migliaia di bambini alla fame”); dall'Onu (“la condotta d'Israele è moralmente indifendibile perchè sta violando le norme fondamentali dei diritti umani” ), alla Croce Rossa (“Togliamo il velo di silenzio e rompiamo il nostro tradizionale riserbo: è fondamentale che l'opinione pubblica sappia ciò che avviene e denunciare gli abusi e le violazioni della Convenzione di Ginevra, allo stesso modo di Guantanamo” M. Barra, Presidente Croce Rossa Italiana). Ma sconcerta l'ipocrisia e il silenzio del mondo quando ad una così chiara denuncia Israele risponde: “Non c'è nessuna crisi umanitaria. Restare senza luce non ha mai ucciso nessuno” (il Segretario del Primo Ministro Olmert, 2 luglio).

Il Libano è distrutto. E' isolato in una morsa mortale e le parole e gli aggettivi che usiamo in questo momento domani saranno inadeguati a descrivere questo mare di distruzione e morte. Ma i nostri politici, con Fassino e Veltroni in prima fila, organizzano veglie ed espongono bandiere inneggianti alla guerra (sintesi di questa follia l'editoriale del Giornale: "Buona guerra, Israele. Altro che uso sproporzionato: con tutte le tue armi devi difenderti mentre l'Italia ti incoraggia: Buona guerra, Israele!" (17 luglio) Milioni di esseri umani sono sprofondati nell'angoscia. E in Cisgiordania si continua a sottostare ad un'occupazione infinita che non impegna più neanche una riga di giornale, come presto ormai sarà per l'invasione e distruzione di Gaza.

L'unico riferimento al calcio e ai Mondiali che possiamo sopportare in questo disastro, è il racconto di Amira Hass che da Rafah seguiva le partite con la gente, con la luce che va e che viene: "sono davanti alla TV mentre aerei ed elicotteri passano sopra loro, e non se ne curano. Si fuma e si scommette su quando comincerà l'afla (la 'festa', il bombardamento) e quale sarà il prossimo bersaglio. Forse il Ministero degli Esteri che non è ancora stato toccato. La gente vuole vivere. Non ce ne importa niente: ci possono bombare in qualsiasi momento ma vogliamo vivere. Vogliamo portare fuori i bambini, vogliamo guardare i mondiali. Forse ti sembrerà strano ma non ci chiudiamo più in casa. Una volta avevamo paura di portare i piccoli al mare. Ora non ci importa più niente. Lasciateci vivere. Israele e il mondo non capiscono: questa è un'occupazione ed è questo a riempire la gente di odio" (Internazionale n.649)

IN QUESTO NUMERO due pezzi sono in esclusiva per BoccheScucite: un efficace inquadramento storico che ci regala Alberto Tonini dell'Università di Firenze e la viva voce di un carissimo amico arabo-israeliano che abbiamo raggiunto per telefono in Galilea, al confine col Libano. E così, mentre l'articolo (tradotto in tempi record da Giancarlo Ferro) di Tania Reinhart, giornalista e scrittrice di Tel Aviv, ci invita a leggere lucidamente ciò che sta accadendo, il nostro amico Geries Koury, teologo arabo-israeliano, ci chiede di parlare, di amplificare in ogni modo anche la voce degli israeliani. Perche loro sono lì e lì rimangono. A resistere o a morire. E chiedono a noi europei di prendere posizione. Dalla parte della giustizia: 'EQUI' e basta allora, come ci sollecitano ad essere gli "Ebrei europei per una pace giusta". Sì perchè vogliamo anche stare dalla parte degli israeliani, come Geries e tutte le vittime dell'arroganza militare del loro governo. Un israeliano, Uri Avnery, afferma: "L'obiettivo vero è il cambio di regime e l'instaurazione in Libano di un governo fantoccio. Come per l'invasione del 1982: un'operazione approntata da mesi che aveva bisogno solo di una provocazione". E Amos Oz: "L'invasione del Libano da parte di Israele nel 1982 puntava a distogliere l'attenzione del mondo dal problema palestinese". E Moni Ovadia: "E' indiscutibile che l'occupazione e colonizzazione delle terre palestinesi sono la causa fondante di questo pasticcio". Dalla parte degli israeliani che vorrebbero pretendere dal fragilissimo Libano il rispetto dell'Onu ma sanno che il loro governo ha puntualmente ignorato ogni Risoluzione; gli israeliani che sanno che il loro riconoscimento e la loro sicurezza dipende dal riconoscimento e dalla sicurezza dei popoli in mezzo ai quali abitano.

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Uno squarcio nella storia
da Gaza a Beirut, la musica non cambia (per ora)


Come valutare quello che sta succedendo in Libano? Tutti parlano di una nuova guerra, ma per fare una guerra occorre essere in due. La sproporzione delle forze in campo e l’assenza di un esercito libanese dovrebbero piuttosto far parlare di un’invasione del Libano da parte di Israele.
Il Libano è un paese che dal 1975 esiste solo sulle mappe geografiche, perché in realtà manca un’autorità centrale in grado di gestire l’apparato statale. Esposto alle ambizioni di Israele e della Siria, il paese dei cedri ha vissuto negli ultimi trent’anni lunghe fasi di intensa drammaticità.
Oggi rischia di ripetersi ciò che avvenne nel 1982, quando l’esercito israeliano, per allontanare la minaccia rappresentata dalle milizie dell’Olp, invase il Libano meridionale fino alla periferia di Beirut.
La comunità internazionale, che anche dal meeting dei G8 di San Pietroburgo ha perso un’eccellente occasione per tentare di bloccare la spirale di violenza, non ha preso alcuna posizione rilevante e, mi permetto di azzardare, non lo farà neanche nel prossimo futuro. Sono troppo lontane le posizioni di Russia e Stati Uniti rispetto alla situazione in Medio Oriente, e sono troppo poche le vittime civili finora registrate nella crisi libanese.
Solo se la situazione umanitaria dovesse improvvisamente precipitare, con un drammatico e sostanziale aumento delle vittime, potremo forse giungere allo spiegamento di una forza multinazionale, come già avvenne nel 1982 a protezione dei campi palestinesi di Sabra e Shatila, con i nostri soldati guidati dal colonnello Angioni insieme a contingenti di truppe statunitensi e francesi.
In ogni caso, l’eventuale intervento multinazionale non riguarderà, spiace dirlo, i territori palestinesi. Eppure, la situazione a Gaza è sempre molto drammatica e la contemporanea crisi libanese rischia di far dimenticare il destino dei palestinesi rimasti intrappolati fra Egitto e Israele.

Alberto Tonini, Prof. di Storia all'Università di Firenze. Per BoccheScucite, 17 luglio.

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Uno squarcio di testimonianza
“AMATECI E PARLATE"

Pax Christi intervista il teologo GERIES KOURY, arabo israeliano del nord Galilea

14 luglio 2006.
Nandino Capovilla: dalla fine di giugno si assiste al disastro di Gaza e alla sua rioccupazione. Giorno dopo giorno si elencano crimini gravissimi: l’arresto di dirigenti, la distruzione delle infrastrutture, e soprattutto le vittime civili. Ora si apre un altro fronte di guerra, quello libanese: cosa ne sarà di Gaza?

Geries Koury: La situazione a Gaza è drammatica: prima di tutto perché lì nessuno entra e nessuno esce. C’è mancanza di generi alimentari, di medicine, di olio, di acqua… È una situazione tragica. C’è poi una distruzione vasta delle infrastrutture: ponti, acqua, strade, energia elettrica. Inoltre centinaia di persone sono state uccise dagli attacchi israeliani. Si tratta spesso di intere famiglie. Tre giorni fa è stata sterminata una famiglia di nove persone: padre, madre, sette figli sono stati uccisi a casa loro. Purtroppo il mondo in generale fa dichiarazioni a livello umanitario (“Non si può fare così, non va bene…”), ma non prende una decisione per impedire questa violenza. Noi senz’altro siamo contro la violenza, da ogni parte essa arrivi. Ciò che è successo a Gaza è una cosa senza equilibrio, senza logica. Chiediamo alla comunità internazionale e anche ai nostri fratelli palestinesi di far di tutto per far finire questa ri-occupazione, questa ri-distruzione e l’umiliazione continua del popolo palestinese a Gaza e non soltanto; chiediamo pace in qualsiasi parte della Cisgiordania e a Gerusalemme. Sono stati arrestati ministri e deputati e tanta altra gente. Tante persone sono state uccise a Gaza e in Cisgiordania: questo non aiuta nessuno a raggiungere il minimo di una situazione di calma e di pace. La violenza genera odio e morte. E noi vogliamo vivere. Non vogliamo morire. Siamo contro la cultura della morte e della violenza. Ciò che è accaduto in Libano sta facendo dimenticare Gaza. Gli israeliani intanto fanno ciò che vogliono a Gaza. La situazione è molto tragica nel nord d’Israele e in Libano. Hanno distrutto le infrastrutture: ponti, strade, aeroporto. Una reazione sproporzionata, che un’altra volta genera più estremismo e fondamentalismo da entrambe le parti: sia quella israeliana, che quella araba e musulmana.

Nandino Capovilla: le reazioni dei media italiani in questi giorni sono varie e altalenanti: c’è un invito ad Israele alla moderazione; si riconosce che c’è una sproporzione di mezzi… Le organizzazioni internazionali hanno denunciato la gravità della situazione umanitaria. L’UE e l’Onu condannano, ma non si arriva a prendere una decisione politica. Secondo te la comunità internazionale cosa dovrebbe decidere?

Geries Koury: A me non interessa che la comunità internazionale faccia dichiarazioni umanitarie. Non voglio nemmeno sentirlo: la comunità internazionale è proprio la causa di ciò che accade in Palestina e in Libano. Soprattutto gli Stati Uniti sono responsabili. Sono convinto che da quando c’è l’amministrazione Bush l’Europa non possa fare molto. E finchè ci sarà Bush al potere non ci sarà pace nel mondo, anzi: Bush è interessato a che si espandano l’odio e la violenza e il terrorismo. A Bush manca un certo equilibrio e il senso dell’umanità: non capisce cosa succede nel mondo e tutto il mondo però gli ubbidisce, anche l’Europa. Mi dispiace dirlo, ma non vogliamo dichiarazioni o parole. Attualmente non c’è nessun atto politico fermo che ci dia soddisfazione o che ci aiuti almeno a sperare qualcosa di meglio per il futuro. Oggi la speranza non c’è quasi più. La gente è disperata e non crede più a ciò che si dice nelle televisioni e nei giornali; non ha più fiducia nella comunità internazionale e nei Paesi arabi perché per lei sono tutti servi degli Stati Uniti. D’altra parte però noi ringraziamo le persone, le comunità, le ONG che lavorano e stanno qui con noi, ci aiutano e cercano di rendersi utili. Ma a livello governativo e degli Stati… il problema vedete non è di parlare o di inviare denaro. Se non ci sarà una soluzione politica, tutto il resto non servirà niente e a nessuno.

Nandino Capovilla: Tu vivi in Israele (nel villaggio di Fassouta, nord Galilea), a pochi chilometri dal confine libanese: l’hai presentato al gruppo ‘Ricucire la pace’ di Pax Christi, l’estate scorsa. Ti chiedo la tua testimonianza di uomo, di cristiano, di arabo, di israeliano. Come vivi in queste ore e come vedi il futuro?

Geries Koury. In questi giorni la mia famiglia vive come tutte le altre famiglie, sia arabe che israeliane: abbiamo trascorso ore di paura, di tensione e incertezze. Ore, giorni e notti in cui aerei, bombe, missili, katiuscia sono passati vicino a noi e certo si sono fatti sentire. Alcune bombe sono cadute vicino al nostro paese o in paesi vicini. Abbiamo saputo anche cosa è successo in Libano: più di sessanta civili uccisi. Noi, gente che vive nel nord di Israele, arabi ed ebrei, abbiamo vissuto momenti terribili. Tanta gente, soprattutto ebrei, ha lasciato il proprio paese e si è rifugiata a Tel Aviv o verso il centro d’Israele. Noi non abbiamo un altro posto in cui andare. Dunque stiamo nelle nostre case e speriamo che non succeda niente a nessuno. In Libano è ancora peggio. E anche in questo caso io penso che ci sia un problema politico che ha bisogno di una soluzione giusta. Senza una soluzione, queste cose possono fermarsi un anno, due o dieci. Ma torneranno. Perciò la gente continua a vivere nell’incertezza, nella paura e nel dubbio, senza poter progettare un futuro sicuro per sé e per i propri figli. La comunità internazionale, l’Europa in particolare, deve saper svolgere un ruolo diverso da quello espresso in questi ultimi anni. Il ruolo europeo non deve seguire quello scelto dagli Stati Uniti, che hanno un’agenda molto diversa dalla vostra. Gli europei devono pensare in modo diverso, unendosi magari ad altre forze internazionali, per aiutare israeliani, palestinesi, libanesi e siriani a raggiungere una pace in cui tutti possano vivere tranquillamente. Una soluzione in cui la gente possa accettare il possibile e vivere in pace. Gli Usa cercano scuse per combattere in Medio oriente, per distruggere Siria e Iran. Potrebbero mettere fine a questa violenza. Invece qui non c’è la pace perché gli Stati Uniti non la vogliono.

Nandino Capovilla. Queste parole le rivolgi a tutte le persone vicine a Pax Christi, che come cristiane non possono perdere la speranza. Tu come cristiano, cosa chiedi a noi, tuoi fratelli in Cristo?

Geries Koury: l’unica speranza che mi è rimasta è la mia fede. Questa fede in alcune situazioni si indebolisce. Da arabo cristiano chiedo a tutti i fedeli non soltanto di pregare. La preghiera è molto importante: ci dà la forza, la speranza, rinnova in noi la forza e dona significato alla nostra vita. Noi però chiediamo ai nostri fratelli cristiani di parlare! E di chiedere ai politici, ai vescovi, ai sacerdoti, agli amici: dov’è Gesù in tutto quello che accade in Medio Oriente? È possibile che un cristiano taccia e non faccia niente? È possibile che un credente possa solo stare zitto? O non abbiamo forse una vocazione, una missione in mezzo a questo mondo, specialmente quando ci sono ingiustizia, povertà, bisogno di amore per gli altri? Amare gli altri è troppo importante per un cristiano. E quando noi sentiamo che la gente ci ama, riprendiamo speranza; quando ci sentiamo alienati dal mondo, ci disperiamo. Quello che chiedo ai nostri fratelli e sorelle cristiani in Italia e nel mondo è di amare il popolo palestinese. E di amare il popolo israeliano. Perché soltanto se ci amate, potete veramente fare qualcosa per la pace e la giustizia.

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Uno squarcio di analisi politica
Per che cosa stiamo combattendo?

di Tanya Reinhart

13 luglio 2006.
Qualsiasi sia il destino del soldato catturato Gilad Shalit, la guerra dell’esercito israeliano a Gaza non è scoppiata a causa sua. Come il superiore analista della sicurezza Alex Fishman ha ampiamente riportato, l’esercito si stava preparando per un attacco da mesi e stava continuamente spingendo in questa direzione, con l’intento di distruggere le infrastrutture di Hamas e il suo governo. L’esercito ha iniziato una escalation di violenza l’8 giugno, quando ha assassinato Abu Samhadana, un incaricato superiore del governo Hamas, e intensificato il bombardamento ai civili della striscia di Gaza. L’autorizzazione governativa per una azione su larga scala era già stata data il 12 giugno, ma venne posposta a seguito del riverbero causato dall’uccisione di civili nel bombardamento aereo del giorno dopo. Il sequestro del soldato ha fatto togliere la sicura, e le operazioni sono iniziate il 28 giugno con la distruzione di infrastrutture a Gaza e l’arresto di massa dei leader di Hamas nella West Bank, che era stato pianificato mesi fa. Secondo il punto di vista israeliano, Israele ha terminato l’occupazione di Gaza quando ha evacuato i suoi insediamenti sulla Striscia, e il comportamento dei palestinesi denota ingratitudine. Ma non c’è niente di più lontano dalla realtà di questa descrizione. Infatti, come già stipulato nel Piano di Ritiro, Gaza è rimasta sotto il completo controllo militare israeliano, operato da fuori. Israele impedisce a Gaza ogni possibilità di indipendenza economica e, fin dall’inizio, Israele non ha attuato nessuna delle clausole degli accordi sull’attraversamento del confine del novembre 2005. Israele semplicemente ha sostituto la costosa occupazione di Gaza con una occupazione più a buon mercato, che lo ha esentato dalla responsabilità, come stato occupante, di considerare il benessere e di preoccuparsi della vita di un milione e mezzo di residenti, come stabilito nella quarta convenzione di Ginevra.

Israele non ha bisogno di questo pezzo di terra, uno dei più popolati al mondo e scarso di risorse naturali. Il punto è che non si può lasciare Gaza libera, se si vuole tenere la West Bank. Un terzo dei lavoratori palestinesi vive nella striscia di Gaza. Se si desse loro la libertà, diventerebbero il centro della lotta palestinese per la liberazione, con libero accesso all’occidente e al mondo arabo. Per controllare la West Bank, Israele ha bisogno del pieno controllo su Gaza. La nuova forma di controllo che Israele ha sviluppato è di trasformare l’intera Striscia in un campo di prigione completamente sigillato al mondo.

Un popolo assediato e occupato con niente in cui sperare, e nessun mezzo alternativo di lotta politica, troverà sempre un sistema per combattere il suo oppressore. I palestinesi imprigionati a Gaza hanno trovato un modo per disturbare la vita di Israele nel vicinato della Striscia: lanciano razzi Qassam fatti in casa sopra il muro di Gaza, contro le città di Israele confinanti con la striscia. Questi razzi primitivi mancano della precisione di raggiungere un obiettivo, e hanno raramente causato perdite agli Israeliani; comunque fanno danni fisici e psicologici e disturbano seriamente la vita nelle cittadine israeliane prese di mira. Agli occhi di molti palestinesi, i Qassams sono una risposta alla guerra che Israele ha dichiarato loro. Ecco cosa disse uno studente di Gaza al New York Times, “Perché dovremmo essere i soli a vivere nella paura? Con questi razzi anche Israele sente la paura. Dovremo vivere in pace insieme, o vivere in paura insieme”.

Il più potente esercito del Medio Oriente non ha risposte militari a questi razzi fatti in casa. Una risposta che si palesa è ciò che Hamas ha proposto a lungo - e che Haniyeh ha ripetuto questa settimana – un esauriente cessate il fuoco. Hamas ha già dimostrato che può mantenere la parola. Nei 17 mesi da quando ha annunciato la sua decisione di abbandonare la lotta armata in favore di quella politica, e ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale (“tahdiya”), non ha partecipato al lancio di Qassam, eccetto sotto seria provocazione israeliana, come è successo nella escalation di giugno. Tuttavia, Hamas rimane impegnato nella lotta politica contro l’occupazione a Gaza e nella West Bank. Secondo l’ottica israeliana, i risultati delle elezioni palestinesi sono disastrose, perché fin dall’inizio hanno avuto una leadership che insiste a rappresentare gli interessi palestinesi, piuttosto che collaborare con le richieste israeliane.

Poiché terminare l’occupazione è l’unica cosa che Israele non desidera considerare, l’opzione promossa dall’esercito è di distruggere i Palestinesi devastandoli con la forza bruta. Verranno affamati, bombardati, terrorizzati con i boom sonici per mesi, finchè capiranno che ribellarsi è futile, e accetteranno che la vita da prigionieri è la loro unica speranza per rimanere vivi. Il loro sistema eletto di politica, le istituzioni e la polizia verranno distrutti. Nella visione di Israele, Gaza dovrebbe essere regolata da bande che collaborano con le guardie della prigione.

L’esercito israeliano è affamato di guerra. Non lascerebbe che la preoccupazione per i soldati catturati intralciasse la sua strada. Dal 2002 l’esercito ha sostenuto che una “operazione” lungo le linee dello “Scudo Difensivo” a Jenin era necessaria anche a Gaza. Esattamente un anno fa, il 15 luglio (prima del Ritiro), l’esercito concentrò le forze sul confine con la Striscia per un’offensiva su questa scala a Gaza. Ma allora gli Usa imposero un veto. La Rice arrivò per una visita d’emergenza che fu descritta aspra e tempestosa, e l’esercito fu obbligato a ritirarsi. Ora è finalmente arrivato il momento. Con la paura dell’estremismo islamico dell’Amministrazione americana giunta ad un alto livello, sembra che gli Usa siano preparati ad autorizzare una simile operazione, a condizione che non provochi una protesta globale con una eccessiva risonanza di attacchi a civili. Avendo ricevuto così luce verde all’offensiva, l’unica preoccupazione dell’esercito è la pubblica immagine. Fishman ha riportato martedì scorso che l’esercito è preoccupato che “ciò che minaccia questi grandi sforzi militari e diplomatici” siano le denunce della crisi umanitaria a Gaza. Per questo motivo, l’esercito si prenderebbe cura di portare del cibo a Gaza: ecco che in questo modo si preoccupa di alimentare i palestinesi a Gaza, così che sia possibile ucciderli indisturbati!

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Uno squarcio di resistenza
Documento dei Responsabili delle Chiese Cristiane di Gerusalemme sulla crisi nella Striscia di Gaza


8 luglio 2006
"Così è trascurato il diritto e la giustizia se ne sta lontana, la verità incespica in piazza, la rettitudine non può entrarvi. Così la verità è abbandonata, chi disapprova il male viene spogliato. Ha visto questo il Signore ed è male ai suoi occhi che non ci sia più diritto. Egli ha visto che non c'era alcuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva." (Isaia 59,14-16)

La violenza e l'aggressività di Israele in questo momento non hanno nessuna giustificazione né proporzione.
Un soldato israeliano è stato fatto prigioniero durante un combattimento. Un colono è stato rapito ed ucciso. Come risposta a ciò, le forze armate di Israele hanno distrutto tre ponti e una centrale elettrica causando milioni di dollari di danni e lasciando 750.000 persone nella striscia di Gaza senza acqua ed elettricità. Inoltre le forze armate israeliane hanno rapito 84 persone, tra le quali 7 membri del Governo palestinese e 21 membri del Parlamento (Consiglio legislativo) palestinese. Tutto ciò al termine di una settimana durante la quale 48 palestinesi sono stati uccisi compresi 27 civili innocenti. Tale statistica dell’orrore comprende anche 9 bambini ed una donna incinta.

Oggi, noi Responsabili delle Chiese Cristiane, diciamo: ciò che sta succedendo nella nostra terra è contro la legge e contro la ragione. È nostro compito di leader religiosi continuare a dire ciò alle autorità. È contro la legge e la ragione che voi perseveriate e ci portiate sulla via della morte: "Ha visto questo il Signore ed è male ai suoi occhi che non ci sia più diritto. Egli ha visto che non c'era alcuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva." (Isaia 59,15-16)

Noi condanniamo il rapimento del sodato israeliano e l’uccisione del giovane colono così come condanniamo il quotidiano rapimento o uccisione di dozzine di palestinesi e l’incarcerazione di centinaia di loro. I diritti di tutti, israeliani o palestinesi, hanno la stessa dignità e devono essere trattati allo stesso modo. Tutte le violenze e le aggressioni contro la dignità umana, sia da parte israeliana che palestinese, devono avere fine.
La nostra sofferenza, sia palestinese che israeliana, avrà termine quando la verità di ciascuno verrà riconosciuta. Deve essere riconosciuto il diritto di Israele di vivere in sicurezza. Allo stesso tempo però deve essere riconosciuto che il cuore del conflitto tra israeliani e palestinesi trova origine dalla privazione di libertà subita dalla popolazione palestinese. Noi sosteniamo fermamente la lotta contro il terrorismo, ma con pari fermezza ricordiamo che tale battaglia deve cominciare dalla risoluzione della causa che sta alla base di tanta violenza e cioè la privazione della libertà per la popolazione palestinese.
E' contro la legge e la ragione continuare a seguire la via della morte. L'imperativo morale è chiaro. Basta con ogni tipo di violenza. Basta con le morti. Proteggere la vita e la dignità delle persone. Dare il via ai negoziati. Rompere la catena assassina di violenza dalla quale siamo tutti avviluppati. E ascoltare la chiamata di Dio: "Sta lontano dal male e fa, il bene, cerca la pace e perseguila." (Salmo 33,15)

Gli eventi sono andati troppo oltre. Chiamiamo l'intera comunità internazionale ad intervenire ed a insistere per una soluzione diplomatica del conflitto. Tutte le autorità devono cambiare il loro modo di agire e con una inflessibile presenza e pressione internazionale, devono negoziare per raggiungere una pace giusta e definitiva:
"Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio". (Michea 6,8)

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