Latina

Cuba: Castro e l'eredità della Rivoluzione cubana per l'America latina

5 dicembre 2016
David Lifodi

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“Rivoluzione significa lottare per i nostri ideali di giustizia a Cuba e nel mondo, per il nostro patriottismo, il nostro socialismo e il nostro internazionalismo”: questo pensiero, ripetuto più volte da Fidel Castro, rappresenta non solo gli ideali di giustizia di Cuba, ma dell’intera America latina e del suo cammino verso il progresso affinché le disuguaglianze sociali ed economiche scompaiano dal continente. A testimoniarlo, la presenza ai funerali del comandante en jefe di Lula, Dilma Rousseff, Maduro, Evo Morales e di tutti quei presidenti che, pur con alterne fortune, si sono impegnati, e si battono tuttora, per il riscatto dell'America latina.

Certo, non si può negare che la fatidica domanda, “E adesso, cosa accadrà?”, se la sono posta un po’ tutti, soprattutto di fronte al ciclone Donald Trump proveniente dagli Stati Uniti e agli osceni festeggiamenti dei cubano-americani di Miami, che a parole dicono di volersi riprendere il controllo dell’isola, ma in realtà si guardano bene, anche i più giovani, dal tornare davvero al proprio paese, preferendo il lusso della loro terra d’elezione, la Florida. Probabilmente, il destino della rivoluzione cubana dipenderà dai giovani, non solo dalla nuova classe dirigente che si è formata nel paese a livello politico (si pensi a Ricardo Alarçon, Carlos Lage o Felipe Pérez Roque), ma anche da quella gioventù accusata da molti di non avere alcun ideale rispetto ai loro coetanei che, nel 1959, armi alla mano, cacciarono Fulgencio Batista e riconquistarono Cuba casa per casa, strada per strada, fino ad arrivare all’Avana. Nonostante buona parte del mondo si auguri una rapida implosione del processo cubano, nessuno si è mai chiesto per quale motivo, rispetto ad altri paesi, non si sia mai manifestata nelle piazze e nelle strade un’opposizione reale, di popolo, che sia stata capace di andare oltre gli articoli della bloguera Yoani Sánchez, la quale peraltro deve essere grata proprio alla Rivoluzione per aver ricevuto un’istruzione di qualità e gratuita, e a gruppi di dissidenti poco conosciuti dagli stessi cubani. Come ha scritto Luciana Castellina sul manifesto lo scorso 27 novembre, le centinaia di migliaia di cubani che hanno affollato le piazze dell'Avana per ricevere il Papa o ascoltare il concerto dei Rolling Stones o di altri gruppi non hanno mai colto la facile occasione di una protesta politica. La Rivoluzione del 1959, di carattere nazionale e democratico, già incarnava allora i germi di quel socialismo del XXI secolo che all’inizio degli anni Duemila aveva rianimato l’America latina, ispirandone i suoi ideali più alti, dalla riforma agraria all’autodeterminazione dei popoli, ma che ancora oggi faticano ad affermarsi in un continente di nuovo nelle mani di multinazionali e oligarchie capaci di svendere i loro paesi ai migliori offerenti. Solo per fare un esempio, l’Alba, l’Alternativa bolivariana para los pueblos de Nuestra América, ha avuto tra i suoi ideatori e fondatori Hugo Chávez e Fidel Castro, non solo nel segno di un mutuo soccorso tra paesi del sud del mondo nell’ambito della cooperazione, ma anche per tutelare la sostenibilità dell’intero pianeta e proteggerlo dalla distruzione ad opera delle transnazionali. Non è un caso che tutti i detrattori di Cuba non abbiano mai perdonato all’isola di aver realizzato “una rivoluzione socialista e democratica degli umili, con gli umili e per gli umili”, per utilizzare le parole di un celebre discorso di Castro. Non si può spiegare altrimenti la supponenza e l’arroganza dell’informazione allineata, a partire da quella del nostro paese, che anche in occasione dei funerali ha sostenuto come la grande partecipazione di folla ai funerali di Castro fosse stata orchestrata dal regime, salvo poi sbagliare i riferimenti storici temporali di uno dei padri della patria, José Martí, pronunciandolo addirittura Iose Marti: questo ha fatto un’inviata del Tg2 qualche giorno fa.

In pochi hanno speso parole per la funzione assunta da Cuba in relazione agli accordi di pace tra i guerriglieri delle Farc e lo Stato colombiano, di cui Castro ha tessuto la tela, così come nessuno ha sottolineato il ruolo di Fidel nel sostenere Chávez in occasione del colpo di stato confindustriale dell'aprile 2002, quando la rivoluzione bolivariana rischiò di essere soffocata sul nascere, o l'impegno dello stesso Castro per risolvere l'impasse creatosi sul rapimento di centinaia di ostaggi sequestrati nell'ambasciata giapponese di Lima dai giovanissimi militanti del Movimiento Revolucionario Tùpac Amaru. In quella circostanza Castro offrì l'asilo politico ai guerriglieri, prima che il 22 aprile 1997 le truppe speciali agli ordini di Fujimori uccidessero a sangue freddo i 14 componenti del commando. Certo, la Rivoluzione ha commesso i suoi errori, ci sono stati arresti indiscriminati e repressione, ma tutto ciò non si sarebbe verificato se Cuba non fosse stata strangolata dall'embargo e, di conseguenza, non avesse vissuto una costante sindrome d'assedio. Grazie a Fidel Castro, e non solo, Cuba continua a rappresentare la bandiera di un'America latina indomita e mai sottomessa, nonostante l'attuale contesto storico-politico veda un pericoloso ritorno delle destre in buona parte del continente.

Non è un caso che nel libro Autobiografia a due voci, scritto da Ignacio Ramonet e Fidel Castro, quest'ultimo abbia dichiarato: “Se l'impero divorasse l'America latina come fece la balena con il profeta Giona, non riuscirebbe comunque a digerirla. Prima o poi dovrebbe espellerla, e quella risorgerebbe di nuovo”. Questa frase, citata più volte nel corso dei nove giorni di lutto nazionale dichiarati a Cuba, rappresenta l'essenza di un continente che, proprio grazie all'isla rebelde, non ha alcuna intenzione di chinare la testa di fronte agli yankees.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile citando la fonte e l'autore.

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