Francesca Borri, Qualcuno con cui parlare. Israeliani e palestinesi, ManifestoLibri 2010
La Palestina la puoi raccontare per sempre, senza trovarne mai il confine. Israele lo puoi cercare nello stesso luogo, ma senza capirlo. Qualcuno con cui parlare, libro di Francesca Borri, edito da manifestolibri, è un coro.
Ricordi della tragedia greca, dove una massa silenziosa rappresentava la coscienza collettiva, la cittadinanza, posta di fronte al potere. A giudicarlo, redarguirlo, ammonirlo. Si affievolì, nel tempo, la sua voce. Le interviste raccolte in questo libro sono differenti tra loro, distanti a volte. Legate dalla parola, strumento di dignità. Non tutte hanno la stessa credibilità, ma hanno spazio, come in un confronto degno di questo nome.
Qualcuno con cui parlare, appunto. Titolo del libro e di una delle interviste, quella a Nurit Peled e Bassam Aramin. Israeliana la prima, palestinese il secondo. Hanno pianto nello stesso modo, la prima per sua figlia, il secondo per la sua bambina. Uccisi. Entrambi hanno scelto di non ritenere assassino, a prescindere, l'altro. Ma per incontrarsi non hanno un luogo. Il simbolo di una terra stretta, dove ci si incontra in divisa o, nella migliore delle ipotesi, in una piega di questo conflitto che è anche di classe.
Dopo lo scoppio della Seconda Intifada nel 2000, dopo più di seimila morti, siamo davanti a un muro. Manca un interlocutore, si dice, come se fosse vero. Come se la verità non fosse che lo si vuole scegliere, fatto su misura. Questo libro ha il pregio di non scegliersi l'interlocutore, ma di andarlo a cercare, in direzione ostinata e contraria. L'intellettuale, il rabbino, il giurista, il combattente, il politico, il medico. Una Spoon River del conflitto israelo-palestinese, solo che non si racconta la vita passata, ma il futuro incerto. Dove tutti sono altro dal ruolo loro cucito addosso.
Non è un libro dove cercare speranza o verità, ma uno strumento per formulare domande. Uno specchio, ricco di riferimenti culturali, che ti lasciano da solo di fronte all'evidenza della complessità di una ferita che, dal 1948, non trova una benda abbastanza salda da rimettere assieme quello che unito è da sempre, ma che tanti lavorano per dividere.
Parole, pesanti come pietre. Sulle quali iniziare a costruire.
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