LA CRISI IN SUDAN
«Non dobbiamo farli sentire soli»
Diecimila morti, centomila rifugiati in Ciad, un milione di sfollati in tutto. Fino a ieri erano questi i numeri del dramma umanitario nel Darfur.
Ma in realtà, il baratro apertosi nel Sudan occidentale è ancor più agghiacciante, come hanno rivelato ieri nuove cifre Onu, che danno un conto delle vittime diverso, tra le 30mila le 50mila. Tanto spaventose da oscurare il parallelo annuncio di nuovi negoziati in vista fra il regime sudanese e i due gruppi ribelli della regione. Nel Darfur, ha affermato il coordinatore Onu per gli Affari umanitari Jan Egeland «c'è stata una falsa impressione che le cose stessero migliorando», ma adesso il tasso di mortalità, «ha ripreso ad aumentare».
Soprattutto perché, con l'arrivo della stagione delle piogge, «i bambini muoiono in
gran numero di malattie intestinali». Di fatto, ha riferito Egeland, attualmente l'assassino numero uno «non è il fucile ma la dissenteria». Nella vasta regione, gli sfollati sarebbero in realtà almeno 1,2 milioni.
Circa 200 mila hanno trovato rifugio oltre la frontiera, in Ciad. Intanto si muove la
diplomazia, anche se i suoi tempi appaiono sempre più lunghi. A Ginevra, i leader dei due gruppi armati, opposti a Khartum, il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (Jem) affiancato dall'Esercito di liberazione del Sudan (Sla) hanno incontrato ieri i mediatori dell'Onu e dell'Unione africana. Acconsentendo ad una nuova tornata di negoziati dopo quelli falliti la settimana scorsa ad Addis Abeba. Un nuovo spiraglio si apre, dunque. L'Onu, intanto, è impegnata anche in una campagna internazionale di sensibilizzazione dei governi. Gli aiuti finora giunti nel Darfur sono però insufficienti. A far degenerare la situazione sono stati soprattutto i
raid assassini delle milizie arabe Janjaweed contro i villaggi abitati da popolazioni nere. Un fenomeno divenuto ancor più endemico dopo lo scoppio delle ostilità, 17 mesi fa, fra il regime islamico di Khartum e i ribelli locali. Da allora, sulla regione è piombata una cappa sempre più asfissiante di intimidazioni e violenze contro i civili. La distruzione di decine di villaggi e la paura crescente hanno messo così in marcia un intero popolo di disperati. Quasi sempre senza una precisa direzione, se si esclude il vicino Ciad, dove vivono popolazioni etnicamente legate a quelle del Darfur. Fra gli sfollati della regione, a Nyala, è giunto ieri monsignor Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Il presule è stato inviato dal Papa per esprimere la solidarietà della Chiesa alle popolazioni del Sudan. «Questi viaggi - ha detto monsignor Cordes - aiutano la prospettiva politica, ma aiutano molto anche la gente che si sente incoraggiata e vede che non è isolata e si lotta per uno scopo importante, e tutte queste cose, a livello emozionale e morale, aiutano molto».
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