Latina

Il presidente brasiliano riduce i bilanci della Fundação Nacional do Índio per la gioia della bancada ruralista

Brasile: Temer dichiara guerra agli indios

Nei primi sei mesi del 2017 le violazioni dei diritti dei popoli indigeni sono ulteriormente cresciute
4 ottobre 2017
David Lifodi

internet

Lo scorso 19 settembre, intervenendo in occasione della 72esima sessione dell'assemblea generale dell'Onu, il presidente (golpista) brasiliano Michel Temer ha giurato e spergiurato che avrebbe mantenuto fede all'impegno del proprio paese per combattere la deforestazione in Amazzonia. Si è trattato, ovviamente, di parole di facciata, mentre non ha fatto alcun riferimento ai continui e sempre più numerosi attacchi ai diritti di quei popoli indigeni che in Amazzonia abitano da sempre.

A preoccupare è soprattutto l'attacco sferrato da Temer alla Fundação Nacional do Índio (Funai), organizzazione che in teoria dovrebbe tutelare gli indios brasiliani. Lo scorso 9 maggio Temer nominò alla guida dell'ente il generale dell'esercito Franklimberg Ribeiro de Freitas, attirandosi le critiche delle associazioni dell'indigenismo brasiliano, secondo le quali questo atto rappresentava un'evidente militarizzazione della Fundação Nacional do Índio. Di fronte alle preoccupazioni espresse dal Cimi, il Conselho Indigenista Missionário, Temer si è reso protagonista di un'ulteriore provocazione, operando una radicale sforbiciata nei confronti del bilancio della fondazione, poi ulteriormente ridotto. Allo strangolamento economico della Funai è seguito l'avvicendamento dei suoi funzionari con uomini legati alla presidenza Temer. Si tratta di un segnale pessimo perché accontenta la bancada ruralista al Congresso ed ha in pratica dato il suo benestare all'apertura di una commissione d'inchiesta sulla stessa fondazione e sull'Incra, l'Instituto Nacional de Colonizaçãoe Reforma Agrária, sfociata nell'incriminazione di decine di leader delle comunità indigene e di antropologi impegnati a difendere la demarcazione delle terre degli indios. A questo proposito, la criminalizzazione dei popoli indigeni è emersa soprattutto in uno stato come il Mato Grosso do Sul, terra di enormi disuguaglianze sociali, dove gli indios sono costretti a vivere in piccoli fazzoletti di terra, se non ai bordi delle strade, dovendo far fronte alle violenze dei latifondisti e dei garimpeiros. Nel solo Mato Grosso do Sul, tra il 2003 e il 2015, secondo il Cimi sono stati uccisi 425 indigeni. In Brasile, denunciano i vescovi, riuniti nella Conferência Nacional dos Bispos, il potere giudiziario ha sempre tutelato i grandi proprietari terrieri.

In Brasile le violazioni dei diritti dei popoli indigeni non sono una novità, purtroppo, ma nei primi sei mesi del 2017 sono ulteriormente cresciute, come hanno evidenziato i relatori della Commissione interamericana per i diritti umani Victoria Tauli Corpuz, Michel Forst e John Knox. Minacce, aggressioni e omicidi commessi contro gli indios rappresentano una costante in un paese dove gli interessi verso le terre degli indigeni sono molteplici, dai cercatori d'oro ai madereiros, passando per le multinazionali dedite all'estrazione mineraria e ai fazendeiros proprietari di enormi appezzamenti di terreno. Tra gli atti più odiosi del presidente Temer va annoverato anche quello relativo al forte ridimensionamento della Reserva Nacional de Cobre e Associados (Renca), che proibiva, o comunque in qualche modo limitava, l'estrazione mineraria. Sorta nel 1984, paradossalmente per mano dei militari quando ormai il regime era entrato nella sua fase finale, la Renca finora aveva rappresentato un baluardo nei confronti degli investitori privati che arrivano a frotte in Brasile, attratti dalle risorse naturali.

La colonizzazione sistematica dei territori indigeni, che peraltro anche in epoca lulista era tutt'altro che diminuita, con Temer al governo è cresciuta costantemente per la gioia dell'agronegozio. Parallelamente, di fronte alla resistenza e ai tentativi degli indios di rioccupare le terre da cui sono stati cacciati, la cosiddetta retoma, è cresciuta la violenza dello stato e degli squadroni paramilitari al soldo dei latifondisti. Lottare per i diritti indigeni contro un sistema che nega apertamente la loro esistenza non è semplice, come hanno sperimentato in prima persona il presidente e il segretario del Cimi, finiti sotto processo nel Mato Grosso do Sul per il loro sostegno agli indios. In questo contesto va aperta anche una riflessione sul ruolo della Funai, organismo creato dai militari nel 1967 e rimasto, tuttora, alle dipendenze del ministero della giustizia e quindi facilmente ricattabile dal presidente di turno.

Attualmente, la Funai non ha la forza per imporre la demarcazione delle terre e, a questo proposito, è indicativa la dichiarazione dell'ex governatore del Mato Grosso do Sul André Puccinelli, rimasto in carica fino al 2014: "Dare anche solo un palo di terra produttiva agli indigeni è un crimine". La domanda che si pongono gli indios, "perchè dobbiamo morire per una terra che è nostra?" resta, purtroppo, sempre più attuale e all'orizzonte non si intravedono cambiamenti significativi, se non in peggio.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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