Un tribunale islamico condanna 10 miliziani Saranno mutilati come prevede la sharia

LA CRISI IN DARFUR

Pulizia etnica, Sudan nella bufera
La denuncia di Human Rights Watch: il governo pianificava stupri e mutilazioni
Daniele Zappalà


Documenti ufficiali provano che il governo del Sudan stava pianificando
una «pulizia etnica» nella regione del Darfur. Carte eloquenti che darebbero anche una spiegazione agli stupri e alle mutilazioni praticate sui civili, che spesso hanno accompagnavano le sanguinarie incursioni delle milizie islamiche a ovest del Sudan. La denuncia arriva da Peter Takirambudde, direttore della sezione africana dell'Human Rights Watch. «Gli atti - ha aggiunto l'esponente dell'organizzazione umanitaria - dimostrano che le azioni delle milizie Janjaweed non solo sono state tollerate, ma espressamente appoggiate da funzionari del governo sudanese». Ovviamente il governo di Khartum rispedisce le accuse al mittente, ma a dare voce alle tremende violenze perpetrate in Darfur ora c'è anche Amnesty
International. Villaggi incendiati, omicidi, torture, non solo, al ricco campionario
degli orrori devono essere aggiunti anche lo strupro e le mutilazioni.
Amnesty International sulle violenze in Darfur ha raccolto centinaia di testimonianze e denunce. L'indice ancora una volta è puntato contro le milizie arabe filogovernative Janjaweed: protagoniste di innumerevoli raid a cavallo e a dorso di cammello contro i villaggi abitati da popolazioni
nere. Le violenze, si legge nel rapporto, «sono commesse in modo sistematico
dalle milizie, spesso in coordinazione con i soldati e l'aviazione sudanesi, nell'assoluta impunità, e hanno colpito soprattutto i membri delle etnie Four, Massalit e Zaghawa». Le forme di violenza sessuale descritte nel rapporto sono numerose. In
molti casi, sostiene Amnesty, «i Janjaweed hanno violentato le donne in
pubblico, di fronte ai loro mariti e ai genitori». Gli stupri, spesso accompagnati
da torture (come la frattura delle gambe per impedire la fuga), non hanno risparmiato neppure le donne in attesa. In generale, poi, Amnesty non ha dubbi sul carattere generalizzato di una strategia volta a «punire, controllare, terrorizzare e disperdere le donne e le loro comunità». Le testimonianze sono state raccolte in Ciad, presso tre dei tanti campi-profughi oltre la frontiera. Qui si addensano più di 100 mila persone: un popolo di disperati che rappresenta solo un decimo delle vittime stimate della crisi. «La più grave del mondo», ripete da mesi l'Onu. Per chi è rimasto nelle zone del Darfur ancora lontane dai corridoi umanitari, la stagione delle piogge in arrivo può essere fatale. Fra gli ultimi appelli per l'organizzazione di nuovi aiuti d'urgenza, anche quello dell'Oms: «Le persone stanno morendo perché vivono in condizioni totalmente inaccettabili, ma tante altre possono perire nelle prossime settimane se non preveniamo i problemi legati alla depurazione, alla malnutrizione e alla penuria di acqua potabile che, combinandosi alle prossime piogge, potrebbero diventare uno strumento di morte», ha dichiarato il direttore
dell'organizzazione Lee Jong Wook. Quanto alle azioni per «bloccare» i Janjaweed, esplicitamente promesse da Khartum, è giunta ieri la notizia di dieci condanne all'amputazione di una mano o di un piede pronunciate contro dei miliziani da un tribunale di Nyala, capitale del distretto meridionale del Darfur, in
ubbidienza alla sharia.

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