Nassiriya, don Nicolini esce dal coro

Il sacerdote: "Vedo questi ragazzi morti in Iraq, il ritorno del patriottismo, della fierezza e la debolezza della comunità cristiana"
23 novembre 2003
Giovanni Nicolini
Fonte: “Repubblica - cronaca di Bologna”



«In questi giorni la Chiesa, pericolosamente, non ha annunciato la pace». Don Giovanni Nicolini non è un cattolico del dissenso, non è un prete no-global, ma la sua voce esce dal coro: «Vedo questi ragazzi morti, il ritorno del patriottismo, della fierezza, e la debolezza della comunità cristiana».
Il direttore della Caritas diocesana parla volentieri con i cronisti in una sala di Villa Pallavicini dove la sua associazione è a convegno. Non fa riferimenti, ma è fresca la polemica sull'omelia del cardinal Ruini davanti alle bare di Nassiriya, ed ancor più, a Bologna, la sorpresa per le parole del vicario di Biffi, monsignor Ernesto Vecchi, che dal pulpito ha definito gli estremisti «figli di un Dio minore».
In platea operatori, volontari, persone che non nascondono i segni del disagio: esilio, migrazioni, droga, povertà, emarginazione. E don Nicolini insiste: «Sono tempi di violenza e sopraffazione, e qualche volta questa mi sembra una guerra dei ricchi contro i poveri. Poche settimane fa sono tornato in Africa, a trovare i miei fratelli in un villaggio sull'altipiano dell'est, dove l'età media è di 21 anni e la prospettiva di durata della vita si ferma a 36. Nelle capanne ho visto grandi foto di questi capi del terrorismo internazionale: sarà un errore, un fraintendimento, ma è così. Loro da una parte, quella dei poveri, degli ultimi, e noi dall'altra, dalla parte dei ricchi, fra i principali alleati degli Stati Uniti».
Don Nicolini ha ricordi abbastanza lontani per fare paragoni storici. Lui che esattamente 40 anni fa entrava «fra i preti» proprio nel giorno in cui a Dallas assassinavano John Kennedy («appresi la notizia a sera, mentre i miei genitori mi accompagnavano a Roma»), non credeva di dover provare ancora le sensazioni e l'amarezza di quegli anni: «Nel 1963 ci sembrava scoppiata la pace, e il Vietnam a noi giovani dell'Università Cattolica pareva una sorta di residuato di un'epoca ormai finita. In cento, messa la tonaca, andammo persino dall'ambasciatore americano, per dirgli di smetterla. Quella guerra finì e noi sperammo che non ne sarebbero seguite altre. Adesso, invece, è stata riscoperta la guerra, la violenza, ma roba da matti».
Il suo ottimismo di sacerdote don Nicolini lo ritrova pensando ai deboli, agli «ultimi» per cui lavora: «L'emergenza è finita», annuncia, invitando a cogliere «i piccoli segnali», che pur ci sono, di accoglienza e aiuto reciproco. «Scene bellissime ho visto facendo la fila in Prefettura assieme a tanti immigrati. Una volta ottenuta la regolarizzazione, cosa che ho fatto per tanti, che gioia, che voglia di abbracciarsi, e-pazienza se il funzionario della questura ha guardato il mio amico Marcel, il primo che ho aiutato dicendogli 'fatto, un anno di lavoro poi via', e Marcel mi ha guardato per tranquillizzarmi, lui a me, e io gli ho detto: spero che un giorno possa diventare tu il questore di Bologna».
Il dissenso alla guerra è andato in scena anche ieri in via Indipendenza: in un migliaio hanno risposto all'appello del Social Forum per una manifestazione fra via Indipendenza e piazza Maggiore.

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