LA REGIONE DEL SUDAN DOVE SI CONSUMA UN GENOCIDIO
per rifugiati di El Fasher sono trentamila: «Se a far legna
vanno gli uomini vengono uccisi, se vanno i piccoli o le donne sono violentate». Le piogge daranno il colpo di grazia
TAWILA QUI nella cittadina di Tawila, nel Darfur del Nord, mi portano a vedere le rovine del centro commerciale completamente bruciato. Poi parlo con una donna terrorizzata e con dei bambini lì attorno, che hanno vissuto le atrocità perpetrate quattro mesi fa. Alcuni fra loro oggi hanno per
casa solo un riparo di sterpi. Guardarli, vedere i loro miseri effetti personali, i focolai per cucinare marci di pioggia, significa scrutare nell'abisso dell 'inumanità dell'uomo verso i propri simili. Grazie al cielo Save the children, l'ong che opera in questa zona, sta per portare loro coperte, teli di plastica e attrezzi da cucina. C'è anche in corso un'operazione di
pronto soccorso medico che sta salvando Dio sa quante vite. Che cosa è successo a Tawila? L'attacco della temibile milizia Janiaweed si è concentrato
in un' area di 20 miglia attorno alla città. Circa 34 villaggi sono stati saccheggiati o bruciati, un centinaio di persone uccise, le donne e i bambini violentati e quasi l'intera popolazione costretta a fuggire nella savana. Quanto questo sia da imputare alla pulizia etnica è difficile stabilirlo. Gli esperti del governo sudanese potrebbero dire che è servito solo, insieme agli altri attacchi, a impartire agli
abitanti del Darfur una lezione indimenticabile.
In ogni caso, ciò che vedo è orribile. Perché il mondo è stato così lento a reagire? Perché ci è voluto così tanto per salvare questa gente?
Stiamo parlando di un milione di profughi, di cui 700 mila hanno urgentemente bisogno di cibo e soccorso e 150 mila saranno completamente isolati dall' imminente stagione delle piogge. «Abbiamo bisogno di mille volontari in più - mi ha detto una fonte delle Nazioni Unite - «ed è già tardi».
Ma arrivare in questa remota parte del mondo è maledettamente difficile.
Mancano del tutto le infrastrutture. Non c'è regola né legge. Le organizzazioni umanitarie hanno incontrato molte difficoltà nell'ottenere i visti per i loro collaboratori, anche se la situazione, dopo pesanti pressioni su Khartum, si è sbloccata. La sicurezza è usata come pretesto per impedire ogni movimento. Ci sono volute quattro ore di mercanteggiamenti per riuscire a entrare a Tawila. Come il segretario dell'Onu Kofi Annan ha recentemente scoperto il governo è estremamente desideroso di nascondere l' accaduto e le sue tremende conseguenze. La burocrazia governativa qui vive di vita propria e il regno del terrore, stabilito soprattutto per allontanare gli africani dai territori che gli arabi vogliono per sè, ha avuto conseguenze che sono andate persino al di là delle
intenzioni: ha portato a una chiusura ermetica, che impedisce ogni tipo di comunicazione.
I darfuriani sono così terrorizzati che non osano abbandonare i campi dove hanno trovato rifugio. Ho visitato un enorme campo vicino a El Fasher dove 30 mila dei 40
mila occupanti sono bambini. Gli uomini cercano lavoro per cercare di tirare avanti. I bambini sono traumatizzati. Le donne sono impaurite.
Molti rifugiati occupano le case altrui e questo porta ulteriore confusione.
E' impressionante sentirli parlare dell'incombenza domestica quotidiana più consueta in tutta l'Africa, andare a far legna. «Se mandi gli uomini saranno uccisi. Se mandi le donne o i bambini saranno violentati.
Se mandi le vecchie si limiteranno a picchiarle». E' tristissimo il destino dei rifugiati che sanno che la loro casa, e tutto quel che hanno, probabilmente è stato distrutto. Mentre visitavamo il campo di El Fasher giravano attorno alla nostra auto, senza mendicare, senza chiedere nulla, ma con grandi sorrisi pieni di aspettativa. Potevamo forse fare qualcosa per cambiare la loro vita? E' quel sorriso che ti spezza il cuore. Da metà luglio a metà agosto è stagione di semina ma c'è ben poco da seminare.Le scuole nella regione che ho visitato o sono state distrutte, o sono chiuse, o sono occupate dai rifugiati. Ci sono, come è facile
immaginare, un sacco di armi in circolazione. Gli uomini armati sono assai rispettati perché si pensa che possano tenere a bada i Janjaweed. La cosa peggiore è che il regno del terrore ha talmente sparpagliato la popolazione che diventa sempre più difficile nutrirla. Sia Port Sudan sia Libya offrono molte vie di
approvvigionamento ma portare viveri a piccole sacche di rifugiati implica l'uso di un grande numero di mezzi e quando inizierà a piovere si bloccherà tutto. Si parla di elicotteri, ma costano troppo. E con le piogge arriveranno i problemi di salute. Dati il sovraffollamento e la malnutrizione sarà un miracolo se non scoppierà un'epidemia. Se avetefede pregate perché un'epidemia non si aggiunga alle disgrazie del Darfur. Banalmente, serve con urgenza una forza di pace. L'ipotesi che il governo del Sudan dispieghi il suo esercito terrorizza la popolazione.
L'Onu è impegnato in Iraq. L'Unione africana ha promesso 300 uomini, del tutto insufficienti; e il governo sudanese ha stabilito che dovrà limitarsi a vigilare sul cessate il fuoco mentre la protezione dei sudanesi spetta solo al governo nazionale. Impasse. E tuttavia, la stretta osservanza della legge potrebbe pregiudicare l'urgente operazione di soccorso. E' una regione pericolosa per gli interventi umanitari. Ci sono un mucchio di «forse» riguardo al futuro del Darfur. Forse riusciranno ad arrivare abbastanza volontari per affiancare quelli già all'opera. Ma il tempo è poco, occorre raccogliere fondi, non è facile entrare nella regione e occorre un aiuto professionale. Forse il governo del Sudan manterrà la parola e obbedirà alle richieste di Kofi Annan e del segretario di Stato americano Colin Powell, richiamando le bande di assassini. Ma Karthum è maestra di attendismo. Sono convinto che la maggior parte dei governanti, desiderando fare bella figura sulla ribalta internazionale, fosse contraria a ciò che è accaduto
nel Darfur. Ma ci sono elementi che teorizzano la linea dura e sono stati loro a prevalere. Un attento monitoraggio della situazione è d'obbligo se si vuole rimettere ordine nel Darfur. Forse i camion e gli operatori arriveranno in tempo per salvare gli abitanti di questa sperduta regione dalla morte per fame.
Forse le piogge non saranno troppo forti, abbondanti quanto basta per aiutare le coltivazioni - se ce ne dovessero mai essere - ma non tanto da fermare gli aiuti. Forse, dopo tutto, ci sarà una forza di pace in grado di
ristabilire un minimo di regole. Ma la strada è tutta in salita.
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