L'orso fa paura, vogliono che diventi Yoghi
Un orso, anzi secondo gli ultimi avvistamenti due, uno più grande e un giovane. Si muovono da settimane nei boschi di montagna dell’Alto Adige a caccia di pecore. Pronti a sconfinare a due passi dal Trentino, o ad arrivare nel Bresciano, dove sono stati sbranati sei ovini il 5 maggio. Finora nessuno è riuscito a fermarli. Per Reinhold Messner non è giusto catturarli: «Vedo le stesse reazioni che 200 anni fa portarono alla loro estinzione. La paura non ha storia. Ma non si può metterli in gabbia».
Non c’è niente di più triste di un orso addomesticato. Non dico sottomesso con la crudeltà degli ammaestratori cinesi, che lo manovrano a piacere tramite un dolorosissimo anello conficcato nel naso, dico anche semplicemente addomesticato dalle merende dei gitanti. L’animale che più di ogni altro vive la contraddizione di un corpo e un andamento «simpatici» contrapposti a un’indole burbera per antonomasia, l’animale che non sopporta neanche la sua ombra, solitario, rustego , ora dovrebbe diventare buffo, cartonizzarsi, ritrovare lo Yoghi che è in lui. D’altronde, c’è già pronto il suo nome mediatico, Meister Petz, nonché il generoso progetto da parte di un’inedita Fondazione Orso di recintare un terreno di montagna dotato di grotta e laghetto, dove l’animale potrebbe essere ammirato e magari nutrito e fotografato e filmato, mentre ingrassa e perde il pelo e impara a fare ciao ciao con la zampa quando vuole un’altra caramella.
Il fatto è che quando noi guardiamo un animale in un recinto guardiamo un recinto vuoto. Il bestione che ha razziato un bel po’ di pecore altoatesine e che ora forse sta tornando verso il parco dell’Adamello, fosse rinchiuso non sarebbe più dentro la pelliccia di Meister Petz, e questo non solo per ciò che si è detto, ma anche e soprattutto perché l’animale vero è quello che tu non vedi - quello che sai che c’è, di cui senti la presenza, ma che non ti riesce di sorprendere. Il fugace, quasi ectoplasmatico passaggio di un capriolo nel bosco ti trasmette l’essenza della sua selvatichezza molto più di un branco di caprioli accovacciati sul loro pralinato di feci in uno zoo safari. Eppure c’è gente che tiene i leoni in casa. Eppure c’è chi vuole yoghizzare un orso sloveno trapiantato e fargli le coccole.
Mi ricordo che lo scorso inverno erano stati avvistati alcuni lupi sull’altipiano carsico. Io andavo a correre in quei boschi tutte le mattine di buonora sperando di imbattermi in qualcuno di loro. C’era in me un misto di curiosità e paura che amplificava ogni minimo rumore, ogni più piccola ombra, e che ha reso, grazie alla presentissima assenza dei lupi, davvero belle quelle escursioni. In questi giorni in Alto Adige vanno a ruba campanelli e spray antiorso, normalmente usati dagli escursionisti dei parchi canadesi. E’ questa la nostra oscillazione: da un canto temiamo l’aggressione di un mostro hollywoodiano, dall’altro lo vorremmo bonificare in un cartone di Hanna e Barbera. Non occorre essere etologi, né psicanalisti, per notare che il nostro rapporto con gli animali - selvatici e non - manifesta i tratti di una regressione infantile. Ma quell’orso mangia pecore non è un uomo: se non si riesce a tenerlo lontano bisogna sparargli, sarà sempre meglio che ridurlo un peluche gigante.
Ogni mattina sotto casa mia, a Trieste, ci sono dei gabbiani reali che indugiano tronfi sui cassonetti in attesa che le gattare portino giù i loro triti di carne, le loro leccornie. Spesso scacciano i gatti davanti alla pescheria. Fa impressione vederli ciabattare come avvoltoi per i marciapiedi, è come un’anomalia transgenica. I gabbiani reali si sono stufati di pescare, ammazzano i piccioni, i merli, i cuccioli di gatto. Sono belli, hanno le piume bianche e grigio squalo. Più di qualche bar potrebbe tenerne qualcuno al posto degli acquari, però, non so, noi tutti qui crediamo che sarebbe più morale avvelenarli.
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