Palestina

Mercanti di morte

Partnership Italia-Israele nel nome delle armi

Cresce l'alleanza politico-militare tra Italia e Israele e sono sempre più frequenti le esercitazioni militari congiunte e le visite dei capi di stato maggiore. Nell'ombra, l'importazione e l'export di sistemi d'arma e tecnologie di guerra.
18 maggio 2011

Peggior giorno non poteva scegliere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per recarsi in Israele a ricevere il Dan David, il premio da un milione di dollari che il finanziere a capo del colosso internazionale delle apparecchiature fotografiche per fototessera (Photo-Me International Plc), riconosce annualmente ai vip distintisi nella “difesa dei valori universali della giustizia, della democrazia e del progresso”. La consegna del mini Nobel è avvenuta il 15 maggio a Tel Aviv nell’intervallo tra un incontro con il presidente Shimon Peres e quello con il premier Benjamin Netanyahu, mentre alla frontiera di Israele con il Libano e la Siria era in atto la feroce repressione dei manifestanti che commemoravano la Nakba, il giorno della “catastrofe” del 1948 quando con la creazione dello stato d’Israele, decine di migliaia di palestinesi furono costretti ad abbandonare la regione nativa. Almeno una ventina le persone uccise dall’esercito, ancora una strage che per l’ennesima volta non ha turbato l’élite politica ed economica italiana che insegue lucrosi affari con le imprese israeliane.

Il core business dell’asse Roma-Tel Aviv è rappresentato dal mercato delle armi e specie con Berlusconi, l’Italia si è distinta nel tessere sempre più proficue relazioni nel campo della “difesa” e della “sicurezza”. Oltre alla recente visita di Silvio B. in Israele, le tappe del riavvicinamento armato comprendono gli incontri del novembre 2009 tra il ministro della difesa Ignazio La Russa, l’omologo israeliano Ehud Barake e Netanyahu, la visita a Roma nel luglio 2010 del Capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, generale Gabi Ashkenazi e il vertice a settembre tra il sottosegretario alla difesa, on. Guido Corsetto e l’ambasciatore di Israele in Italia, Ghideon Meir, per verificare appunto, “l’opportunità di eventuali e future collaborazioni nel campo militare”, come recita il comunicato ufficiale emesso a fine colloqui. Tre mesi più tardi, dicembre 2010, è stata la volta del Capo di stato maggiore della difesa italiano, generale Vincenzo Camporini, a recarsi in visita a Tel Aviv per discutere sul “rafforzamento della collaborazione strategica a livello politico, militare e tecnico-industriale; il consolidamento della conoscenza dei reciproci apparati militari e lo sviluppo di strumenti di raccordo e coordinamento delle attività di pace italiane nelle aeree d’interesse per lo stato israeliano”.

Le linee guida della cooperazione militare Italia-Israele sono tracciate dalla legge n. 94 del 17 maggio 2005 che ratifica l’accordo sottoscritto nel 2003 dall’allora ministro della difesa Antonio Martino. Roma e Tel Aviv s’impegnano nello specifico a collaborare nel campo dell’importazione, esportazione e transito di materiali militari, ad organizzare attività di addestramento ed esercitazioni e la “visita di navi ed aerei”, a coordinare la “partecipazione alle operazioni umanitarie”, a sviluppare “la ricerca e la produzione militare, la politica degli approvvigionamenti e l’industria per la difesa” e a “interscambiare materiali d’armamento”. Non si attese comunque il voto parlamentare per accendere i motori della nuova alleanza. Il 18 novembre 2004, dopo un summit a Roma tra il ministro della difesa del governo Sharon, Shaul Mofaz, l’omologo italiano Martino e il presidente del consiglio Berlusconi, venne annunciato lo stanziamento congiunto di 181 milioni di dollari per “lo sviluppo di un nuovo sistema di guerra elettronica progettato per inabilitare i velivoli nemici”. Da allora gli affari si sono fatti sempre più fitti: secondo una ricerca dell’Archivio Disarmo basata su dati ISTAT, nel 2005 il governo italiano autorizzò contratti di vendita ad Israele, in base alla legge 185, per circa 1,3 milioni di euro. Più recentemente, come evidenzia la Rete Italiana per il Disarmo, le vendite autorizzate al governo di Tel Aviv superano complessivamente i due milioni di euro l’anno, e riguardano in particolare “armi di calibro superiore ai 12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche”. Tra le imprese italiane coinvolte spiccano i nomi di Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica.

A ciò vanno poi aggiunti i contratti stipulati all’estero dalle società controllate dalle holding nazionali, non considerati nei rapporti del governo. Nel dicembre 2007, ad esempio, DRS Technologies Inc., azienda  del gruppo Finmeccanica con sede a Parsippany, New Jersey, ha sottoscritto un  contratto di 6 milioni di dollari con l’U.S. Army’s Tank-Automotive and Armaments Command (TACOM) per produrre autoarticolati da 80 tonnellate per il trasporto dei carri armati “Merlava” in dotazione alle forze armate israeliane. Finmeccanica che con ElsagDatamat si è recentemente aggiudicata in Israele un appalto da 10 milioni di euro per la fornitura di un sistema automatico di smistamento della posta, punta ad una maggiore visibilità nel mercato armato e spera di entrare nella megacommessa autorizzata a fine 2010 da Washington per la fornitura di 20 cacciabombardieri stealth di nuova generazione F-35A Lightning II. I caccia sono prodotti dalle industrie statunitensi Lockheed Martin, Northrop Grumman e BAE Systems con il modestissimo contributo di Alenia Aeronautica. Il valore dell’accordo è stimato in 2,75 miliardi di dollari, ma potrebbero essere superati i 10 miliardi se venisse esercita un’opzione per l’acquisto di altri 55 cacciabombardieri. Le consegne avverranno a partire dal 2016 con la partecipazione di Israel Aerospace Industries e Elbit Systems.

Altrettanto significativi i numerosi progetti di “cooperazione scientifica e tecnologica” che i ministeri italiani per l’Industria e la Ricerca scientifica hanno sottoscritto in questi anni con Israele e i cui riflessi nel settore militare vengono opportunamente mascherati. Nel dicembre 2005, l’allora ministra per l’istruzione e l’università, Letizia Moratti, ha firmato un decreto con il quale sono stati finanziati 52 progetti con Stati Uniti e Israele, per un ammontare complessivo di 18 milioni di euro, in aree di rilevante interesse strategico quali “bioinformatica, bioingegneria, neurobiologia, chimica-farmaceutica, gnomica-proteomica, nanotecnologia, biotecnologia, Ict e linguistica computazionale”. Il sostegno ai programmi è avvenuto attraverso il Fondo per gli investimenti della Ricerca di Base del ministero mentre le attività scientifiche sono state realizzate dalle università di Milano, Roma (“La Sapienza”), Napoli (“Federico II”), Torino, Bologna, dagli atenei israeliani di Haifa e Tel Aviv, dalla Hebrew University, dal Weizmann Institute e dall’Istituto tecnologico “Technion”.

Attingendo sempre dai fondi del Ministero per l’istruzione e la ricerca scientifica, è stato co-finanziato il programma bilaterale “Shalom” per il lancio di due satelliti dotati di sensori iperspettrali in grado di captare emissioni. I due satelliti saranno collocati nella stessa orbita della costellazione italiana d’intelligence COSMO-SkyMed e “integreranno le osservazioni radar con osservazioni nell’infrarosso visibile e ultravioletto per numerose applicazioni, compresi monitoraggio ambientale, mappatura geologica, sicurezza e gestione dei rischi ambientali”, come afferma l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), partner italiano del programma.

Finalità militari ha pure il progetto di ricerca nel campo della fotonica finanziato dalla Regione Lazio attraverso Sviluppo Lazio che vede coinvolte l’Università di Tor Vergata, Selex Communications (società del gruppo Finmeccanica specializzata nelle “comunicazioni militari e protette”) e l’azienda israeliana Lynx Photonic Network. L’Università di Tor Vergata compare pure nel programma di sviluppo della rete di telecomunicazione satellitare “Savion” (Satellite Autoconfigurable Voice Image data Overlay Network) per il coordinamento degli interventi in “situazioni di sicurezza ed emergenza”. Il nuovo sistema, sperimentato nel maggio 2006 a Riva del Garda dalle società Telespazio e Maxtech, è finanziato dall’Unione europea e dai ministeri degli esteri di Italia ed Israele.

Il nostro paese, più che un esportatore di armamenti è un cliente preferenziale di Israele: negli ultimi due anni le importazioni di tecnologie militari hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro. Tra le principali acquirenti l’industria Simmel che si rifornisce in Israele di componenti per bombe e la Beretta (componenti per armi automatiche, pistole e mitragliatori). Ci sono poi le acquisizioni di materiale bellico realizzate con fondi non provenienti dal ministero della difesa, come avvenuto ad esempio con una decina di radar fissi e mobili  EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar) realizzati da Elta Systems, società controllata dalla Israel Aerospace Industries Ltd. (IAI). I radar entreranno a far parte della nuova Rete di sensori di profondità per la sorveglianza costiera che la Guardia di finanza sta implementando per contrastare gli sbarchi dei migranti. Acquistati grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, le apparecchiature hanno una portata di oltre 50 chilometri e sono appositamente progettate per individuare imbarcazioni veloci di piccole dimensioni. Gli EL/M-2226 fanno parte della famiglia di trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza)”, che operano emettendo microonde estremamente pericolose per l’uomo, la fauna e la flora. Per la loro installazione saranno sacrificate alcune aree protette e riserve naturali di Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.

L’altro pilastro della partnership è rappresentato dalle esercitazioni dei reparti d’élite delle forze armate italo-israeliane. Buona parte di esse si tengono da alcuni anni nei grandi poligoni militari della Sardegna e nell’aeroporto di Decimomannu (Cagliari). Gli ultimi giochi di guerra in grande scala risalgono al novembre 2010, quando 38 aerei da guerra e oltre 600 militari italiani ed israeliani si sono dati appuntamento a Decimomannu per l’esercitazione “Vega”. Per diversi giorni sono stati simulati duelli aerei ed eseguiti bombardamenti con missili aria-terra. Protagonisti gli squadroni con caccia F-15 della base di Tel Nof (a sud di Tel Aviv) ed F-16 della base di Nevatim (Neghev) e un velivolo senza pilota “Eitam” G550, il drone di maggiori dimensioni sino ad ora costruito in Israele, al suo esordio in un campo di battaglia. In prima linea per l’Italia i cacciabombardieri Tornado ECR del 50° Stormo, gli F-16 del 37° Stormo, gli Amx ”Ghibli” del 32° Stormo e gli Eurofighter ”Typhoon” del 4° Stormo. Proprio i reparti che quattro mesi più tardi - con la benedizione del presidente Napolitano - sarebbero stati destinati da Berlusconi e La Russa alle operazioni di bombardamento in Libia. 

 

Peggior giorno non poteva scegliere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per recarsi in Israele a ricevere il Dan David, il premio da un milione di dollari che il finanziere a capo del colosso internazionale delle apparecchiature fotografiche per fototessera (Photo-Me International Plc), riconosce annualmente ai vip distintisi nella “difesa dei valori universali della giustizia, della democrazia e del progresso”. La consegna del mini Nobel è avvenuta il 15 maggio a Tel Aviv nell’intervallo tra un incontro con il presidente Shimon Peres e quello con il premier Benjamin Netanyahu, mentre alla frontiera di Israele con il Libano e la Siria era in atto la feroce repressione dei manifestanti che commemoravano la Nakba, il giorno della “catastrofe” del 1948 quando con la creazione dello stato d’Israele, decine di migliaia di palestinesi furono costretti ad abbandonare la regione nativa. Almeno una ventina le persone uccise dall’esercito, ancora una strage che per l’ennesima volta non ha turbato l’élite politica ed economica italiana che insegue lucrosi affari con le imprese israeliane.

Il core business dell’asse Roma-Tel Aviv è rappresentato dal mercato delle armi e specie con Berlusconi, l’Italia si è distinta nel tessere sempre più proficue relazioni nel campo della “difesa” e della “sicurezza”. Oltre alla recente visita di Silvio B. in Israele, le tappe del riavvicinamento armato comprendono gli incontri del novembre 2009 tra il ministro della difesa Ignazio La Russa, l’omologo israeliano Ehud Barake e Netanyahu, la visita a Roma nel luglio 2010 del Capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, generale Gabi Ashkenazi e il vertice a settembre tra il sottosegretario alla difesa, on. Guido Corsetto e l’ambasciatore di Israele in Italia, Ghideon Meir, per verificare appunto, “l’opportunità di eventuali e future collaborazioni nel campo militare”, come recita il comunicato ufficiale emesso a fine colloqui. Tre mesi più tardi, dicembre 2010, è stata la volta del Capo di stato maggiore della difesa italiano, generale Vincenzo Camporini, a recarsi in visita a Tel Aviv per discutere sul “rafforzamento della collaborazione strategica a livello politico, militare e tecnico-industriale; il consolidamento della conoscenza dei reciproci apparati militari e lo sviluppo di strumenti di raccordo e coordinamento delle attività di pace italiane nelle aeree d’interesse per lo stato israeliano”.

Le linee guida della cooperazione militare Italia-Israele sono tracciate dalla legge n. 94 del 17 maggio 2005 che ratifica l’accordo sottoscritto nel 2003 dall’allora ministro della difesa Antonio Martino. Roma e Tel Aviv s’impegnano nello specifico a collaborare nel campo dell’importazione, esportazione e transito di materiali militari, ad organizzare attività di addestramento ed esercitazioni e la “visita di navi ed aerei”, a coordinare la “partecipazione alle operazioni umanitarie”, a sviluppare “la ricerca e la produzione militare, la politica degli approvvigionamenti e l’industria per la difesa” e a “interscambiare materiali d’armamento”. Non si attese comunque il voto parlamentare per accendere i motori della nuova alleanza. Il 18 novembre 2004, dopo un summit a Roma tra il ministro della difesa del governo Sharon, Shaul Mofaz, l’omologo italiano Martino e il presidente del consiglio Berlusconi, venne annunciato lo stanziamento congiunto di 181 milioni di dollari per “lo sviluppo di un nuovo sistema di guerra elettronica progettato per inabilitare i velivoli nemici”. Da allora gli affari si sono fatti sempre più fitti: secondo una ricerca dell’Archivio Disarmo basata su dati ISTAT, nel 2005 il governo italiano autorizzò contratti di vendita ad Israele, in base alla legge 185, per circa 1,3 milioni di euro. Più recentemente, come evidenzia la Rete Italiana per il Disarmo, le vendite autorizzate al governo di Tel Aviv superano complessivamente i due milioni di euro l’anno, e riguardano in particolare “armi di calibro superiore ai 12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche”. Tra le imprese italiane coinvolte spiccano i nomi di Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica.

A ciò vanno poi aggiunti i contratti stipulati all’estero dalle società controllate dalle holding nazionali, non considerati nei rapporti del governo. Nel dicembre 2007, ad esempio, DRS Technologies Inc., azienda  del gruppo Finmeccanica con sede a Parsippany, New Jersey, ha sottoscritto un  contratto di 6 milioni di dollari con l’U.S. Army’s Tank-Automotive and Armaments Command (TACOM) per produrre autoarticolati da 80 tonnellate per il trasporto dei carri armati “Merlava” in dotazione alle forze armate israeliane. Finmeccanica che con ElsagDatamat si è recentemente aggiudicata in Israele un appalto da 10 milioni di euro per la fornitura di un sistema automatico di smistamento della posta, punta ad una maggiore visibilità nel mercato armato e spera di entrare nella megacommessa autorizzata a fine 2010 da Washington per la fornitura di 20 cacciabombardieri stealth di nuova generazione F-35A Lightning II. I caccia sono prodotti dalle industrie statunitensi Lockheed Martin, Northrop Grumman e BAE Systems con il modestissimo contributo di Alenia Aeronautica. Il valore dell’accordo è stimato in 2,75 miliardi di dollari, ma potrebbero essere superati i 10 miliardi se venisse esercita un’opzione per l’acquisto di altri 55 cacciabombardieri. Le consegne avverranno a partire dal 2016 con la partecipazione di Israel Aerospace Industries e Elbit Systems.

Altrettanto significativi i numerosi progetti di “cooperazione scientifica e tecnologica” che i ministeri italiani per l’Industria e la Ricerca scientifica hanno sottoscritto in questi anni con Israele e i cui riflessi nel settore militare vengono opportunamente mascherati. Nel dicembre 2005, l’allora ministra per l’istruzione e l’università, Letizia Moratti, ha firmato un decreto con il quale sono stati finanziati 52 progetti con Stati Uniti e Israele, per un ammontare complessivo di 18 milioni di euro, in aree di rilevante interesse strategico quali “bioinformatica, bioingegneria, neurobiologia, chimica-farmaceutica, gnomica-proteomica, nanotecnologia, biotecnologia, Ict e linguistica computazionale”. Il sostegno ai programmi è avvenuto attraverso il Fondo per gli investimenti della Ricerca di Base del ministero mentre le attività scientifiche sono state realizzate dalle università di Milano, Roma (“La Sapienza”), Napoli (“Federico II”), Torino, Bologna, dagli atenei israeliani di Haifa e Tel Aviv, dalla Hebrew University, dal Weizmann Institute e dall’Istituto tecnologico “Technion”.

Attingendo sempre dai fondi del Ministero per l’istruzione e la ricerca scientifica, è stato co-finanziato il programma bilaterale “Shalom” per il lancio di due satelliti dotati di sensori iperspettrali in grado di captare emissioni. I due satelliti saranno collocati nella stessa orbita della costellazione italiana d’intelligence COSMO-SkyMed e “integreranno le osservazioni radar con osservazioni nell’infrarosso visibile e ultravioletto per numerose applicazioni, compresi monitoraggio ambientale, mappatura geologica, sicurezza e gestione dei rischi ambientali”, come afferma l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), partner italiano del programma.

Finalità militari ha pure il progetto di ricerca nel campo della fotonica finanziato dalla Regione Lazio attraverso Sviluppo Lazio che vede coinvolte l’Università di Tor Vergata, Selex Communications (società del gruppo Finmeccanica specializzata nelle “comunicazioni militari e protette”) e l’azienda israeliana Lynx Photonic Network. L’Università di Tor Vergata compare pure nel programma di sviluppo della rete di telecomunicazione satellitare “Savion” (Satellite Autoconfigurable Voice Image data Overlay Network) per il coordinamento degli interventi in “situazioni di sicurezza ed emergenza”. Il nuovo sistema, sperimentato nel maggio 2006 a Riva del Garda dalle società Telespazio e Maxtech, è finanziato dall’Unione europea e dai ministeri degli esteri di Italia ed Israele.

Il nostro paese, più che un esportatore di armamenti è un cliente preferenziale di Israele: negli ultimi due anni le importazioni di tecnologie militari hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro. Tra le principali acquirenti l’industria Simmel che si rifornisce in Israele di componenti per bombe e la Beretta (componenti per armi automatiche, pistole e mitragliatori). Ci sono poi le acquisizioni di materiale bellico realizzate con fondi non provenienti dal ministero della difesa, come avvenuto ad esempio con una decina di radar fissi e mobili  EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar) realizzati da Elta Systems, società controllata dalla Israel Aerospace Industries Ltd. (IAI). I radar entreranno a far parte della nuova Rete di sensori di profondità per la sorveglianza costiera che la Guardia di finanza sta implementando per contrastare gli sbarchi dei migranti. Acquistati grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, le apparecchiature hanno una portata di oltre 50 chilometri e sono appositamente progettate per individuare imbarcazioni veloci di piccole dimensioni. Gli EL/M-2226 fanno parte della famiglia di trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza)”, che operano emettendo microonde estremamente pericolose per l’uomo, la fauna e la flora. Per la loro installazione saranno sacrificate alcune aree protette e riserve naturali di Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.

L’altro pilastro della partnership è rappresentato dalle esercitazioni dei reparti d’élite delle forze armate italo-israeliane. Buona parte di esse si tengono da alcuni anni nei grandi poligoni militari della Sardegna e nell’aeroporto di Decimomannu (Cagliari). Gli ultimi giochi di guerra in grande scala risalgono al novembre 2010, quando 38 aerei da guerra e oltre 600 militari italiani ed israeliani si sono dati appuntamento a Decimomannu per l’esercitazione “Vega”. Per diversi giorni sono stati simulati duelli aerei ed eseguiti bombardamenti con missili aria-terra. Protagonisti gli squadroni con caccia F-15 della base di Tel Nof (a sud di Tel Aviv) ed F-16 della base di Nevatim (Neghev) e un velivolo senza pilota “Eitam” G550, il drone di maggiori dimensioni sino ad ora costruito in Israele, al suo esordio in un campo di battaglia. In prima linea per l’Italia i cacciabombardieri Tornado ECR del 50° Stormo, gli F-16 del 37° Stormo, gli Amx ”Ghibli” del 32° Stormo e gli Eurofighter ”Typhoon” del 4° Stormo. Proprio i reparti che quattro mesi più tardi - con la benedizione del presidente Napolitano - sarebbero stati destinati da Berlusconi e La Russa alle operazioni di bombardamento in Libia.

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