Condannato il webjacker di Al-Jazeera

Aveva rediretto il traffico al sito della celebre emittente araba verso una pagina su cui campeggiava una bandiera americana e uno slogan divenuto celebre
17 novembre 2003
Punto Informatico

Roma - L'FBI aveva promesso dure sanzioni ai cracker filoamericani che fossero intervenuti con atti illegali su internet per fare propaganda americana. Non sembra dello stesso parere il magistrato statunitense che nelle scorse ore ha condannato il webjacker di Al-Jazeera a coprire mille ore di servizi sociali e a pagare 2mila dollari di multa.

In un paese che ha varato l'ergastolo per punire i più gravi reati di cracking, infatti, viene commentata come "leggera" la pena piovuta sul capo del 24enne californiano John William Racine II, di Norco, che lo scorso giugno aveva ammesso di aver violato il database di Network Solutions per riuscire a modificare i DNS del sito AlJazeera.net. Costruendosi una identità fasulla, John W. è riuscito a farsi consegnare dal registrar dei domini le password di accesso all'account di Al-Jazeera e, da lì, a redirigere ("web hijacking") su un proprio sito gli utenti che si recavano sul sito dell'emittente,.

Sulla pagina web messa a punto dal giovane americano, noto anche come "John Boffo", campeggiava una grande bandiera degli Stati Uniti d'America sotto la quale si trovava uno slogan, "Let Freedom Ring", divenuto un ritornello in certi episodi di cracking nei mesi scorsi.

Il giudice distrettuale che si è occupato del caso, A. Howard Metz, ha sostenuto che il ragazzo "si è reso conto immediatamente del terribile disastro compiuto" e ha dunque patteggiato, pentendosi del suo gesto. Per questo Metz ha ritenuto di non applicare pene detentive, sebbene in un caso del genere le nuove severissime leggi statunitensi prevedano da tre a 25 anni di carcere.

Al-Jazeera, da parte sua, ha voluto sottolineare di non credere che sia solo Racine il responsabile, ricordando che lo scorso marzo, oltre all'attacco del ragazzo, il sito dell'emittente aveva subito numerose aggressioni, di cui una addirittura aveva portato alla redirezione dei visitatori del sito su pagine pornografiche.

Ma la tesi secondo cui, oltre a Racine, abbiano agito altre persone non ha convinto i procuratori statunitensi.

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