ERO UNO SCUDO UMANO
 Ho visitato l'inferno e sono ritornata indietro intera. E' successo la 
notte tra il 20 ed il 21 marzo 2003, quando ho accompagnato Joe e Laura, 
due ventenni, attivisti dell'organizzazione per i diritti umani, i quali 
dovevano rivestire la funzione di scudi umani. Quando mi hanno chiesto se 
potevo unirmi a loro, ho risposto di si'. Non ho subito realizzato dove 
stavo buttando me stessa.
Era la mia prima esperienza sotto il "fuoco": cosi' vicina alla morte, 
cosi' anonima, la mia vita cosi' facile, abbandonata nelle loro mani. Non 
mi sono mai sentita cosi' indifesa, cosi' debole. Ho detto "sto venendo" e 
siamo usciti.
Erano le 19.30, camminavamo per la strada principale di Rafah, una citta' 
che e', di fatto, un enorme campo profughi. Camminavamo nell'oscurita', 
pioveva, buche e pozzanghere, pezzettini di nylon e plastica sparsi qua e 
la', filo spinato e pile d'immondizie. Qui e li' alcuni negozi aperti. 
Gruppi di giovani ragazzi ci camminano intorno gridando: "Sa'lam Aleikum, 
Sa'lam Aleikum " (E' il saluto arabo che tradotto letteralmente significa 
la pace sia con te).
Improvvisamente, uno di loro prende una pietra e la lancia verso di noi. La 
pietra vola nell'aria e cade ai nostri piedi. Joe e Laura non sembrano 
essere disturbati. "noi rappresentiamo per loro la cultura Americana" 
dichiara Laura. Distrattamente, capii che stavamo camminando in direzione 
del confine con l'Egitto. Camminavamo verso la casa di Mohammad Jamil Kushta.
Ad un certo punto, dopo dieci minuti di cammino veloce, andammo in un lungo 
e stretto viale alla cui fine potevo distinguere un grosso pilastro. Quando 
arrivammo vicino vidi che era un'alta torre di guardia. Quando arrivammo 
alla torre, Joe e Laura alzarono le loro mani in alto e mi dissero di fare 
lo stesso. Feci come mi chiesero e camminavo in direzione della torre di 
guardia con le mie ma alzate sulla testa, camminando veloce - ma non troppo 
veloce.
I nostri abiti erano arancione fosforescenti, con una striscia argento. Joe 
strinse un grosso megafono in una mano e nell'altra una grossa maglietta 
fosforescente. Venti metri dalla Torre si poteva vedere, nel buio della 
notte, che vi era la facciata di un'altra fortezza - un forte punto 
Israeliano esattamente sul confine tra Rafah e l'Egitto.
A pochi passi dalla torre Laura, inaspettatamente, mi spinge in una 
piccola, entrata buia e bisbiglia: "Presto, stai qui". Ero in piedi 
sull'arco della porta, con un piede sulla strada, i miei occhi gradualmente 
si stavano abituando al buio del corridoio. Cinque minuti, e le mie 
sopracciglia ebbero un concreto blocco.
Passando sotto l'arco, sono salita su dieci gradini alla cui fine vi era 
una porta. Un piccolo suono e la porta si apri', rilevando la faccia 
sorridente di Mohammad Kushta. In piedi sulla porta, sorrisi anch'io. Non 
ho compreso che lui mi stava aspettando nel mezzo della notte. Non ne avevo 
la minima idea.
Muhammad Jamil Kushta, la cui casa siamo venuti a difendere, apri' la porta 
a due giovani attivisti per i diritti umani che passarono la notte nella 
sua casa le scorse settimane, oltre ad una donna che si e' introdotta come 
"Giornalista Francese". La giornalista francese ero io, al momento nessuno 
sapeva che io ero un'Israeliana proveniente da Tel Aviv.
"Tfatdal, Tfatdal" (Accomodatevi) lui dice aprendo la porta, seguito dalla 
sua giovane moglie Nora che ha in braccio la piccola Nancy. Erano le 20.15 
quando il primo sibilo e' partito. Un rumore che ha chiuso le mie orecchie. 
Un rumore assordante. Era la prima volta che mi trovavo in una casa che 
veniva colpita. Era la prima volta che mi trovavo sotto il fuoco. Ed era la 
prima volta che non volevo essere li'. Mi stavo agitando. Il mio corpo era 
in fribillazione. Il rumore stava risuonando nelle mie orecchie come 
gigantesche palle di fuoco. Lanci, Lanci. Lanci. Adesso capisco cosa 
significa quando qualcuno sostiene che ha visto la morte in faccia.
Con il primo scoppio Jamil muove il suo bicchiere da the lentamente. Su e 
giu', su e giu'. Nora stringe Nancy e Joe e Laura vanno dal piccolo Ibasan 
che dorme in un angolo e da suo fratello Jamil e li coprono. E' passata 
un'ora e mezza e per un'ora e mezza il mio corpo era in agitazione. 
Guardavo Jamil senza una parola e lui dice: "Vengono e fanno questo ogni 
notte. Per due anni e mezzo".
Perche' lanciano questi missili chiedo
Per farci paura. Risponde lui semplicemente.
"Perche' non prendi I tuoi bambini e vai via di qui?" Gli chiedo 
controllando la mia tonalita' di voce.
"Perche' non ho soldi" mi risponde. "Non ho soldi per un'altra casa, ogni 
centesimo l'ho investito per queste mura, ed ho anche dei debiti".
Un gioco pericoloso
Le scorse settimane Laura e Joe hanno dormito nella casa di Jamil. La casa 
si trova proprio vicino al confine con l'Egitto. Venti metri piu' avanti da 
questa casa, sono state fatte alte fortificazioni, distrutte tutte le case 
a destra ed a sinistra, sostano tank e mortai. Ecco perche' Laura e Joe 
dormono nella casa di Jamil. Questa e' la prossima casa che dovra' essere 
demolita. Non vi e' altra strada per Jamil e gli attivisti quando le truppe 
verranno in questa casa con i loro D-9 bulldozers, e sara' il lavoro di 
Laura e Joe cercare di non fare abbattere la casa.
Laura e Joe sono membri dell'ISM.
Ho passato con il gruppo 24 ore, pazze ore, molto frenetiche, ore di fuoco 
ed apprensione nelle quali i miei nervi erano a dura prova, il cuore che 
batteva all'impazzata sotto i vestiti. Ho capito cosa significa vivere con 
la morte per 24 ore. Una cattiva morte. Con armi, tanks e bulldozers 
puntati sulla tua casa, la tua stanza da letto, la tua cucina, il tuo 
balcone, la tua stanza da pranzo. Nessuna strada per difendersi, nessuna 
strada per correre via.
Nel mezzo della notte, guardando i tank e pensando con apprensione quello 
che potra' succedere nei prossimi momenti, decido di scoprire le mie carte. 
Ho avuto precise istruzioni di non esporre me stessa ad alcun pericolo 
perche' i militanti di Hamas avrebbero potuto uccidermi se sapevano di 
questa notizia.
Con un filo di voce e prendendo fiato dico: "Signore e Signori, devo 
annunciarvi che sono una giornalista di Tel Aviv".
Vi e' un momento di silenzio, poi Jamil parte parlando in ebraico: 
"Benvenuta, Benvenuta", Poi in Arabo "
Ahalan Wa'sahalan "  Continua il discorso alternando parole in ebraico ed 
in arabo. "Ho vissuto per Quattro anni in Herzlia in via Sokolov " lui 
continua "Ero il cuoco della shawarma del ristorante Mifgash Ha'Sharon. Ho 
lavorato anche in Abba Eban Street a Netanya ed all'Hotel Pituach. Quello 
che mi piaceva di piu' erano i gelati alla ciliegia al Ristorante Tel Aviv. 
E' ancora aperto?".
Pioggia di munizioni, continuano a cadere in quella sola notte. Una sola 
notte per me. La sparatoria continua dall'1.30 fino alle 4.15. Solo dopo si 
e' calmata.
Ventiquattro ore ho vissuto sotto la pioggia dei bombardamenti nella citta' 
di Rafah, nel campo di Rafah, con i suoi abitanti ed i suoi attivisti 
internazionali. La maggior parte delle persone che ho incontrato non 
sapevano che ero un'israeliana.
E' molto importante notare questo, perche' le parole che ascoltavo e le 
conversazioni non conducevano ad un ping pong israelo-palestinese.
Nessuno mi ha accusata, nessuno ha cercato di convincermi a capire qualcosa 
che prima non capivo. Io ero una giornalista europea. Durante queste 
ventiquattro ore poteva accadermi qualcosa di terribile, un'irresponsabile 
rischio per una persona della mia eta'.
In ogni modo, ora non sono la stessa persona che ero prima di entrare a 
Rafah. Una persona che e' diventata piu' vecchia in 24 ore. Adesso capisco 
il fascino della guerra per gli uomini.
La storia
Il cielo era grigio quando attraversai il confine per Erez, dopo aver 
parlato e fatto vedere I documenti ai soldati i quali dicevano che dovevo 
firmare un documento nel quale mi dovevo assumere ogni responsabilita' se 
volevo attraversare il confine assolvendo loro da qualsiasi responsabilita' 
in caso mi dovesse capitare un'incidente Ho attraversato il filo spinato 
con la mia scorta palestinese Talal Abu Rhma.
Abu Rahma prende la foto che simboleggia l'Intifada, la morte del bambino 
Mohammad Al Dura ucciso dai soldati israeliani.
Abu Rahma e' un uomo molto impegnato che vive a Gaza e lavora per un 
giornale straniero. Lui e' la mia guida ufficiale e mi dice: "Da questo 
momento non sei un'ebrea in questo mondo. Il fotografo non deve sapere che 
tu sei un'Israeliana. Da questo momento sei una giornalista francese."
Con queste parole in mente entrai nella macchina che ci conduce al Campo di 
Rafah, un'ora e mezza di guida da Gaza. Costeggiamo le strade rotte di 
Gaza, in direzione di Khan Yuneis e Rafah. "Vedi questi alberghi e questi 
ristoranti?" Prima erano pieni di vita. Ora non c'e' piu' niente, rotti ed 
abbandonati".
Al checkpoint d'Abu Huly vicino l'insediamento ebraico di Gush Katif, ci 
fermiamo. Aspettiamo dai soldati il permesso di procedere. Abu Rahame e' 
una persona sensibile, e' nervoso. Fuma una sigaretta dopo l'altra. Il 
checkpoint non puo' essere attraversato da una macchina che trasporta piu' 
di tre persone all'interno. Sul lato della strada vi sono dei bambini che 
stanno aspettando................
Noi aspettiamo. "Qualchevolta si puo' attendere per tre giorni. Dipende 
dalla situazione". Ma, adesso, abbiamo ottenuto il permesso dopo un'ora e 
mezza. Andiamo, la strada e' bellissima con antichi alberi d'eucalipto 
allineati sul bordo.
..............e poi  arriviamo al Campo di Rafah. Puoi, audacemente, 
chiamare questo posto, con 140.000 persone, una citta'. I palestinesi sono 
unanimi nel dire che questo e': "Il piu' povero, piu' miserabile, piu' 
pericoloso posto di tutti i 250 abitanti uccisi durante l'Intifada, piu' di 
400 case distrutte. La meta' delle persone uccise sono bambini".
Quando sono entrata nell'appartamento usato dagli "internazionali", ho 
pensato che qui, specialmente, non dovro' essere identificata come 
israeliana. Israeliano, per questi giovani persone, rappresenta il diavolo, 
d'Israele loro conoscono: demolizioni di case, uccisioni brutali, 
bulldozers, missili, tank, umiliazione, angherie e poverta'.
Le giovani persone che sono nella stanza sono tranquille, pensando 
d'incontrare e di comunicare con una giornalista francese. Sono stanchi dei 
media, che non riporta completamente la morte dei loro amici, non sono 
particolarmente ansiosi di rispondere a delle domande ed a loro non 
interessa particolarmente che ho solo due ore. Guardo il piede nervoso 
della mia scorta.
"Ritorni domani" gli chiedo. Dopo un piccolo scambio di parole, nel quale 
prometto di prendere tutte le precauzioni necessarie, lui mi saluta con un 
punto di disapprovazione stampato sulla sua faccia. Joe Smith, l'unico 
membro del gruppo che parla realmente con me, mi chiede di andare insieme 
all'internet cafe' e qui mi chiede di unirmi all'ISM.
Smith ha ventuno anni e viene dal Kansas City. A scuola ha letto libri che 
riguardavano il lavoro dei pacifisti ed e' rimasto entusiasta dell'idea. 
Svolge un corso di scienze politiche con il Prof. Steve Naber, legge Marx 
ed ha realizzato che il suo status come maschio bianco, con privilegi e' al 
top della piramide. Veniva dalla Slovacchia, dove si e' unito a gruppi 
anti-global ed ha deciso quello che vuole fare della sua vita, dedicarsi a 
questo lavoro nel quale non ci sono piu' i privilegi che lui ha avuto fino 
ad ora. In particolar modo, vuole cancellare la forte dittatura del suo 
nuovo Governo.
Mentre parlavano all'Internet cafe' nel centro della citta', che ho 
incontrato Mohammad, il quale non voleva rilevare la propria identita' 
completa ad una giornalista francese "perche' vi sono molte spie qui 
intorno", ma che insiste che io veda e legga il suo diario online e guardi 
le foto che ha messo sul sito www.rafah.vze.com.
Mohammad ha diciotto anni e studia la lingua inglese all'universita'. Ho 
deciso che potrebbe farmi da interprete e da scorta a Rafah. Lascio Joe al 
computer e cammino con Mohammad per Salah A Dn Stret.
"Dovresti comprarti una Keffiya e coprirti i capelli. Queste strade non 
sono molto sicure. Immediatamente seguo il suo consiglio. Ci fermiamo al 
primo negozio e compro una Keffiya, fermiamo un taxi che si prende 50 
shekels per un giro di un'ora e mezza intorno la citta'".
Immediatamente mi chiede se sono una giornalista straniera che e' venuta a 
visitare la citta' per sapere quello che stava succedendo qui. Il tassista 
mi dice che e' stato lui a prendere Rachel Corrie quando e' morta quella 
mattina.
Il primo posto che Mohammad mi fa visitare e' a Block G. a nord della 
citta', dove 400 case sono state distrutte. Avvicinandoci, vediamo che gli 
abitanti vivono in tende. Veniamo chiusi dai tank con i loro cannoni 
diretti su di noi.
!Quando vedono qualcosa muoversi sparano", una donna su un somari grida a 
Mohammad. Il resto della strada  lo percorriamo a piedi sotto la pioggia. I 
tank sono a 200 metri, i loro cannoni sono pronti.
E' importante che Mohammed mi abbia mostrato il luogo della massa di case 
demolite. Lui ha fotografato casa dopo casa e le ha inserite nel suo sito 
internet, che viene visitato da 900 persone da tutto il mondo.
"Possono sparare in qualsiasi momento, ad ogni movimento sospetto". 
Finalmente, quando siamo abbastanza vicini al tank e la pioggia inizia a 
cadere fortemente, dico: "E' abbastanza". Ci dirigiamo verso il taxi ed 
andiamo.
La prossima destinazione e' al-Ubur Airfield che e' stata distrutta dagli 
F-16, poi la casa dove e' stata uccisa Rachel Corrie ed il piccolo ospedale 
con due autoambulanze che corrono costantemente. Tutte le cose le vediamo 
ad una distanza di 100 metri perche' possono sparare in qualsiasi momento.
Dopo due e mezzo entriamo in un piccolo ristorante ed ordiniamo un panino 
con hommos ed una coccola, tutto per quattro shekels e mezzo (meno di un 
dollaro, meno della meta' di quello che si paga a Tel Aviv).
"Dove vivi" gli chiedo. "Mi muovo con i miei genitori in case differenti. 
Due mesi fa hanno distrutto la nostra casa. Io tornavo dall'Universita' e 
non ho trovato piu' nulla. Il computer, i libri, gli appunti, il mio 
materiale di studio. Non c'era piu' nulla. Vengono e distruggono ogni cosa 
senza avvisare, non danno neanche la possibilita' di portare qualcosa 
fuori. Adesso siamo per la strada. Io, mio padre, mia madre, tre fratelli, 
mio nono. E guardandomi dichiara alla "giornalista francese"."Non hanno 
nessun motivo. Noi siamo una famiglia normale, non abbiamo mai fatto nulla. 
Hanno distrutto la nostra vita in un'ora".
Guardo Mohammad parlare. Solo ora, dopo aver visto 400 case distrutte, 
realmente, capisco il suo dolore. Mohammad mi riporta all'internationals. I 
ragazzi vanno a portare le loro condoglianze alla famiglia di una persona 
uccisa nello stesso giorno di Rachel. Non mi chiedono di unirmi a loro.
Nelle case delle famiglie dove sono stata, dove mi sono seduta ed ho bevuto 
un caffe' nero ed ho mangiato, non ho mai ascoltato la parola israeliano. 
La parola "soldati" veniva raramente usata. I palestinesi usualmente e 
semplicemente dicono "essi". Durante le 30 ore che ho vissuto li' non ho 
mai visto un solo goccio di sangue dei soldati israeliani.
............................................Sono le 19.30 quando con Laura 
e Joe andiamo alla casa di Mohammad Jamil Kushta. Nella sua casa, sotto il 
fuoco dei missili, nel cuore della notte che io rilevo di essere una 
giornalista israeliana. Poi dico che potrebbe essere mio figlio uno dei 
soldati che ci sta bombardando, non sapendo che io sono li' in quella casa, 
oppure uno degli amici di mio figlio, uno che e' ha visitato casa mia.
Tre bambini, due americani, un palestinese ed una donna israeliana intorno 
ad una grande ciotola di salatini, con le pallottole che volavano 
nell'aria, siamo scoppiati a ridere.
Una risata di disperazione, di apprensione di calore umano. Pensavo ancora 
di scappare via, ma Jamil e Nora non sono fuggiti, vivono in quella 
situazione sotto i bombardamenti con i loro tre bambini.
.......e poi Laura apre la sua bocca e rileva di essere ebrea, anch'essa un 
ebrea osservante.........e dichiara che la fiera Alice, del gruppo di 
Giovanna d'Arco, e' un'ebrea anch'essa.
"Ed I soldati" afferma Jamil, vi sono ragazzi di vent'anni, bambini che 
sono stati buttati li' fuori, nel buio"
Siamo tutti d'accordo: la vita e' breve e gli essere umani sono delle 
stupide creature.
 
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