Non possiamo tacere e Prima che vi uccidano

Peppe Sini

Non possiamo tacere

di PEPPE SINI - La Nonviolenza in cammino Numero 1399 del 26 agosto 2006

Siamo arrivati a questo assurdo: che si convoca una manifestazione che si pretende pacifista a sostegno di un intervento militare, armato, di guerra.
Siamo arrivati a questo scandalo: che la principale rete pacifista italiana chiama ad esprimere sostegno a una politica internazionale fondata sulle armi, gli eserciti, le guerre.
Siamo arrivati a questa vergogna: di profanare la città del Poverello per propagandare sotto la definizione di pace la politica, gli strumenti e le azioni della guerra.
Come é stato possibile arrivare a tanto?

Con l’insediamento del nuovo governo le forze politiche democratiche che nel quinquennio passato dichiaravano di opporsi alla politica di guerra, razzista e militarista del governo golpista berlusconiano hanno ora abbracciato pienamente quella politica.
In questa scelta folle e criminale hanno trascinato anche in primo luogo quei cosiddetti movimenti che vivono di finanziamenti pubblici e di carriere nepotiste e clientelari, poi anche coloro che si lasciano narcotizzare dalla propaganda totalitaria dei media.
Ed hanno anche trascinato personalità che in anni passati erano consapevoli che la guerra, gli eserciti, le armi, il militarismo sono un male, e che ora si sono arrese per intima disperazione, per completo smarrimento, per rassegnazione a un male che non sanno più come combattere, a una realtà alla quale non sanno più vedere alternative.

Ma le alternative ci sono.
Esse si riassumono sotto una scelta, la scelta della nonviolenza.
Che si articola in un insieme vastissimo di risorse atte a costruire la pace, la democrazia, la riconciliazione e la convivenza con mezzi di pace, di verità e di giustizia.
Che si articola in una diversa - più profonda e più complessa - idea del conflitto e nella coscienza della possibilità di una sua gestione e risoluzione fondata su quei principi attestati da tutte le grandi tradizioni giuridiche, politiche, morali: il negoziato, la mediazione, la ricerca comune della verità e dell’equilibrio, l’impegno alla civile convivenza dell’intera umanità sull’unica terra che abbiamo.
Essa si articola in forme di lotta non meno ma più impegnative delle modalità militari: la nonviolenza é la lotta più forte.
Ma é tale la catastrofe politica e morale della sinistra italiana che tutto ciò sembra essere stato dimenticato, insieme a secoli di lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani, insieme a due secoli di lotte del movimento operaio, insieme a due secoli di lotte del movimento delle donne, insieme alle lotte anticoloniali e di liberazione, politiche e sociali, economiche ed ecologiche per la difesa delle basi stesse della vita e della civiltà umana sul pianeta.

Davvero é nel giro di un paio di mesi che si é verificata una catastrofe politica, morale e intellettuale senza precedenti nel nostro paese?
Davvero é bastato che i partiti residuati dal crollo dell’Urss andassero al governo perché si convertissero tutti all’imperialismo e alla guerra?
No, é stato un processo di ben più lungo periodo: la distruzione della cultura democratica in Italia é stata il frutto del processi sociali e politici che nel nostro paese hanno dato luogo a quel che semplificando si suole chiamare "berlusconismo", un progetto eversivo che sta proseguendo anche senza Berlusconi, fatto proprio nell’ambito della politica internazionale dalla coalizione che le elezioni di aprile ha vinto proprio perché dichiarava di opporsi alla politica berlusconiana, ma che dal berlusconismo era stata già profondamente colonizzata.
La prosecuzione della partecipazione alla guerra afgana era più che un sintomo, era l’ulteriore dispiegarsi di un disegno politico organico e coerente, lo stesso che nel ’91 aveva coinvolto l’Italia nella prima guerra del Golfo e che nel ’99 aveva fatto dell’Italia la base di partenza dei bombardamenti che recavano strage in Jugoslavia.
Ben prima dell’11 settembre 2001, della guerra afgana e della seconda guerra del Golfo.
Di questo progetto politico di potenza - e sia pure da imperialismo straccione - che si avvale dello strumento militare come della sua risorsa principe, é pendant la politica razzista e assassina nei confronti dei migranti: politica che ha avuto il suo punto di precipitazione più abissale nella riapertura dei campi di concentramento in Italia nel 1998, primo ministro Prodi e firmatari della legge i ministri Turco e Napolitano.

Occorre resistere al militarismo e alla militarizzazione della politica e delle relazioni internazionali. Occorre resistere alla guerra e alla cultura della guerra.
Occorre resistere al razzismo imperialista e neocoloniale.
Occorre promuovere una politica della nonviolenza.
Con i corpi civili di pace, con la difesa popolare nonviolenta.
Con l’interposizione-mediazione nonviolenta nelle aree di conflitto.
Con la scelta della condivisione e dell’accoglienza.
Con gli aiuti a tutte le vittime, per affermare i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Opponendosi a tutti gli eserciti di ogni dimensione; opponendosi alla produzione, al commercio e all’uso delle armi; opponendosi ad ogni logica, struttura e progettualità militarizzate e militariste.
Facendo della nonviolenza il principio giuriscostituente su cui fondare le legislazioni nazionali e gli accordi internazionali.
Modificando profondamente l’Onu, in primo luogo facendo cessare l’equivoco della presunta legittimità delle missioni militari, e procedendo invece sollecitamente verso la realizzazione di una polizia internazionale che difenda la pace e demilitarizzi i conflitti.

Non si può essere per la pace e sostenere gli eserciti, le armi, la guerra.
La pace si costruisce con la pace. I diritti umani si difendono riconoscendoli a tutte le persone, e il primo diritto é non essere uccisi.
Le armi servono a uccidere, gli eserciti servono a uccidere, le guerre servono a uccidere.
E’ l’ora della scelta della nonviolenza.
Il pacifismo generico é morto. Solo la nonviolenza può salvare l’umanità.

Prima che vi uccidano
di Peppe Sini – La nonviolenza in cammino n. 1398 del 25 agosto 2006

Lo diciamo per tesi, nella forma piu’ sintetica possibile. Chissa’ che qualche persona di volonta’ buona non legga queste righe.

1. Il conflitto israelo-libanese non puo’ avere soluzioni militari, ma solo politiche, diplomatiche e negoziali.
Ogni intervento militare lo aggrava ulteriormente.
L’unico intervento internazionale utile e’ quello disarmato e nonviolento: di aiuto umanitario e infrastrutturale a tutte le vittime del conflitto, e di interposizione e mediazione nonviolenta tra le parti, atta alla costruzione di spazi di fiducia, di dialogo (ovvero di ascolto reciproco), di condivisione, di cooperazione, di riconciliazione, di convivenza.

2. Il conflitto israelo-palestinese va anch’esso smilitarizzato: la via per la soluzione, secondo tutti i vari modelli proposti, passa attraverso la cessazione dell’occupazione dei territori palestinesi da parte dell’esercito e degli insediamenti israeliani e la nascita di uno stato palestinese nell’area di prima della guerra dei sei giorni, con eventuali aggiustamenti territoriali concordati.

3. Il conflitto arabo-israeliano puo’ trovare risoluzione solo alla condizione della cessazione di ogni confronto armato, ed il passo decisivo e’ il riconoscimento ufficiale ed esplicito di Israele e del suo diritto ad esistere in sicurezza da parte di tutti i governi e le forze politiche legali di tutti i paesi dell’area mediorientale; riconoscimento che deve essere accompagnato da atti reali e cogenti: di scambio di rappresentanze diplomatiche e consolari dirette; di cooperazione economica tra governi e tra soggetti imprenditoriali; di cessazione, proibizione e repressione di ogni propaganda di odio antiebraico comunque mascherata; di cessazione, proibizione e repressione di ogni azione ed organizzazione terroristica (a tal fine sara’ necessario ovviamente anche negoziare con adeguati incentivi positivi la trasformazione di radicati movimenti politici anche armati - ma non solo armati - in movimenti politici che ripudino le armi e cessino ogni azione terroristica).

4. Il conflitto nord/sud puo’ trovare risoluzione solo attraverso il riconoscimento del debito del nord ricco ed industrializzato grazie alla rapina delle risorse del sud del mondo, la cessazione di tale rapina, la restituzione del maltolto in una cooperazione finalmente onesta in cui ai plurisecolari rapinati sia riconosciuto un effettivo e adeguato risarcimento.

5. Il conflitto occidente imperialista vs islamismo radicale (intendendo per occidente imperialista le politiche di sopraffazione e rapina tuttora in corso in vaste aree del pianeta da parte dei potentati politici-economici-militari mondiali, e per islamismo radicale le forze politiche - e politico-militari - che fanno dell’islam come fatto religioso uno strumento ideologico per legittimare la loro azione politica - e politico-militare e politico-criminale - di carattere totalitario) anch’esso richiede una smilitarizzazione e un disarmo delle parti che puo’ aver luogo solo con incentivi positivi alla pace, al riconoscimento e al dialogo. Finche’ perdurano politiche razziste, imperialiste e rapinatrici, finche’ perdurano guerre terroriste, finche’ si rifiuta di ascoltare le voci e di riconoscere le ragioni delle vittime, di tutte le vittime, la pace non verra’ mai. Spetta ovviamente ai soggetti piu’ forti - gli stati - fare il primo passo: ad esempio cessando di occupare militarmente i territori altrui e di rapinarne le risorse. Ad esempio avviando una politica di cooperazione orientata non allo sfruttamento ma alla promozione della sicurezza, della qualita’ della vita e della dignita’ di tutti gli esseri umani. Ad esempio cessando di creare, proteggere, tollerare, armare o finanziare organizzazioni e pratiche terroristiche. Ovviamente molte altre cose possono essere fatte, e un grande contributo puo’ esere dato dalle agenzie educative e della socializzazione; dalle grandi tradizioni di pensiero; da una effettiva cooperazione internazionale contro i poteri criminali. Ma senza cessazione delle guerre e senza disarmo tutto restera’ inutile.

6. Cosa puo’ fare l’Italia?
Impostare una politica internazionale fondata sulla costruzione della pace con mezzi di pace, sull’accoglienza, sulla cooperazione: una politica internazionale nonviolenta.
E’ parte di questa politica fare passi di disarmo unilaterale, di riconversione dell’industria armiera a produzioni civili, di contrasto al commercio delle armi; fare passi di progressiva smilitarizzazione della politica della difesa, sostituendo sempre piu’ lo strumento militare con forme di difesa popolare nonviolenta e corpi civili di pace; fare passi di sostegno ad ipotesi di creazione di uno strumento di polizia internazionale non militarizzato delle Nazioni Unite; fare passi di costruzione della sicurezza comune attraverso una politica di incentivi positivi alle scelte di disarmo e di democrazia.

7. Cosa non deve fare l’Italia?
Non deve fare quello che l’attuale governo (come gia’ quelli precedenti) sta sciaguratamente facendo: una politica internazionale fondata sull’intervento militare, una politica internazionale razzista e stragista nei confronti dei migranti, una politica internazionale di partecipazione alle guerre, una politica internazionale di potenza, di rapina e a suo modo colonialista ed imperialista e complice dell’imperialismo e del colonialismo.

8. Si e’ di fronte a un’alternativa secca: o centrare la politica internazionale di sicurezza comune su intervento nonviolenti e quindi di pace, o continuare con gli intervento militari e quindi di guerra.
Le due cose insieme non sono possibili.
Il risultato degli interventi militari di guerra e’ sotto gli occhi di tutti. Lo strumento militare e la scelta della guerra stanno portando l’umanita’ alla catastrofe.
Anche sulla base di un mero calcolo utilitario e’ giunta l’ora della scelta della nonviolenza come principio-guida delle relazioni internazionali.

9. Occorre lottare perche’ prevalga la scelta che salva le vite invece di esporne ancor piu’ alla morte.
Occorre lottare per far prevalere la pace, ed essa puo’ prevalere solo attraverso il ripudio delle guerre, degli eserciti e delle armi. I conflitti culturali vanno affrontati e gestiti sul piano culturale. I conflitti politici vanno affrontati e gestiti con la negoziazione politica.
I confliti militari vanno aboliti, trasferendoli sul piano della politica, del diritto e della cultura.
La cooperazione economica-ecologica e’ lo strumento principe della politica internazionale.
I crimini vanno perseguiti con le polizie ed i tribunali.
A tutti gli esseri umani vanno riconosciuti tutti i diritti umani.

10. P. Q. M. chiediamo al parlamento italiano:
a) l’immediato completamento del ritiro del contingente militare italiano dalla guerra irachena;
b) l’immediata cessazione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana;
c) l’abolizione di tutte le parti lesive dei diritti umani e del dettato costituzionale contenute nell’attuale legislazione italiana sull’immigrazione, la denuncia e la rinegoziazione degli accordi di Schengen, l’accoglienza dei migranti sulla base di quanto disposto dall’art. 10 della Costituzione della Repubblica Italiana;
d) la scelta di rifiutare l’invio di un contingente militare italiano nel teatro di guerra libanese, ed anzi proporre all’Onu che l’unico intervento internazionale consista di aiuti umanitari ed interposizione non armata e nonviolenta.

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