C'E' CHI RIENTRA A CASA E CHI VIENE SCACCIATO PER SEMPRE
A loro il compito di ...ANDARE, CONDIVIDERE, RACCONTARE ...
In questi giorni, dall'Italia, ci hanno chiesto testimonianze e foto della tragica giornata di Bil'in. Effettivamente in questo ultimo report dalla Palestina potremmo riportarvi i commenti durissimi del rappresentante del nostro consolato sull'uso criminale delle cosidette "pallottole di gomma", eufemismo che nasconde gli effetti devastanti di queste armi illegali di acciaio, solo rivestite di gomma, sparate su di noi, gente inerme che manifestava in modo nonviolento venerdi 26 ottobre.
Potremmo dilungarci sulle analisi mediche del dottore che nell'ospedale di Ramallah ha soccorso Andrea e che ci ha illustrato documenti fotografici e cartelle cliniche sulle terribili conseguenze sul corpo umano di queste armi proibite.
Potremmo raccontarvi ancora di incontri fatti e testimonianze raccolte oltre all'ultimo report da Nablus, dai coraggiosi Rabbini per i Diritti Umani agli israeliani dell'ICHAD che ricostruiscono le case dei palestinesi illegalmente demolite dal governo israeliano.
Potremmo farvi partecipi dello sgomento nostro, del dolore di Andrea, delle ore tragiche e difficili che abbiamo condiviso insieme. Perché quello che è accaduto è inaudito, ti lascia attonito. Ti fa paura, ti fa sentire impotente e così fragile.
Ma quello che è accaduto ad Andrea succede ogni giorno in terra di Palestina. Senza motivo, senza logica. Migliaia e migliaia di feriti in questi anni hanno gridato come noi, come Andrea: &_#147;perché?&_#148;. A loro, raramente è giunta solidarietà dal mondo di fuori.
E allora, anche oggi, preferiamo ancora una volta usare la nostra voce per 'scucire la bocca' al popolo palestinese, oppresso e umiliato dall'occupazione militare. Vogliamo liberare il grido disperato degli abitanti del piccolo villaggio di QUSSA, a sud-est di Hebron, lungo il muro in costruzione. L'OCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, ci chiede di far conoscere l'ennesimo sopruso attuato in questi ultimi giorni dall'esercito: le ruspe hanno raggiunto il villaggio e hanno raso al suolo le poverissime abitazioni delle sue 25 famiglie. I funzionari delle Nazioni Unite hanno assistito impotenti a quest'ultima aggressione tesa a spostare definitivamente il villaggio. L'IDF è arrivato con alcune guardie private e i mezzi militari "sono penetrati nella foresta vicina per cercare le pecore degli abitanti. Essendo il periodo delle nascite degli agnelli, e' stato scioccante -riporta Cristina Graziani che ha tradotto e diffuso l'appello- vedere come le jeep inseguivano gli animali, sapendo che ciò causerà aborti e, da ultimo, un disastro finanziario". Rappresentanti dell'ICRC (International Committee of the Red Cross) e dell'OCHA non sono riusciti nemmeno a convincere l'autorità israeliana a concedere agli abitanti un po' di tempo per prendere le loro cose (il mangime per gli animali, le cisterne dell'acqua, i rimorchi, ecc).
È per questo che, mentre lasciamo la Palestina, chiediamo anche a voi, che ci avete espresso tanta solidarietà tra gli ulivi insanguinati di Bil'in, di non lasciare soli questi nostri fratelli e sorelle che, a Qussa come in tutti i Territori Occupati, continuano ad essere derubati delle loro terra e del loro futuro. Che non solo sono lasciati soli a curarsi le ferite inflitte dall&_#146;occupante, ma che incessantemente vengono costretti dallo stesso a lasciare le loro case, i loro campi, il loro lavoro, i loro affetti.
Nandino Capovilla, per il gruppo di Tutti a Raccolta 2007, Pax Christi Italia.
NABLUS: LA TESTA DEL SERPENTE
Lasciamo il check point alle nostre spalle e dopo i saluti di rito, Masjdi (la nostra guida) ci infila in un taxi alla volta della old city. Siamo a Nablus e non serve una lunga esperienza nei territori occupati per capire che l`aria di qui e` pesante. Cerchiamo negli occhi della gente i sorrisi di Ramallah, Betlemme e Aboud, trovando soprattutto severita` e rabbia, riflesso di questa citta` assediata e stretta nella morsa militare israeliana, che vorrebbe cosi` schiacciare la Testa del Serpente. E` in questo modo che i giornali di Tel Aviv definiscono Nablus, ex capitale economica della Cisgiordania, importante centro culturale, divenuta gioco forza la culla della resistenza palestinese.
Scendiamo dal taxi che si e` gia` fatto buio, pochi passi nel suq e saliamo sull`ambulanza del Medical Relief, guidata da Firas, giungendo in pochi minuti in prossimita` del nostro alloggio, al decimo piano di una grigia palazzina arrocata lungo i fianchi della collina, a debita distanza dai vicoli del centro e dai tre campi profughi: Balata, Askar e Alian. Qui i militari israeliani giungono quasi ogni notte con i loro mezzi corazzati, per arrestare o uccidere dei combattenti palestinesi, o presunti tali. Masjdi sembra un po` teso: Nandino e` dovuto tornare al Check Point per spostare l`auto con la quale siamo arrivati - da noi ingenuamente parcheggiata a pochi metri dal posto di controllo -, in quanto dopo 24 ore i militari l`avrebbero fatta saltare in aria per sicurezza, e` la prassi per prevenire qualche autobomba!
Dopo cena usciamo sul terrazzo e la nostra attenzione scende subito a valle, tra gli edifici fatiscenti del centro, illuminati dalla luce giallognola delle strade, dove regna una calma apparente. E` in questi istanti che Nablus ritrova la propria vita, l`energia che le ha permesso di resistere a centinaia di attacchi avvenuti negli ultimi 6 anni. A partire dal 2002, quando fu quasi rasa al suolo nel corso della massiccia invasione dell`esercito israeliano, giunto con decine di carri armati, i Markava tank, affiancati dai buldozzer necessari per squarciare gli stretti vicoli della citta` vecchia, demolendo interi edifici con famiglie all`interno, molte delle quali scomparse tra le macerie. Poi i soldati e i cecchini con i fucili di precisione, asserragliati nei palazzi piu` alti, per vigilare sul coprifuoco totale di quei giorni, e "sparare su ogni cosa in movimento", come ci racconta Firas. Oggi come allora, Firas e` un volontario del Medical Relief che
guida l`ambulanza tra gli spari e le esplosioni per prestare soccorso ai feriti o raccogliere i cadaveri, spesso dopo delicate trattative con i militari tutt'altro che disposti a consentire il passaggio. Ci racconta come qualche settimana fa, durante una breve occupazione militare nel campo di Balata (25 mila persone in 1 chilometro quadrato), una donna sia stata colpita da uno snyper (cecchino), mentre si affacciava alla finestra. Il proiettile le ha attraversato il torace, passando a pochi centimetri dal cuore. Dopo il ricovero in ospedale, i militari hanno riconosciuto il loro sbaglio concedendo fosse trasferita in una clinica di Tel Aviv dove e` tuttora sotto osservazione, in condizioni critiche, a spese dei familiari. Impressionante ascoltare la descrizione delle tecniche di incursione dei soldati, i quali, per raggiungere il centro del campo sono soliti aprire dei fori nei muri con il martello o usando cariche esplosive, infilandosi poi nelle case
per uscirne dall`altra parte, giungendo ad un nuovo muro da forare.. e cosi` via, sfasciando anche 30 abitazioni in una sola incursione. Tattica usata per sottrarsi alle sassaiole dei giovani, abituati a difendersi in questo modo dalle aggressioni, spesso a costo della vita. E` quasi un paradosso, uno dei piu` potenti eserciti della terra, munito di armi sofisticate e mezzi corazzati, messo in crisi da bande di ragazzi senza un futuro, armati di sassi e fionde.
"Negli ultimi 6 anni sono morte 975 persone a Nablus - spiega il Dottor Ghassan del Medical Relief, incontrato in mattinata -, oltre a 7000 feriti, 1000 dei quali hanno riportato disabilita` permanenti, anche molto gravi". Ascoltiamo con attenzione le sue parole e non possiamo che essere sdegnati, scoprendo come la crescente pressione militare in Nablus, sia stata accompagnata dall`uso di nuove armi, una sorta di bombe di precisione che lasciano ferite terribili, a causa di "particolari schegge mai viste prima, di un materiale quasi polveroso, in grado di spappolare gli organi interni e non rintracciabile ai raggi x".
Lasciata la clinica del centro entriamo a Balata, il piu` grande campo profughi della Cisgiordania settentrionale, dove centinaia di famiglie si ammassano in palazzi fatiscenti, distrutti e ricostruiti piu` volte, in seguito alle incursioni israeliane. Dopo una breve visita al centro giovanile, ci inoltriamo nel cuore del campo, percorrendo stretti viottoli che in alcuni casi non superano i 50 centimetri. Qui troviamo un groviglio di tubi, rifiuti e calcinacci, l`aria e` spesso irrespirabile per la costante mancanza di aerazione e sole, causa di svariate patologie che colpiscono soprattutto chi vive al pian terreno, nella semioscurita`.
Dopo due notti nella Testa del Serpente, ci convinciamo che il veleno e` frutto dell`occupazione, che stritola migliaia di esistenze, corrodendo l`economia, ostacolando gli spostamenti e alimentando la tensione nelle strade. Altrettanto disarmante l`ottimismo di alcuni, se non molti, convinti che la Palestina ce la fara`: "basta non lasciare le nostre terre e continuare a vivere ogni giorno senza fuggire. Questa e` la nostra resistenza!". Parola di Majdi.
Nablus, 28 ottobre 2007
Aboud, 22 ottobre 2007
E` Permesso?
In
questa terra, non conta l`individuo in quanto tale, bensi’ il documento di identita` che egli possiede”.
Con questa frase, padre Raed, parroco di Taybeh (vicino a Ramallah), ci ha coinvolti oggi in una importante riflessione, sulla possibilita` per tutte le persone di esercitare le liberta` piu` semplici. Noi citiamo spesso un detto della Bibbia: “chiedete e vi sara` dato”.
Ci viene da sorridere ascoltando queste parole, perche` siamo consapevoli che ogni nostra richiesta difficilmente sara` rifiutata e nessun nostro diritto fondamentale in alcun modo verra` negato. Purtroppo pero`la pesantissima realta` che stiamo respirando in Palestina e` quella di un grido straziante che sale da un popolo intero quotidianamente soffocato dalle umiliazioni piu` insopportabili. E` assurdo dover pensare che cio` che per noi e` un diritto umano fondamentale, possa diventare in questa terra l`oggetto di un`insensata richiesta.
L`ingiustizia dell`occupazione si concretizza davanti ai nostri occhi non appena arriviamo al primo check point israeliano. Qui, ogni palestinese subisce 24 ore su 24, in quei “Territori” Occupati che dovrebbero appartenergli, una continua violenza. Deve affrontare un ostacolo non solo fisico, ma soprattutto psicologico, che lo costringe ad umiliarsi attraverso un complesso sistema di permessi preventivi che deve implorare all`esercito occupante. Il permesso di muoversi di esistere e di muoversi sulla propria terra viene sempre piu` spesso negato, senza motivo.
Padre Raed ci ha raccontato oggi del dramma che vivono soprattutto le donne palestinesi incinte che, arrivando in ambulanza o con mezzi propri, si trovano sistematicamente bloccate ai check point. In preda ai forti dolori della vicina nascita, si trovano costrette ad affrontare un`assurda burocrazia, che spesso nega loro il permesso di passare, e dunque di raggiungere l`ospedale. Per questa ragione non hanno alcuna alternativa se non quella di partorire sul posto, in strada, sotto gli occhi di tutti. Le conseguenze drammatiche sono sempre piu` frequenti: complicazioni del parto e talvolta la morte del bimbo.
Padre Raed ci ha spiegato come solamente nei dintorni di Taybeh lo scorso anno ci siano stati 76 parti ai posti di blocco, 23 dei quali conclusisi tragicamente. Tutti questi fatti ci sono stati confermati da suor Donatella, che lavora al Caritas Baby Hospital di Betlemme, un ospedale pediatrico che si ritrova oggi soffocato dal muro dell`apartheid e nonostante incredibili difficolta` accoglie senza alcun tipo di discriminazione religiosa o etnica bambini affetti da patologie dell’apparato gastrointestinale e respiratorio.
Purtroppo le liberta` che il “sistema dei permessi” nega sono anche altre. Immaginate quale patrimonio costituisca nel nostro Paese una famiglia composta da un medico, una insegnante di informatica, un laureando in business management e un falegname esperto. A Betlemme accade che una famiglia cosi`composta, sia costretta a sopravvivere sulla produzione domestica di piccoli souvenir in legno di ulivo, realizzati sotto la guida del capo famiglia. E` questo il caso della famiglia di Padre Ibrahim, dove dei professionisti non riescono a lavorare nel proprio settore, in quanto impossibilitati ad ottenere il permesso (da rinnovare ogni 3 mesi!) necessario per andare a lavorare a Gerusalemme. “Il permesso viene negato ad ogni palestinese che voglia andare nella capitale alla ricerca di un impiego – spiega George, ex falegname ormai disoccupato da 7 anni. Lo stesso accade a chi vorrebbe coltivare liberamente la propria terra. E’ il caso di un agricoltore di Beit-Jala che ci mostra la sua proprieta’ distrutta dalla costruzione di una by-pass road, strada riservata agli israeliani, che collega gli insediamenti illegalmente costruiti sul territorio palestinese.
Anche la sfera degli affetti viene ridicolizzata e resa insignificante da questa perversa burocrazia. Ad esempio -ci spiega padre Firas, parroco di Aboud- un matrimonio tra una persona arabo-israeliana e una arabo-palestinese e’ oramai raro, perche` e` difficilissimo che la seconda possa ottenere il permesso di raggiungere il proprio coniuge nello stato di Israele e qui prendervi residenza. In molti casi, dunque, queste persone, una volta sposate, non avrebbero il diritto di vivere sotto lo stesso tetto.
O ancora, ecco la storia della mamma di Loai, ragazzo palestinese di 20 anni che abbiamo incontrato nel campo profughi di Dheisheh. Ella ci racconta di come, pur essendo nata lei stessa nel campo, ancora speri di poter far ritorno al villaggio originario della sua famiglia. Da li`, i suoi parenti sono stati cacciati nel 1948 dalla pulizia etnica della Nakba (che in arabo significa catastrofe).
Permesso di… nascere e permesso di lavorare.
Permesso di muoversi e permesso di volersi bene.
Permesso di rientrare a casa propria alla sera e di ritornare al proprio villaggio e alle proprie radici…
Se non fosse per questa nostra `illegale`presenza di peacebuilding nei Territori Occupati, senza il permesso dell`autorita` occupante, ci verrebbe da dover coinvolgere anche voi, chiedendovi il permesso…di leggerci!
Aboud, 22 ottobre 2007
Per contattare direttamente gli internazionali in Palestina: 00972 543176361
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