L'Osservatore: «Un altro atto nella logica della guerra». Sodano: «Non è il tempo di recriminazioni» Allarme della Chiesa per il caos iracheno
Tutta la prima pagina dell'Osservatore romano è per «il crudele attentato a Nassiriya» e non manca di sottolineare che in questo atto «trova terribile e inquietante espressione la disumana logica della guerra o del dopo-guerra». E' un accenno abbastanza chiaro alla spirale della violenza che il Vaticano aveva tentato di scongiurare fermando l'intervento militare anglo-americano. Ma adesso - dichiara il Segretario di stato Angelo Sodano - «non è il tempo di recriminazioni», bisogna guardare avanti, «dimenticare i rancori» «per far risplendere la stella della pace in Iraq». «Quanto sta accadendo - aggiunge il cardinale - dimostra che la pace si può raggiungere solo col dialogo e la trattativa». E noi - insiste il porporato - «lo ripetiamo da sempre» così come «totale» è la condanna del terrorismo. E di «urgente impegno di tutti per debellare la piaga del terrorismo» parla la Cei in un comunicato in cui esprime cordoglio e solidarietà alle «forze militari e civili italiane impegnate per promuovere la pacifica convivenza dei popoli».
Il Papa ha inviato al Presidente Ciampi un messaggio di «profondo dolore» per l'uccisione dei militari «nell'adempimento generoso della loro missione di pace» e «impegnati nell'arduo compito a servizio di quella popolazione».
Dall'Iraq giungono le voci allarmate dei vertici della chiesa caldea, la minoranza cristiana che affronta giorni difficili per le condizioni generali della popolazione, per le incognite del futuro in quel paese islamico e pure per la recente scomparsa del patriarca Rafhael Bidawid. Il sinodo caldeo è stato convocato per i primi di dicembre direttamente in Vaticano, segno evidente delle preoccupazioni romane.
Tutti i vescovi iracheni osservano che i militari italiani hanno finora mantenuto buoni rapporti con gli iracheni e ciò rende ancora più allarmante l'attentato. «La gente apprezza il loro lavoro e li rispetta», commenta fin dalle prime ore l'arcivescovo di Bassora, Djibrail Kassab. «Si stanno distinguendo per capacità e stile di presenza», commenta a Roma il procuratore del patriarcato Philip Naijm. «Questi attacchi non sono opera di iracheni ma di stranieri e la popolazione stessa ne è vittima», denuncia invece l'arcivescovo emerito di Baghdad, Emmanuel Dalley.
In Italia l'associazionismo cattolico mastica emozione e rabbia. Tre sacerdoti di Pax Christi - Renato Sacco, Fabio Corazzina e Piero Marchetti - sono partiti per l'Iraq. Andranno a Mossul per assistere all'ordinazione episcopale di un amico, Luis Sako, che andrà vescovo a Kirkuk. Poi raggiungeranno la capitale per sviluppare i contatti con le Ong e con la popolazione. «Ci andremo su mezzi civili, quindici ore di deserto, non su auto militari», precisa don Sacco per sottolineare che «la soluzione non è mai nell'invio degli eserciti» e che purtroppo la tragica esperienza della Somalia evidentemente non è bastata. Pax Christi unisce il lutto alla condanna «di ogni presenza armata» perché «la violenza produce solo violenza più efferata anche quando ci viene presentata come la via inevitabile per la soluzione delle crisi internazionali». Le Acli, dopo aver avvertito che «non è il momento per usare strumentalmente queste giovani vittime», richiamano la necessità di un'assunzione di responsabilità da parte dell'Onu. «Profondo dolore» e l'augurio «che possa essere trovata una via di rinascita pacifica dell'Iraq», esprime la Comunità di Sant'Egidio. Indignati invece i pacifisti di "Beati i costruttori di pace" che riconoscono «idealità, dedizione e coraggio» ai militari italiani ma non tacciono «il servilismo del governo che ha portato i carabinieri e i soldati alle dipendenze della forza occupante Usa».
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