Si è aperto ieri a Londra il terzo social forum europeo. Dal ruolo del sindacato alla Palestina: i temi della prima giornata

Il movimento rilancia «Guardiamo al futuro»

17 ottobre 2004
salvatore cannavò
Fonte: da Liberazione - 16 ottobre 2004


Londra - nostro inviato
Ad alcuni può sembrare un rito. Che si ripete identico negli anni. Un rito
fatto delle stesse parole, degli stessi slogan, delle stesse conferenze, con
gli stessi temi. C'è chi critica la struttura - troppo confusionaria - chi
il sindaco di Londra - troppo manovriero - chi i gruppi di estrema sinistra.
Resta una domanda di fondo: cosa spinge tanta gente a partecipare a un
simile appuntamento? Ieri mattina le presenze si contavano già in ventimila,
la conferenza sulla Palestina ne ha contati quasi duemila, quella sul Terzo
mondo, 1500. C'è chi decide di seguire un seminario perché poi ci farà la
tesi, chi invece perché lavora su quel soggetto da anni. Le motivazioni sono
tantissime e attengono alla natura di uno spazio politico e ideale in cui la
domanda di partecipazione è più forte dell'offerta e in cui la critica
all'esistente trova ancora una risposta. Anche quando, come ora, affiorano
difficoltà sul futuro e sulla prospettiva. Non a caso, tra i dibattiti più
affollati di ieri ci sono state le tre sessioni - due al mattino e una nel
pomeriggio - dedicate proprio al "futuro del movimento". Che ci siano
difficoltà non lo nasconde nessuno, ad esempio nelle discussioni sulla
composizione dell'agenda conclusiva e sulle priorità dei prossimi mesi con i
francesi immersi nella Costituzione europea (Chirac ha indetto il referendum
e la sinistra alternativa, compresa una fetta di socialisti, voterà no), gli
inglesi alle prese con la guerra di Blair, i tedeschi con l'Agenda sociale
di Schroeder, gli italiani con un 30 ottobre che va costruito con maggiore
determinazione.

Il futuro del movimento
Ma un movimento che discute di tutto questo mostra una certa vitalità e
dunque è difficile sostenere che sia in crisi. Nel dibattito di ieri,
comunque, le domande più dirette le ha poste un ospite che ti aspetteresti
sentir parlare d'altro: Tariq Ramadan. L'intellettuale musulmano ha esordito
definendo il futuro del movimento soprattutto come un'occasione per «aprire
le menti». E ha proposto due sfide, quella democratica all'interno del
movimento stesso - «chi è che davvero prende le decisioni, come si
garantisce la partecipazione? Lo chiedo come autocritica perché sono parte
di questo movimento e voglio migliorarlo» - e quella, più generale, di
fuggire dal rischio dell'eurocentrismo ma anche dall'ossessione dello
scontro di civiltà e dall'ideologia della paura che la campagna contro il
terrorismo sta alimentando in occidente. L'approccio di Ramadan, quello di
guardare al futuro, alle prospettive, è l'approccio che caratterizza tutti
gli interventi. Pierre Khalfa, di Attac France, che è intervenuto in
mattinata, chiede anche lui cosa «vogliamo fare davvero» nel momento in cui
l'ideologia neoliberista mostra segni di crisi senza però che il movimento
sia ancora in grado di guadagnare dei risultati. «Siamo alla terza edizione
del forum sociale europeo, dice l'esponente francese, eppure hanno
realizzato la Costituzione europea; come invertiamo i rapporti di forza?».
Lui propone di elaborare strategie di azione che puntino al rilancio delle
mobilitazioni: la proposta è una grande manifestazione europea a Bruxelles
sulle questioni sociali in occasione del Consiglio intergovernativo del
prossimo 30 marzo. Alessandra Mecozzi, della Fiom, intervenuta alla stessa
sessione, ripropone tre elementi cari all'esperienza del movimento italiano,
l'unità ma anche la radicalità e, soprattuto, l'autonomia del movimento il
quale deve essere capace di preservare le sue differenze e di farle divenire
un valore. Anche lei non accetta la definizione di crisi del movimento così
come la respinge Patrizia Sentinelli della segreteria di Rifondazione -
«questo è un movimento destinato a durare» dice - che invita il Forum a
riversarsi in miriadi di vertenze territoriali «anche per restituire valore
al primato della politica».

Sindacato globale
La discussione sul futuro del movimento non può non fare i conti con la
presenza e il ruolo del sindacato. Quello inglese è molto visibile e il
fatto che la sala sponsorizzata dall'Unison - l'importantissimo sindacato
dei lavoratori pubblici - si riempia del tutto per ascoltare la conferenza
su "Privatizzazioni e aiuti al terzo mondo", tenuta da sindacalisti inglesi,
colombiani, indiani e da intellettuali di movimento come George Monbiot, è
significativo. Lo rileva anche Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, che
in mattinata ha partecipato a una delle conferenze introduttive - quella
sulla "globalizzazione" - e che sottolinea come «dalla diffidenza si sia
passati all'interesse». Il fatto è, dice ancora Rinaldini, che nonostante le
difficoltà del neoliberismo la sua offensiva ha avuto un'accelerazione
soprattutto nel contesto internazionale e su questo i sindacati sono ancora
deboli. «Senza un livello internazionale non riusciamo neppure più a fare la
contrattazione» e il social forum costituisce un «forte incentivo» in questa
direzione. Un contributo in questo senso lo offre anche il segretario della
Cgil, Guglielmo Epifani, che per un giorno mette da parte il dibattito
interno ai sindacati o le sirene del patto sociale con Montezemolo e si
sofferma sul ruolo del Wto, sull'interdipendenza dell'economia mondiale, su
come tutelare anche a quel livello i diritti dei lavoratori.

Un Forum antirazzista
Le facce del forum sono multicolori, come quelle della maggioranza degli
abitanti di Londra. Certo, il livello medio dei partecipanti risponde ai
requisiti più tradizionali: giovani, bianchi, studenti per lo più. Le facce
differenti sono una minoranza ma molte di loro popolano una partecipata
conferenza contro il razzismo affiancata da forum e riunioni tematiche. A
dominarli tutti, l'idea di rilanciare, da Londra, una giornata europea per i
diritti dei migranti. La propone nella plenaria il presidente dell'Arci,
Paolo Beni, e in serata l'assemblea di preparazione del meeting conclusivo
la discuterà insieme alla manifestazione europea di Bruxelles, alla giornata
mondiale contro la guerra che gli inglesi propongano si tenga il 19 febbraio
e ad altre date.

Con la Palestina nel cuore
Se sulle altre iniziative il dibattito è ancora aperto, sulla Palestina ieri
sono state ribadite alcune certezze. La prima è che questo popolo in
movimento ha la lotta palestinese nel cuore. La vera e propria "standing
ovation" che in serata ha salutato la presenza di Mustapha Barghouti e del
refusnik israeliano Yonathan Shapira (il suo rifiuto di pilotare gli
elicotteri ha fatto il giro del mondo) da parte di oltre duemila persone
dicono di questo affetto e di questa solidarietà. La seconda è che la lotta
contro l'occupazione deve fare un salto in avanti. Ieri sera Barghouti ha
fatto una proposta: lanciare un movimento per le «sanzioni contro Israele»,
sul commercio d'armi, sugli affari, sui rapporti diplomatici. Su questo il
Forum si è già reso disponibile a costruire una rete europea e a coordinare
le iniziative, sapendo che non si tratta più solo di offrire solidarietà ma
di battersi per una causa comune. Perché, come spiega Michel Warshawski nel
seminario mattutino - nel quale intervengono due altri refusnik, Matan
Kaminer e Adam Meor, appena usciti di prigione per la loro obiezione di
coscienza contro l'occupazione dei Territori - «la Palestina è il modello
della guerra globale permanente e il Muro è il simbolo concreto dello
"scontro di civiltà". Quindi ci riguarda tutti, come l'Iraq, prima
dell'Iraq. Anche qui si costruire un'agenda e si propongono iniziative: la
prima è il 9 novembre, giornata mondiale contro la costruzione del Muro, la
seconda il 10 e 11 dicembre, in cui si svolgerà la giornata europea di
solidarietà alla lotta plaestinese.

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