Conflitti

Aggiornamenti - Anno 2009

Situazione politica nelle nazioni dell'Africa

Il continente africano continua ad essere interessato da gravi tensioni politiche, scontri armati, violazioni diffuse dei diritti umani e instabilità politica in diverse aree. In questo dossier si intende analizzare brevemente e riportare gli avvenimenti dell'ultimo anno relativi ad alcuni paesi africani con specifico riferimento, oltre alle novità sul piano politico-istituzionale, alla situazione relativa al rispetto dei diritti umani e alla presenza dei rifugiati. Verranno descritti altresì, laddove presenti, gli interventi umanitari e di mantenimento della pace realizzati nel corso delle missioni dell'ONU.
15 marzo 2010
Vincenzo Gallo

Angola

Hic sunt leones

Hic sunt leones

Hic sunt leones, nella storiografia e nella pubblicistica rappresenta i luoghi inesplorati, il cuore dell'Africa nera. Quella terra bella e terribile che - letteralmente - galleggia sul petrolio. A nostro avviso le sue immense ricchezze minierarie sono la principale fonte di conflitto.

L'Africa può vivere senza il resto del mondo. Ma il resto del mondo economico non può vivere senza l'Africa.

L'Angola ha sperimentato negli ultimi anni un periodo di crescita economica sostenuta grazie alla fine delle ostilità e all'implementazione di politiche di sviluppo sostenute dallo sfruttamento delle risorse nazionali e dall'interesse manifestato da paesi esteri sotto forma di aiuti ed investimenti.

Il tasso di crescita dell'economia ha beneficiato dell'aumento del prezzo del petrolio (circa l'85% del PIL angolano deriva dalle attività di sfruttamento del petrolio). Il PIL ha conosciuto negli ultimi 5 anni un tasso di crescita medio annuo superiore al 10% e ciò ha favorito la ricostruzione delle strutture danneggiate in 27 anni di conflitto interno; il paese è tuttora alle prese con il lascito pesante della guerra civile come ad esempio il fatto che larghe parti del territorio non sono state bonificate dalle mine e ciò comporta una ripresa lenta della produzione agricola e la necessità di importare circa la metà delle materie prime per soddisfare il fabbisogno nazionale.

La politica di stabilizzazione dell'economia ha prodotto significativi risultati sul piano dell'inflazione che è scesa dal 325% del 2000 a poco più del 10% nel 2008. Il paese beneficia di ampie linee di credito da diversi stati esteri tra cui la Cina, Portogallo, Brasile, Germania e UE.

Dal 2006 l'Angola è entrata a far parte dell'OPEC e già alla fine del 2007 vantava una quota di produzione di circa 2 milioni di barili al giorno.

Il paese ha necessità di riformare profondamente l'amministrazione pubblica per beneficiare completamente delle opportunità fornite dalla ricchezza di materie prime; la trasparenza e la lotta alla corruzione soprattutto nel settore delle estrazioni sono delle precondizioni necessarie in questo senso.

Diritti umani

Nonostante il fatto che l'Angola sia diventato il più importante produttore di petrolio dell'Africa sub-Sahariana il 68% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà e il 28% di questi in condizioni di estrema povertà; questa situazione produce effetti non trascurabili sul pino del godimento dei diritti umani.

Secondo il rapporto annuale di Amnesty International 2009 la situazione generale si avvia ad un certo miglioramento anche grazie alle politiche governative (come ad esempio quella relativa all'edilizia sociale) ma il cammino verso la normalizzazione è tuttora lungo; le violazioni dei diritti umani da parte delle forze dell'ordine sono diminuite ma l'intimidazione e le pressioni ai danni di giornalisti e attivisti per i diritti umani sono ancora frequenti e le autorità chiesero la chiusura dell'ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (affermando che tale ufficio mancasse del mandato legale per operare visto che la missione dell'ONU di peacekeeping si era conclusa) e di una ong operante nel paese.

Il governo ha attivato un programma per la costruzione di un milione di abitazioni popolari entro il 2012 attraverso il trasferimento a questo settore del 10% dei ricavi petroliferi.

I casi riportati di trasferimenti forzati sono sensibilmente diminuiti e ad alcune famiglie smobilizzate con la forza è stato permesso di rientrare nelle loro abitazioni mentre a molte altre è stato accordato un bonus da 500 a 2500 dollari in mancanza di alternative.

Si sono registrati miglioramenti anche sui metodi utilizzati dalle forze di polizia anche grazie ad un programma specifico per regolare l'uso della forza. La polizia angolana ha svolto il proprio ruolo senza eccessiva durezza durante le ultime elezioni ma sono stati riportati alcuni casi di uccisioni illegali come quelle di alcuni ragazzi sospettati di rapina a mano armata; durante lo scontro otto ragazzi furono uccisi e nessun poliziotto rimase ferito. I poliziotti affermarono di aver agito per legittima difesa ma fino alla fine del 2008 non si è avuta alcuna condanna. La libertà di espressione è spesso violata attraverso l'intimidazione ai danni di giornalisti e nel mese di giugno il Ministro delle Telecomunicazioni ordinò la chiusura di Radio Despertar per 180 giorni.

Alcuni casi di arresti arbitrari sono stati riportati ai danni di persone nell'esercizio del diritto di associazione come alcuni membri dell'Angolan Teachers Trade Union,( un sindacato di insegnanti) durante uno sciopero nel mese di ottobre; alcuni degli arresti sono stati effettuati senza mandato anche dopo la fine dello sciopero.

Amnesty International non è stata autorizzata ad operare nel paese visto il diniego delle autorità a concedere il visto ad alcuni operatori nel mese di ottobre; l'ultima visita di Amnesty in Angola risale al febbraio 2007.

Rifugiati

La situazione dei rifugiati in Angola si va progressivamente normalizzando grazie alla stabilizzazione politica e all'intervento di varie organizzazioni internazionali che facilitano il rientro dei rifugiati nei luoghi di origine. La strategia dell'UNHCR è di ampio respiro e coinvolge alcuni paesi africani nell'implementazione dei programmi visto che da un singolo stato il flussi di persone che lasciano le loro case si dirige verso vari paesi. Nel caso dell'Angola il rapido sviluppo economico e la relativa normalizzazione generale hanno rappresentato una grande attrattiva per le persone di paesi confinanti. L'Angola ospita attualmente circa 12600 rifugiati, la maggior parte dei quali sono congolesi della regione del Katanga insediatisi già dagli anni 70 per sfuggire al conflitto.

L'UNHCR sta discutendo con il governo angolano e con i governi interessati per il possibile rimpatrio volontario di rifugiati dalla DRC e Zambia. Il governo angolano si è adoperato per la modernizzazione delle istituzioni preposte alla gestione dei rifugiati e richiedenti asilo nel proprio territorio nonché per l'adeguamento della legislazione statale in questo settore.

Ciad

La situazione politica in Ciad si presenta relativamente stabile ma va comunque valutata alla luce della presenza di sporadici scontri interni con alcuni gruppi di ribelli e delle relazioni ancora non completamente normalizzate con gli stati confinanti.

Le Nazioni Unite sono presenti nel territorio del Ciad e della Repubblica Centraficana con truppe della missione MINURCAT la quale ha tra i vari compiti il monitoraggio degli accordi di pace e il controllo del territorio per scongiurare il rischio di incursioni da parte delle truppe del Ciad e dei paesi confinanti. Le tensioni sono alimentate altresì dal profondo clima di sfiducia nel processo di pace e da continue reciproche accuse di violazioni; a maggio 2009 il governo del Ciad accusò il governo sudanese di aver appoggiato l'incursione di gruppi di ribelli nel territorio del Ciad. Il fatto è avvenuto ad appena due giorni dalla conclusione di un accordo per la cessazione delle ostilità e la normalizzazione dei rapporti. Le voci che confermano le dichiarazioni relative agli attacchi sono state confermate da alcuni leader di gruppi ribelli, come il Union of Resistence Forces appoggiato dal governo sudanese (UFR), che hanno ammesso di aver ingaggiato scontri a fuoco con le truppe regolari del Ciad nella regione sud-orientale di Salamat e di aver attaccato e distrutto circa 15 veicoli militari delle truppe governative nella città di Tissi.

Sul fronte interno persistono alcuni focolai di ribellione e a maggio in un solo giorno (7 maggio) gli scontri tra truppe governative e ribelli nella capitale N'jamena hanno provocato 146 vittime (125 ribelli e 21 militari) secondo la dichiarazione dello Stato Maggiore dell'Esercito.

Il Segretario Generale dell'Onu nel suo rapporto periodico del 14 ottobre 2009 al Consiglio di Sicurezza ha fatto il punto della situazione in Ciad e ha sottolineato alcuni progressi nel processo di normalizzazione del clima politico e elettorale; è stata instituita una Commissione Elettorale ed è stata adottata una legislazione specifica in materia di elezioni che contiene disposizioni relative all'organizzazione dei partiti, rapporti tra elettori ed eletti e il divieto di cambiare schieramento politico durante le elezioni segnando un passo importante nella direzione della trasparenza e della legalità. A richiesta della Commissione Elettorale, le Nazioni Unite hanno disposto la creazione di una missione di valutazione a N'Djamena che ha operato dal 29 agosto all'8 settembre 2009 in presenza di esponenti politici e della società civile.

La situazione relativa alla sicurezza interna nel periodo di osservazione del rapporto ONU (giugno 2009-ottobre 2009) mostra un certo miglioramento anche grazie al fatto che la stagione delle piogge rende difficoltosi gli spostamenti di truppe sia all'interno che attraverso i confini del paese. Sul piano della sicurezza interna è da sottolineare lo sforzo congiunto del Distaccamento Integrato di Sicurezza dell'ONU (DIS) e le forze di polizia e di sicurezza del Ciad nella lotta al banditismo all'interno del paese; in questo periodo sono state sgominate diverse bande di criminali e recuperati mezzi militari sottratti illegalmente. Tuttavia non sono mancati alcuni gravi incidenti e attacchi a operatori umanitari come il rapimento il 3 agosto di due membri di Medici Senza Frontiere (che sono stati poi portati in Sudan) e rilasciati all'inizio di settembre dopo una trattativa. Il 7 settembre, inoltre, un operatore del MINURCAT è rimasto ucciso nel corso di un'imboscata ad opera di 5 uomini armati che hanno esploso raffiche di armi da fuoco contro il veicolo dell'ONU.

A metà settembre 2009 la missione MINURCAT poteva contare su 2665 unità di cui 142 ufficiali militari e 20 ufficiali di polizia. Tale numero rappresenta solo la metà del contingente inizialmente previsto e autorizzato dalla missione dell'ONU e ciò ha determinato notevoli ritardi nel compimento delle operazioni programmate. Le attività principali delle forze di pace consistono nell'assistenza lotta alla criminalità locale e il supporto alle missioni umanitarie di ong e organizzazioni internazionali; molte operazioni sono state condotte con l'ausilio di elicotteri e scorte armate per raggiungere aree impervie e a rischio a causa della presenza di bande armate. L'assistenza delle truppe dell'ONU si è rivelata fondamentale nell'addestramento delle forze di sicurezza del Ciad (DIS) e nel relativo finanziamento; il DIS ha effettuato a partire da ottobre 2008 più di 3000 pattugliamenti e arrestato 300 persone per vari reati. Il budget del DIS per il periodo 2008-2009 ammonta a 25,5 milioni di dollari ma ad ottobre 2009, grazie a fondi messi a disposizione in occasione di un meeting a Bruxelles dalla Commissione Europea, Francia, Usa e Norvegia, sarà incrementato di ulteriori 14 milioni di dollari.

Diritti umani

Il quadro generale del rispetto dei diritti umani in Ciad risente dell'esistenza e del perdurare di vari problemi interni legati alla sicurezza. Il 14 febbraio 2009 il presidente Déby dichiarò lo stato di emergenza con la conseguente ulteriore restrizione delle libertà di movimento e di espressione; il decreto è stato più volte prorogato.

Gli scenari più preoccupanti sono rappresentati dagli scontri tra le forze governative e coalizioni di gruppi armati ribelli; a febbraio centinaia di civili sono rimasti uccisi e circa 50000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e cercare rifugio all'estero. I tre gruppi di ribelli coalizzati sono: Union of Forces for Democracy and Development, il Rally of Forces for Change e Union of Forces for Democracy and Development-Fundamental. Il governo del paese ha istituito un' apposita Commissione per indagare sui presunti crimini e violazioni di diritti umani commessi in tale periodo e il rapporto è stato reso noto nel mese di settembre.

Le sparizioni forzate sono tuttora diffuse ed il governo è riluttante a rilasciare informazioni in merito;sei membri del gruppo etnico dei Tama arrestati a novembre 2007 sono ancora "desaparecidos".

Le forze di sicurezza e di polizia hanno arrestato molti civili a causa degli attacchi di N'Djamena con modalità e pratiche riconducibili agli arresti arbitrari e con detenzioni prolungate senza accesso ai diritti della difesa. Le forze di polizia sono state sospettate di aver compiuto diverse esecuzioni extragiudiziali come dimostra il rinvenimento di alcuni cadaveri di membri delle forze ribelli nelle aree di scontro; il governo non ha adottato le misure necessaria ad assicurare i responsabili alla giustizia.

Le donne e le bambine continuano ad essere vittima di violenza sessuale. Giovani donne sono state stuprate all'uscita dei campi profughi e numerosi casi di stupro sono stati riportati in occasioni di saccheggi e incursioni in abitazioni. La pratica delle mutilazioni genitali è tuttora diffusa come pure quella dei matrimoni forzati; casi del genere sono stati osservati anche nei campi profughi.

Il governo ha disposto nel mese di maggio numerosi trasferimenti forzati e l'abbattimento di migliaia di case a N'Djamena lasciando decine di migliaia di persone senza un tetto; il provvedimento è stato adottato senza alcuna consultazione con gli interessati e senza predisporre un piano di alloggi alternativi ed è stato motivato dal fatto che tali abitazioni non erano provviste delle autorizzazioni municipali.

La pena di morte è ancora applicata; ad agosto è stato sentenziato l'ex presidente Habré e 11 membri di gruppi armati ribelli incluso il leader del Rally of Forces for Change, Timane Erdimi. Le condanne sono state emesse in assenza degli imputati ed erano relative a crimini contro l'integrità territoriale, la sicurezza e l'ordine costituzionale del Ciad.
Il fenomeno del reclutamento dei bambini soldato si manifesta palesemente in Ciad ed è alimentato sia dalle forze governative che da quelle ribelli; secondo le stime dell'ONU sono tra 7000 e 10000 i bambini in Ciad coinvolti nelle ostilità armate. Nell'est del paese alcuni gruppi armati sudanesi, tra cui il Toro Boro e il Justice and Equality Movement, hanno prelevato bambini dai campi profughi per poi arruolarli.

La libertà di espressione subisce continue interferenze dello stato e i giornalisti sono vittima di intimidazioni e minacce perché lo stato non tollera le critiche; alcuni sono stati accusati di essere nemici dello stato e costretti a lasciare il paese come nel caso degli inviati di Radio France International. Le restrizioni successive alla dichiarazione dello stato di emergenza hanno causato la chiusura di radio e l'arresto di giornalisti; gli attivisti per i diritti umani non hanno ricevuto un trattamento migliore e il Ministro dell'Interno del Ciad ordinò la chiusura dell'Associazione delle Vittime dei Crimini e della Repressione Politica in data 28 luglio e l'arresto del presidente dell'associazione con l'accusa di incitazione all'odio etnico (verrà rilasciato poco dopo ma le minacce e l'intimidazione continueranno).

L'eccessivo uso della forza e le violenze perpetrate dai gruppi armati, ivi compresi stupri e rapimenti a scopo di estorsione, sono stati segnalati in varie aree del paese. Ad aprile e a maggio sono stati uccisi in due episodi distinti due operatori di Save the Children UK in prossimità del confine sudanese ad opera di uomini armati.

Amnesty International ha inviato a maggio dei rappresentanti in visita in Ciad.

Rifugiati

Secondo dati dell'UNHCR per tutto il 2008 il Ciad ospitava ancora circa 300000 rifugiati, di cui 243000 sudanesi e la restante parte della Repubblica Centraficana. I rifugiati sono stati sistemati in 17 campi nell'est e nel sud del paese. Circa 5000 rifugiati di varia nazionalità vivono in ambienti urbani e 180000 sono gli sfollati interni provenienti dai villaggi interessati dagli scontri tra le forze governative e i ribelli.

I programmi di rimpatrio dei rifugiati sono estremamente difficili da attuare a causa del protrarsi delle ostilità nei luoghi di origine (Sudan in particolare). La sicurezza nei campi profughi è scarsa e gli standard internazionali in materia sono violati in maniera sistematica; si verificano episodi di violenza sessuale e molti bambini sono prelevati con la forza per essere arruolati. I servizi essenziali non sono sufficienti a coprire il numero dei presenti e solo il 70% ha avuto accesso alle vaccinazioni mentre in molti campi i servizi igienici sono del tutto inadeguati.

La condizione degli IDP (interni) è addirittura peggiore in quanto non beneficiano delle protezioni previste da strumenti internazionali in materia di rifugiati.

Costa d'Avorio

In Costa d'Avorio persiste un clima di stallo politico a causa dell'ennesimo rinvio delle elezioni politiche e presidenziali previste per la fine del 2009. Da sette anni quello che un tempo era uno dei paesi più prosperi dell'Africa (è tuttora il maggior produttore mondiale di cacao e negli ultimi anni ha rafforzato il settore petrolifero) è paralizzato da una situazione di assenza di guerra ma lontana dalla effettiva riconciliazione nazionale. La politica e il governo attuale del paese sono dominate dalle storiche figure del presidente Laurent Gbagbo e dal primo ministro Guillaume Soro, leader delle Forces Nouvelles ovvero la coalizione delle forze ostili al governo durante il conflitto interno e che di fatto continuano ad esercitare l'autorità in vaste aree del nord del paese. Lo stallo politico e la mancata attuazione del percorso di normalizzazione, di cui le elezioni sono solo una parte, sono dovute altresì ai ritardi nell'implementazione degli accordi di Ouagadougou del 2007 in cui le parti accettavano, tra le altre previsioni, il disarmo delle forze ribelli e delle milizie filogovernative e l'accorpamento di queste nelle forze di sicurezza nazionali. La formula transitoria adottata a Ouagadougou nel 2007 permette di fatto al presidente e al primo ministro di decidere autonomamente circa l'organizzazione della vita politica e non sembra allo stato attuale che questi vogliano accelerare un processo elettorale il cui esito è tutt'altro che scontato. Sulla dilatazione dei tempi di organizzazione delle elezioni ha pesato la decisione di riformare il sistema di identificazione dei cittadini e dei votanti; alla fine del processo, durato più di nove mesi, è emerso che circa 2700000 persone non potevano essere identificate per l'inesistenza di dati nei registri pubblici. Il Programma dell'Onu per lo Sviluppo (UNDP) ha calcolato che le elezioni in Costa d'Avorio rischiano di essere le più costose al mondo con una spesa per ogni elettore di 66 dollari contro una media di 3 dollari per un elettore in Europa e Usa.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha esteso il mandato della missione UNOCI e di quella francese denominata Licorne fino al 31 gennaio 2010. La presenza di truppe internazionali nel paese ha contribuito ad un certo miglioramento della sicurezza a tutto vantaggio della libertà di movimento dei cittadini e della ripresa di attività economiche. Ciononostante il livello di criminalità e di violenza resta alto, in particolare nell'ovest del paese, a causa della presenza di numerosi gruppi armati che compiono assalti e saccheggi ai danni della popolazione ; nei primi otto mesi del 2009, secondo i dati del rapporto del Segretario Generale dell'Onu, sono stati compiuti 48 attacchi in varie parti del paese che hanno provocato la morte di sette persone e il ferimento di molte altre. Durante tali attacchi sono stati registrati numerose violazioni di diritti umani e abusi ai danni di donne e bambini, ivi compresi gli stupri. La situazione generale relativa alla sicurezza resta abbastanza preoccupante anche a causa dell'alto numero di armi in circolazione e del mancato disarmo ed è stato accertato che gran parte dei membri di bande di criminali che assaltano e rapinano veicoli in transito nelle strade sono ex combattenti. Il livello di implementazione dell'accordo di Ouagadougou del 2007 rimane insufficiente a garantire il processo di stabilizzazione in tempi relativamente brevi; tale strumento prevedeva il raggiungimento di quattro obiettivi principali cioè:

  • il disarmo degli ex combattenti delle Forces Nouvelles e delle milizie filogovernative entro due mesi prima delle elezioni;
  • la riunificazione delle forze di sicurezza e di difesa;
  • l'effettiva ristrutturazione delle autorità amministrative in tutto il paese ivi compresa la polizia, la dogana e la polizia tributaria;
  • la centralizzazione del Tesoro e delle Finanze.

A seguito della richiesta del Ministro della Difesa ivoriano, l'UNOCI ha fornito supporto logistico e equipaggiamento all'Integrated Command Center (formato da forze di sicurezza e di ex combattenti sia governativi che ribelli) allo scopo di accelerare la formazione di un corpo di sicurezza unico ma il processo ha subito notevoli ritardi a causa delle mancanza di fondi. Per quanto riguarda il controllo doganale e la riscossione delle tasse solo alcuni uffici sono stati istituiti e non possono operare a pieno regime per l'insufficienza di personale e equipaggiamenti. Nel frattempo nel nord del paese i membri delle Forces Nouvelles impongono una sorta di tassa sostitutiva di quelle statali.

Il programma nazionale di disarmo, smobilitazione e reinserimento nella comunità gestisce un carico di lavoro elevato con una lista di 37451 ex combattenti filogovernativi dei quali si calcola che 25000 possiedono i requisiti per l'accesso al programma di assistenza. L'UNOCI, in collaborazione con l'UNDP, ha approntato un piano di reinserimento con 525 microprogetti in 23 siti destinati a 3407 persone tra cui ex combattenti, membri di milizie, giovani e donne a rischio a causa delle conseguenze del conflitto. Una prima valutazione degli effetti dei microprogetti ha mostrato significativi risultati in molte delle aree interessate ed in particolare in termini di alternative concrete a disposizione dei beneficiari. Lo Special Representative del Segretario Generale dell'Onu ha affermato che tali progetti sono stati implementati nell'80% dei casi e che hanno contribuito ad attenuare le tensioni sociali e alla creazione di un clima di maggiore sicurezza e stabilità in aree a rischio.

Diritti umani

Nonostante gli sforzi compiuti per garantire la progressiva stabilizzazione la situazione generale dei diritti umani nel paese resta precaria, segnatamente per ciò che riguarda il livello di violenza da parte delle forze di sicurezza riscontrata durante pubbliche dimostrazioni e le tensioni nella parte occidentale del paese alimentate dalla necessità di difendere il diritto alla terra della popolazione locale. Le violazioni dei diritti umani sono tuttora diffuse e perpetrate sia dalle forze di sicurezza governative che da quelle delle Forces Nouvelles che controllano il nord della Costa d'Avorio.

Amnesty International ha riportato a più riprese episodi di eccessivo uso della forza da parte delle forze dell'ordine; a marzo e aprile, a seguito delle contestazioni popolari dovute all'aumento del costo dei generi di prima necessità, la polizia ha fatto ampio ricorso a metodi e strumenti ritenuti contrari agli standard internazionali. In questa occasione furono impiegati, tra gli altri strumenti, armi da fuoco con proiettili letali per sedare le dimostrazioni e due persone rimasero uccise.

L'uso eccessivo della forza è accompagnato da una serie di abusi commessi ai danni della popolazione durante i pattugliamenti per normali controlli o in prossimità dei numerosi checkpoint in cui viene estorto denaro sotto la minaccia di ritorsioni: a febbraio Lanciné Bamba, un autista di pullman, è stato ucciso da un membro del Command Center for Security Operations dopo essersi rifiutato di sottostare all'estorsione di denaro. Ad ottobre un membro di questo corpo di sicurezza è stato condannato per omicidio a tre anni di reclusione.

I militanti delle Forces Nouvelles si sono resi responsabili nelle aree sotto il loro controllo di svariati abusi e violazioni di diritti umani, ivi compresi trattamenti degradanti, torture, arresti e detenzioni arbitrarie e numerose estorsioni. Le sistematiche violazioni avvengono nella quasi totale impunità alimentata dall'assenza di autorità giudiziarie funzionanti; la missione UNOCI dell'UNU ha individuato tra le priorità la ricostruzione del sistema giudiziario attraverso la creazione di nuove strutture e la formazione del personale.

Analogamente a quanto avviene in altri paesi africani la condizione delle donne è particolarmente preoccupante se si considera il numero di donne e ragazze che vivono in condizioni disumane e di quasi schiavitù, soggette a una serie di abusi e esposte al rischio di contrarre malattie letali. L'UNOCI ha riportato 53 casi di stupro ai danni di bambine di età non superiore a 7 anni come pure ai danni di donne incinte e disabili. La pratica dei matrimoni forzati è tuttora diffusa e i membri del contingente dell'ONU ne hanno documentato 8 casi. L'attività principale dell'UNOCI relativamente ai diritti umani consiste principalmente nell'assistenza alle vittime, nel creare un collegamento tra queste e le autorità e nella diffusione della conoscenza dei diritti umani attraverso piani e seminari. Un recente programma di sensibilizzazione ha coinvolto 16.090 persone tra cui attori pubblici e privati, educatori e forze dell'ordine.

Resta drammatica la situazione di migliaia di donne e ragazze in Costa d'Avorio costrette a vivere per strada e a prostituirsi per sopravvivere. Molte donne vivono senza un riparo e protezione e sono spesso vittime di violenza sessuale. Sono stati registrati numerosi casi di costrizione alla prostituzione e somministrazione di stupefacenti. Molte di queste donne contraggono il virus dell'HIV a seguito di violenza sessuale o durante l'attività di mercenarie del sesso. La prostituzione dilagante è tra le cause del crescente traffico di bambini in quanto le gravidanze indesiderate e le misere condizioni di vita non lasciano altra scelta che l'abbandono dei neonati.

Anche i bambini sono vittime di terribili violazioni dei diritti umani e spesso sono sottoposti a trattamenti crudeli solo in ossequio a pratiche rituali che provocano la morte o la mutilazione.

Rifugiati

A seguito del fallito colpo di stato nel settembre 2002 e della conseguente repressione del governo il paese si divise in due aree distinte rispettivamente sotto la guida del governo in carica e delle Forces Nouvelles. Gli scontri armati provocarono la fuga di centinaia di migliaia di persone, sia all'interno del paese che verso gli stati confinanti. Uno studio del 2005 ha evidenziato che il numero degli IDP nel paese si aggirava intorno ai 709.000 e che circa 13.000 ivoriani avevano cercato o ottenuto asilo nei paesi confinanti ovvero Liberia, Guinea e Mali.

Dall'ultimo rapporto dell'UNHCR risulta che nel territorio ivoriano sono ospitati 24.811 rifugiati stranieri e 297 richiedenti asilo mentre il numero degli sfollati interni è di 683.956. Negli stati confinanti con il paese risiedono 22.227 rifugiati ivoriani e 6.468 richiedenti asilo. Il numero complessivo di persone di interesse dell'UNHCR supera le 700.000 unità ed è ben oltre le possibilità operative dell'organismo internazionale a disposizione nella regione. Gli sforzi dell'UNHCR si sono concentrati sul rimpatrio dei rifugiati e sfollati ma nell'ultimo anno solo 49 persone hanno potuto essere rimpatriati in Costa d'Avorio contro un numero di 25.092 IDP che sono tornati nei luoghi di origine. I principali obiettivi individuati dall'UNHCR riguardano nell'immediato il miglioramento delle procedure di determinazione dello status di rifugiato (Refugee Status Determination -RSD) allo scopo di ridurre i notevoli ritardi. I progetti destinati ai rifugiati di lungo periodo e a quelli impossibilitati a far rientro in patria necessitano di ulteriori fondi, come pure le strutture per migliorare l'assistenza sanitaria e l'istruzione.

Kenya

Il Kenya fronteggia una difficile congiuntura economica manifestatasi già dal 2008 in cui il PIL subì un tracollo di 6 punti percentuali rispetto all'anno precedente (+7% nel 2007 ma solo +1.7% nel 2008); l'inflazione ha subito un nuovo incremento passando dal 9,7% del 2007 al 28% del 2008 mentre il tasso di disoccupazione si mantiene costantemente sui livelli degli anni precedenti ovvero il 40%. La povertà della popolazione è tuttora un grave problema e riguarda il 50% delle persone. A distanza di due anni dalla nascita del governo di transizione le aspettative dei cittadini sono state disilluse e la maggior parte degli analisti ritengono che anche nel caso in cui il presidente Mwai Kibabi riuscisse a tenere in piedi il governo le possibilità di implementare le riforme promesse in campagna elettorale sono realisticamente basse. Le elezioni di fine 2007 furono la causa dello scoppio di violentissime rivolte popolari in cui morirono circa 1.500 persone e più di 300.000 furono costrette ad abbandonare le loro case; dopo due anni di annunci e di creazioni di organismi ad hoc non risulta che siano state adottate misure concrete per assicurare alla giustizia i responsabili del massacro. Nella popolazione cresce il senso di sfiducia nei confronti del governo, sempre più percepito come rappresentante degli interessi di un'etnia in particolare (il presidente Kibabi proviene dalla comunità Kikuyu mentre il premier appoggia la comunità di Luo ovvero le etnie che si affrontarono negli scontri di fine 2007) e che comincia ad essere oneroso da mantenere con i suoi 41 ministeri.

Nel paese persistono gravi problemi di insicurezza, a causa della presenza di gruppi di criminali organizzati, e di abusi da parte delle forze dell'ordine che restano per lo più impuniti. Human Right Watch ha pubblicato un rapporto a metà 2009 in cui ha denunciato le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla polizia; l'ong si riferisce in particolare alle centinaia di persone che hanno subito maltrattamenti e torture nel corso dell'operazione di disarmo nella regione di Mandera (nord-est del paese) svoltasi lo scorso ottobre (dal 25 al 28 ottobre) durante la quale le forze di polizia hanno commesso atti di tortura, ferito circa 1.200 persone e stuprato almeno dieci donne. L'operazione si era resa necessaria a causa del persistente scontro tra due bande criminali in cui 21 persone hanno perso la vita. Questo e altri episodi contribuiscono a far crescere il livello di tensione nel paese e si fanno sempre più insistenti le richieste da parte di varie ong di avviare un piano di riforme strutturali destinate ad assicurare un cambiamento radicale nel comportamento delle forze dell'ordine e soprattutto il funzionamento delle autorità giudiziarie. Luis Moreno-Ocampo, Procuratore del Tribunale Penale Internazionale, ha dichiarato a novembre 2009 di voler avviare un'inchiesta sui crimini contro l'umanità commessi nel corso degli scontri post-elettorali di fine 2007 sostenendo che sussistono le condizioni per l'attivazione di una procedura. Il procuratore, che aveva monitorato la situazione già dalle prime fasi degli scontri, ha dichiarato di voler concentrare la sua attenzione su alcuni personaggi pubblici che in base alle informazioni ottenute erano responsabili del finanziamento e dell'incitazione alla violenza. Lo statuto della Corte prevede la possibilità che una questione attinente a crimini contro l'umanità o altre gravi violazioni dei diritti umani possa essere deferita alla corte nel caso in cui le autorità interne non siano in grado o non provvedano ad avviare un'inchiesta. La Commissione (Waki Commission) incaricata di far luce sui fatti ha pubblicato un rapporto sui crimini commessi dalle forze di polizia (torture, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate) ma non è seguito alcun provvedimento giudiziario. Il governo del paese si è dichiarato disponibile a fornire alla Corte Internazionale l'assistenza necessaria allo svolgimento dell'inchiesta.

Amnesty International ha rivolto numerosi appelli al governo del paese affinché questi si potesse accelerare il percorso di riforme del sistema giudiziario e delle forze di polizia ed adottare misure concrete per contrastare l'impunità nel paese.

Ad agosto 2009 il presidente Kibabi, avvalendosi dei poteri conferitigli dalla costituzione in materia di grazia, ha emanato un decreto in base al quale 4.000 condanne a morte sono state commutate in ergastolo. Nel paese l'ultima esecuzione capitale risale a 22 anni fa e la pena di morte è tuttora comminata in Kenia per reati come la rapina a mano armata e l'omicidio.

Diritti umani

La situazione relativa alla protezione dei diritti umani ha subito un ulteriore aggravamento a seguito delle citate violente contestazioni di fine 2007 per le quali, come anticipato, non sono state intraprese azioni concrete per punire i responsabili. La Commission of Inquiry on Post Election Violence (CIPEV) fu costituita a seguito di una mediazione politica col mandato di far luce sui fatti in questione e formulare le raccomandazioni del caso al governo. La CIPEV espresse l'auspicio di istituire un Tribunale Speciale per l'apertura di un'inchiesta giudiziaria e, nel caso in cui questa soluzione non fosse adottata, il deferimento del caso al Tribunale Penale Internazionale (ICC).

Ad ottobre 2008 il Parlamento approvò la legge sull'istituzione della Truth, Justice and Reconciliation Commission col mandato di investigare sulle violazioni dei diritti umani commesse sia dalle forze statali che non statali nel periodo tra il 12 dicembre 1963 e il 28 febbraio 2008. La legge con cui è stata istituita tale Commissione contiene delle disposizioni apertamente in contrasto con gli standard internazionali in materia di diritti umani ovvero una norma che prevede l'amnistia per i crimini di tortura, sparizioni forzate e esecuzioni extragiudiziali. La Commissione non ha mai iniziato i propri lavori.

Sono numerosi i casi di abusi di potere e eccessivo uso della forza da parte delle forze militari e di polizia accompagnate dall'inerzia delle autorità giudiziarie nell'attivare inchieste e processi per punire i responsabili. Durante un'operazione svolta dalle truppe governative (Operazione "Salva Vita") a marzo nell'area di Mount Elgon (per sgominare una milizia armata accusata di vari crimini) la polizia ha usato metodi eccessivamente coercitivi e commesso diverse violazioni dei diritti umani come ad esempio arresti arbitrari e atti di tortura; molte persone hanno denunciato la scomparsa di propri familiari e l'uccisione di civili da parte della polizia. Il governo negò l'accaduto e non attivò alcuna inchiesta conoscitiva.

Le donne continuano a subire atti di violenza e abusi sessuali anche da parte delle forze di polizia specialmente nella citata area di Mount Elgon in cui si svolgevano gli scontri tra la polizia e le milizie.

Rifugiati

Il Kenya ospita circa 320.000 rifugiati, provenienti principalmente dalla Somalia, Etiopia e Sudan del Sud. Nel paese vi sono tre campi per rifugiati intorno alla città di Dabaab nel nord- est e uno vicino Kakuma nella Rift Valley. I richiedenti asilo dalla Somalia giungono in Kenia con regolarità e in numero considerevole. Gli etiopi vengono principalmente dalla regione dell'Ogaden mentre i congolesi da varie regioni del paese per sfuggire alle sistematiche violazioni dei diritti umani.

A seguito delle violente contestazioni che seguirono le elezioni presidenziali del dicembre 2007 l'UNHCR ha fornito assistenza al Kenia per gestire il flusso di circa mezzo milione di persone all'interno del paese che abbandonarono i luoghi di origine. Complessivamente in Kenia, secondo i dati dell'UNHCR, risiedono 320.605 rifugiati e 8.760 richiedenti asilo mentre i rifugiati in altri paesi originari del Kenia sono 9.688 e i richiedenti asilo 2.206.

Rwanda

La situazione politica interna del Rwanda è relativamente stabile e il sistema politico, formalmente multipartitico, continua ad essere tenuto sotto lo stretto controllo della formazione al potere ininterrottamente dal 1994, ovvero dal RPF (Rwanda Patriotic Front) capeggiato da Paul Kagame. Già dalle prime elezioni che si tennero poco dopo la fine del genocidio costato la vita ad un milione di persone (800.000 tutsi e hutu moderati) il RPF si impose al potere e, pur adottando una serie di misure legislative volte a proibire varie forme di discriminazioni tra cui il divieto di costituire partiti su base etnica, la classe politica al governo resta sostanzialmente espressione della minoranza tutsi nel paese, ovvero dell'etnia vittima del genocidio tra i più gravi della storia visto il numero di persone massacrate in così breve tempo.

Le ultime elezioni tenutesi in Rwanda sono state fermamente contestate dalla coalizione di Forze Democratiche Unite, in esilio in Belgio a causa dei presunti brogli che hanno permesso al presidente Kagame e al suo RPF di ottenere il 79% dei voti. La minoranza tutsi nel paese rappresenta il 15% circa dei ruandesi mentre l'etnia hutu più dell'80%; la cristallizzazione e i contrasti storici tra i gruppi etnici è stata la causa scatenante del genocidio oltre a fornire il fondamento ideologico alla parte allora al potere, gli hutu, per attuare lo sterminio.

L'economia del paese resta prevalentemente basata sul settore agricolo ma l'organizzazione delle produzioni è ancora legato alle colture di sussistenza e le riforme del settore ideate dal governo richiederanno tempi lunghi per l'attuazione anche perché ostacolate dalla grande densità abitativa del paese (la più alta dell'Africa continentale con 343 ab./km2) e dalle tensioni interne causate dalla necessità di trasferire un alto numero di persone allo scopo di accorpare tenute e colture. Il 90% della popolazione ricava il proprio reddito dall'agricoltura (36% del PIL); nel paese gran parte della popolazione vive in condizioni di estrema povertà (reddito pro capite nel 2008 pari a 900 dollari USA e circa il 60% sotto il livello di povertà) ma la situazione economica complessiva del paese tende ad un progressivo miglioramento (nel 2008 il PIL è cresciuto dell'11%) grazie all'attenzione dimostrata da diversi investitori esteri interessati allo sfruttamento delle materie prime ruandesi (cassiterite, wolframite, oro, zaffiri e coltan) e al rafforzamento degli scambi con Cina, Germania e USA.

In Rwanda continua a ritmo sostenuto la ricerca dei responsabili del genocidio e la continua collaborazione del paese con il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (con sede ad Arusha in Tanzania) ha permesso nel 2009 la cattura di un grande numero di esponenti politici, militari e amministrativi del regime che dalla fine degli anni 80 ha compito lo sterminio di un milione di persone.
Il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda a dicembre 2008 ha condannato per genocidio e crimini contro l'umanità uno dei principali esponenti militari e capo delle delle milizie hutu "Interahamwe", l'ex colonnello dell'esercito ruandese Theoneste Bagosora. L'ex militare è stato accusato di essere la mente e il comandante delle milizie estremiste hutu e di aver premeditato, insieme ad altri esponenti militari e politici, lo sterminio dei tutsi e l'eliminazione degli oppositori politici del regime di allora capeggiato dal presidente di etnia hutu Habyarimana, ucciso nel 1994 in un attacco all'aeroporto di Kigali. Bagosora, dopo la morte del presidente Habyarimana, si insediò subito al potere e usò l'attentato come pretesto per far ricadere la colpa sui tutsi e in breve tempo organizzò l'eliminazione degli oppositori politici e il massacro in pochi giorni di centinaia di migliaia di persone.

Il Rwanda, e la riconciliazione nel paese, giocano un ruolo cruciale nel processo di stabilizzazione nella regione dei Grandi Laghi ed in particolare in Congo; si assiste negli ultimi anni ad una rafforzata cooperazione militare e politica tra il Rwanda e il Congo allo scopo di affrontare la delicata questione della presenza di truppe ruandesi nel territorio congolese. La collaborazione tra i due paesi ha condotto all'arresto di uno dei capi dei gruppi ribelli in Congo che combattono contro le truppe regolari del paese, il Generale Laurent Nkunda. L'azione congiunta delle forze ruandesi e congolesi era destinata a liberare le regioni orientali del Congo dalla presenza di ribelli di etnia hutu. Il Generale Nkunda è accusato di aver preso parte alle operazioni di sterminio dei tutsi e dovrà essere giudicato dal Tribunale Penale Internazionale di Arusha.

A luglio lo stesso Tribunale ha condannato all'ergastolo l'ex governatore di Kigali, Tharcisse Renzaho, con l'accusa di genocidio, stupro ed assassinio. Anche Renzaho aveva trovato rifugio in Congo dopo il genocidio ma era stato arrestato nel 2002. Con questa condanna salgono a 39 (luglio 2009) le sentenze emesse dal tribunale di Arusha (di cui sei assoluzioni) e il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha esteso il mandato fino al 2010.

Le autorità della Repubblica Democratica del Congo hanno messo a segno un altro arresto eccellente tra i responsabili del genocidio ad agosto 2009; Gregoire Ndahimana, ex amministratore della città di Kivumu, è stato catturato in Congo nel corso di un'operazione appoggiata dalle Nazioni Unite organizzata per sgominare le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda, un gruppo hutu armato accusato di aver ucciso civili in Congo e di aver compiuto numerosi atti ostili al governo centrale del paese.

La caccia ai responsabili del genocidio non conosce confini e vista l'atrocità dei crimini commessi il principio dell'universalità della giurisdizione penale trova accoglimento in tutti i paesi indipendentemente dai legami che questi hanno con i presunti responsabili o le vittime. Ad agosto 2009 in Finlandia è stato dato inizio al processo a carico di Francois Bazaramba, un ex predicatore accusato di genocidio e di 15 omicidi durante le stragi del 1994. L'ex religioso, che aveva chiesto asilo politico alla Finlandia nel 2003, si trovava già in carcere dal 2007 in attesa di essere sottoposto a processo in virtù dell'esercizio della giurisdizione universale e del codice penale finlandese che recepisce tali norme. Molti altri processi sono stati attivati ai danni di presunti criminali accusati dello sterminio in Rwanda in paesi come la Francia, il Belgio e il Canada.

Il Tribunale di Arusha ha emesso una condanna a otto anni di reclusione ai danni di Micheal Bagaragaza sempre per le accuse di coinvolgimento negli atti di sterminio ma, vista la collaborazione e la confessione dei reati da parte dell'accusato, gli è stata accordata una riduzione della pena. Da quando il Tribunale ha avviato le inchieste si è sempre dimostrato clemente nei confronti di coloro che collaboravano, con la sola eccezione di Jean Kambanda, ex primo ministro, condannato all'ergastolo.

Diritti umani

Nonostante i tentativi del governo di attuare la riforma del sistema giudiziario la capacità di quest'ultimo di assicurare uno standard soddisfacente di protezione dei diritti umani resta piuttosto basso al punto che il Tribunale Internazionale Penale per il Rwanda si rifiuta di deferire i casi ai tribunali interni per il sospetto di inadeguatezza e soprattutto per i timori relativi alla sorte dei testimoni.
Le ultime elezioni, monitorate da una missione di osservazione dell'Unione Europea, hanno confermato alla guida del paese il RPF di Kagame con un consenso tale da far sospettare l'esistenza di brogli e coercizione durante la campagna e le consultazioni elettorali.

La libertà di stampa e i media in generale, così come la libertà di espressione, sono continuamente limitare dal controllo statale e la critica all'attività del governo risulta poco tollerata; gli stessi stati donatori spesso preferiscono attuare una politica di tolleranza nei confronti del governo ruandese invece di denunciare apertamente le limitazioni delle libertà personali che avvengono nel paese. I giornalisti stranieri che hanno espresso opinioni in contrasto con il governo si sono visti negare l'accesso al paese o a particolari eventi e lo stesso discorso vale per i difensori dei diritti umani.
Nel paese il sistema giudiziario non è ritenuto in grado di offrire le garanzie previste dalle norme internazionali relative al giusto processo; alcuni casi giudiziari sono esaminati ricorrendo a procedure del sistema gacaca, ivi compresi alcuni casi di crimini correlati al genocidio.

L'indipendenza del potere giudiziario subisce le interferenze del governo e il presidente Kagame ha fatto approvare una legge che gli garantisce l'immunità contro le accuse per responsabilità relative a crimini internazionali mentre con un'altra legge è stata abolita la durata a vita del mandato dei giudici (e ridotta a 4 anni).

Rifugiati

La maggior parte dei rifugiati e richiedenti asilo presenti in Rwanda hanno raggiunto il paese nel corso dei vari conflitti che hanno interessato la regione dei Grandi Laghi da trent'anni ad oggi. L'ultimo consistente flusso di rifugiati in Rwanda si è avuto a dicembre 2006 a causa delle rinnovate tensioni e scontri nelle province del sud e nord Kivu in Congo. Anche in Congo risiedono rifugiati ruandesi, molti dei quali stanno tentando di far rientro in patria vista la progressiva normalizzazione nel paese mentre i rifugiati congolesi in Rwanda si dimostrano più riluttanti ad essere rimpatriati a causa delle tensioni interne nel paese, tra cui anche quelle causate dalla presenza di gruppi armati ruandesi (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda). Secondo i dati del rapporto dell'UNHCR aggiornato a gennaio 2009 in Rwanda risiedono 55.062 rifugiati e 352 richiedenti asilo mentre in altri paesi sono ospitati 72.530 rifugiati ruandesi e 6.108 richiedenti asilo. Grazie alla relativa stabilizzazione in Rwanda è stato possibile rimpatriare 11.790 rifugiati ruandesi.

Zimbawe

Lo Zimbabwe affronta una serie di problemi di varia natura che si sono aggravati fortemente nel biennio 2008-2009 e che hanno reso le condizioni di vita della popolazione ancora più disumane. Il paese ha sperimentato una crisi economica dalla quale non vede via d'uscita anche a causa del persistente isolamento internazionale e dell'esistenza di sanzioni economiche decretate sia dall'UE che dagli Usa, sia per effetto del deprecabile comportamento del paese relativamente alla protezione dei diritti umani, sia per la questione del traffico illecito di diamanti.

L'economia del paese ha conosciuto una gravissima crisi che può essere sintetizzata fornendo solo alcuni numeri; il PIL nel 2008 scende a -14%, la disoccupazione tocca quota 80%, il reddito pro capite è pari a 200 dollari all'anno e il tasso d'inflazione, che già nel biennio 2005-2006 aveva raggiunto cifre a tre zeri, ha toccato livelli inimmaginabili, assolutamente fuori controllo. La Banca dello Zimbabwe continua a stampare moneta e ad alimentare il circolo vizioso della svalutazione monetaria e dell'inflazione; nel 2003 il dollaro dello Zimbabwe valeva 1 dollaro USA mentre a settembre 2007 occorrevano 30.000 dollari dello Zimbabwe per un dollaro americano. Il PIL del paese si colloca al 183° posto della classifica mondiale (su circa 200 stati).

La situazione politica, nonostante i segnali incoraggianti ottenuti grazie al raggiungimento di accordi di condivisione del potere tra il partito del presidente Mugabe (ZANU-PF) e l'opposizione del MDC (Movement for Democratic Change) è ancora caratterizzata da grandi tensioni e rivalità che hanno a più riprese minacciato la rottura definitiva dell'accordo di unità nazionale. Le ultime elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative risalgono al marzo 2008 nelle quali il partito del presidente Mugabe, non avendo ottenuto una maggioranza sufficiente (il 43% dei voti al primo turno) ha dovuto accettare l'accordo di condivisione del potere col partito dello storico rivale, Morgan Tsvangirai. L'accordo ha richiesto una lunga trattativa tra le due forze politiche e la mediazione del SADC (Southern African Development Community). Con queste elezioni lo ZANU perdeva la maggioranza parlamentare per la prima volta in vent'anni. In occasione del secondo turno delle medesime elezioni il candidato alla presidenza Morgan Tsvangirai si ritira dalla competizione per protestare contro il clima di intimidazione e violenza ai danni dei propri sostenitori. Mubage è comunque rieletto presidente mentre Tsvangirai sarà nominato primo ministro.
La coabitazione forzata tra i due leader si trova ad affrontare gravi situazioni di crisi interna ed internazionale e l'alleanza, già minacciata da continue intimidazioni, atti di violenza e abusi commessi contro esponenti del MDC, mostra segnali di estrema debolezza.

Sul piano internazionale lo Zimbabwe nel 2009 sperimenta l'aggravamento dell'isolamento politico e diplomatico e il rinnovarsi delle sanzioni decretate da vari paesi. A fine gennaio 2009 il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha deciso di prorogare per ancora un anno le sanzioni ai danni dello Zimbabwe e ha chiesto un'indagine conoscitiva sulla situazione dei diritti umani nel paese e sul traffico illecito di diamanti che, secondo l'UE, sarebbe un'importante fonte di finanziamento del regime. Il Consiglio dei Ministri europeo ha inoltre richiesto l'estensione dei provvedimenti restrittivi nei confronti di altre figure chiave del regime e la lista sale da 27 a 36 persone. In effetti la questione del traffico illecito destava sospetti già da anni e Human Right Watch a fine giugno 2009 ha pubblicato un rapporto (Diamonds in the Rough) in cui forniva le prove dei massacri e delle sepolture di massa avvenute in Zimbabwe nel 2006 ad opera dalle truppe di Harare per appropriarsi dei giacimenti di diamanti di Marane in cui lavoravano persone del luogo. HRW ha documentato l'uccisione di circa duecento persone e gravi abusi ai danni della popolazione locale. Si stima che annualmente la produzione di diamanti in Zimbabwe valga più di due miliardi di dollari USA mentre la Mining Development Corporation, l'azienda estrattiva di stato, ha dichiarato nel 2007 proventi per soli 15 milioni di dollari. Gli USA dal canto loro hanno annunciato a marzo 2009 che le sanzioni contro lo Zimbabwe saranno in vigore ancora per un anno; l'amministrazione Obama prende atto del fatto che nel paese, nonostante la difficile alleanza politica al governo sia formalmente ancora in vita, la stabilizzazione del paese sia ben lontana dal realizzarsi e che alcuni esponenti del governo in carica adottano comportamenti che minacciano la democrazia nel paese.

Nel 2009 su aggrava terribilmente l'epidemia di colera scoppiata già nel 2008 e ampiamente sottovalutata dalle autorità. Lo scarsissimo accesso all'acqua potabile nel paese e le condizioni igienico-sanitarie al limite del collasso fanno temere ancora a luglio 2009 un ulteriore aggravamento della situazione; da agosto 2008 a luglio 2009 il numero dei morti è superiore a 4.000 e circa 100.000 sono i contagiati. Il ministro Sipepa Nkomo ha annunciato lo stanziamento di 17 milioni di dollari per la rete idrica e fognaria ad Harare ma ha dichiarato che per il completamento è necessario aggiungere ulteriori 21 milioni di dollari.

Il clima politico è costantemente dominato dallo scontro al governo tra le due principali figure istituzionali. Gli osservatori internazionali sono allarmati dall'esistenza di un clima di tensione e di costante intimidazione ai danni dell'opposizione politica; il leader del DCM e primo ministro del paese accusa pubblicamente il presidente Mugabe di diverse violazioni della legge e di diffondere il linguaggio dell'odio. A settembre 2009 una missione dell'Unione Europea, in visita nel paese dopo sette anni di assenza, ha constatato la serietà del pericolo circa la situazione dei diritti umani e sulla tenuta dell'accordo di spartizione del potere.

A settembre 2009, in occasione del summit della Comunità per lo Sviluppo dell'Africa Meridionale (SADC), lo Zimbabwe ha esposto il programma di rilancio dell'economia e ha invocato il ritiro delle sanzioni internazionali che gravano sul paese.

La tensione nel clima politico raggiunge un nuovo picco ad ottobre 2009 a causa del nuovo arresto di un importante esponente del DCM, Roy Bennet, già viceministro dell'agricoltura nel governo di unità nazionale. Roy Bennet, stretto collaboratore di Morgan Tsvangirai, era già stato arrestato a febbraio del 2009 ma scarcerato per ordine della Corte Suprema in seguito alle proteste del primo ministro. Le accuse sono pesanti (terrorismo, tradimento e detenzione di armi nonché di aver partecipato ad un complotto per uccidere il presidente Mugabe) e l'ex viceministro rischia la condanna all'ergastolo o addirittura la pena di morte. A pochi giorni dall'arresto di Roy Bennet il primo ministro Morgan Tsvangirai minaccia di uscire dal governo di unità nazionale in segno di protesta contro le persecuzioni di cui l'opposizione politica e i suoi esponenti sono vittima.

Diritti umani

La situazione generale dei diritti umani in Zimbabwe ha conosciuto un ulteriore aggravamento a partire dal marzo 2008 dopo le elezioni con l'aumento considerevole di violazioni commesse da membri delle forze di sicurezza, veterani di guerra e sostenitori del partito al governo ZANU PF ai danni di persone sospettate di appoggiare il partito di opposizione o di aver semplicemente votato a favore. Almeno 180 persone sono state uccise durante gli scontri, migliaia i feriti e decine di migliaia le persone costrette ad abbandonare le loro case. Delle migliaia di persone ferite (circa 9.000) molte risultano essere state vittime di tortura e maltrattamenti. Le autorità non hanno intrapreso alcuna azione per far luce sull'accaduto.

Il segretario generale di Amnesty International, Irene Khan, si è recato in visita in Zimbabwe per svolgere una missione di accertamento ed ha constatato che nel paese la violenza è tuttora utilizzata come mezzo per sottomettere l'opposizione politica. Irene Khan ha sottolineato l'urgenza di riformare il sistema giudiziario e di sicurezza allo scopo di garantire una protezione effettiva dei diritti umani.
Gli abusi sessuali ai danni delle donne e delle adolescenti in Zimbabwe continuano ad interessare migliaia di vittime ogni anno e varie ong e strutture sanitarie lanciano un allarme costante per sensibilizzare le autorità ed indirle ad intervenire per contrastare tale fenomeno. Molti appelli sono stati ignorati e addirittura il governo ha costretto all'esilio i responsabili di strutture private che hanno curato le vittime delle violenze, come nel caso di Betti Makoni. L'operatrice umanitaria ha dichiarato di aver assistito vittime di ogni età, (da pochi giorni di vita a 93 anni) e che le bambine e le adolescenti venivano stuprate da persone malate di Aids perché, secondo una credenza popolare, il sesso con una donna vergine fa guarire dalla malattia. Nel paese l'unica vera forma di assistenza alle vittime degli abusi è rappresentata da strutture private come la Family Support Clinic in cui sono state assistite 70.000 vittime di abusi sessuali negli ultimi 10 anni.

Alla fine di ottobre 2009 è stato impedito l'accesso nel paese della delegazione dell'ONU e dello Special Rapporteur sulla tortura, Manfred Nowak. La missione, preventivamente invitata dal governo dello Zimbabwe e precisamente dal primo ministro Tsvangirai , ha dovuto far rientro in Sudafrica perché all'aeroporto della capitale i militari hanno comunicato che i rappresentanti dello stato non avrebbero potuto ricevere la delegazione a causa dello svolgimento di un summit regionale. Non sono state fornite ulteriori delucidazioni ma è risultato evidente che il governo abbia voluto evitare la divulgazione di un nuovo rapporto della missione.

A settembre, grazie ad una decisione della Corte Suprema, è stata scagionata Jestina Mukoko, attivista dei diritti umani accusata di aver organizzato un complotto per rovesciare il governo del residente Mugabe e di aver reclutato persone da addestrare al terrorismo nel vicino Botswana. La orte ha sostenuto che lo stato aveva violato i diritti della ricorrente che ha ricevuto la solidarietà ello stesso primo ministro Tsvangirai.

Rifugiati

Lo Zimbabwe resta l'eccezione nella regione sudafricana nella quale persiste una relativa stabilità politica. La fragile coalizione politica e l'incertezza relativa alla normalizzazione all'interno del paese è causa di possibili nuovi flussi di rifugiati verso altri paesi. Il Sud Africa è il paese che ospita un grande numero di rifugiati provenienti dallo Zimbabwe e l'UNHCR ha elaborato dei piani per incrementare le potenzialità di accoglienza e di trattamento per i rifugiati di lungo periodo. Secondo i dati dell'UNHCR aggiornati a gennaio 2009 in Zimbabwe sono presenti 3.468 rifugiati e 527 richiedenti asilo, mentre i rifugiati originari dello Zimbabwe ospitati in altri paesi sono 16.841 e i richiedenti asilo 34.794 una serie di problemi di varia natura che si sono aggravati fortemente nel biennio 2008-2009 e che hanno reso le condizioni di vita della popolazione ancora più disumane. Il paese ha sperimentato una crisi economica dalla quale non vede via d'uscita anche a causa del persistente isolamento internazionale e dell'esistenza di sanzioni economiche decretate sia all'UE che dagli Usa, sia per effetto del deprecabile comportamento del paese relativamente alla protezione dei diritti umani, sia per la questione del traffico illecito di diamanti.

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