Banche Dati

Diritti e interessi, l'Italia senza regole fanalino di coda dei paesi occidentali
10 luglio 1994
Stefano Rodotà
Fonte: "Buio Digitale" - Inserto "Il cerchio quadrato" de "Il Manifesto"

Molte sono le ragioni per le quali l'Italia e' rimasto l'unico paese dell'Unione europea privo di una legge sulle banche dati e sulla tutela delle informazioni personali, e molti i problemi che nascono da questa grave lacuna. All'origine vi e' il disinteresse di una cultura politica e istituzionale per quello che riguarda lo sviluppo tecnologico e le modalita' di una sua regolazione. Basta ricordare che la Camera dei deputati non ha voluto dotarsi di un'organismo come lo statunitense Office of Technology Assessment, malgrado un voto unanime dei deputati a meta' degli anni '80; che il nostro Parlamento, a differenza di quelli di tutti i paesi industrializzati, non ha mai svolto serie indagini sulle conseguenze politiche, economiche, sociali delle tecnologie informatiche, biologiche, genetiche, che la Commissione parlamentare sui servizi di sicurezza si e' fatta espropriare del potere di controllo della banca dati del ministero dell'interno, previsto dalla legge di riforma della polizia.
Tutto questo non e' avvenuto per caso. Forti interessi burocratici, radicati soprattutto nei ministeri dell'Interno e della Giustizia, hanno prima cercato di rinviare l'esame di un disegno di legge in materia e poi, quando l'esame parlamentare e' stato finalmente avviato nel 1993, hanno tentato con ogni mezzo di limitare la portata della nuova disciplina. La pressione degli interessi imprenditoriali, che vogliono mantenere la scandalosa situazione di assenza d'ogni controllo, non e' stata minore: anzi, il blocco del disegno di legge, che stava per essere approvato dal Senato prima dello scioglimento delle Camere, si deve proprio all'ascolto fin troppo attento delle ragioni delle imprese da parte di quasi tutti i gruppi senatoriali (sinistra compresa). E non vanno dimenticati le gelosie e i conflitti di potere, che hanno determinato ad esempio le pretese dell'Autorita dell'informatica (di nomina govemativa) d'essere riconosciuta come organo di garanzia in materia, in palese contrasto con la tendenza ormai generale che vuole questi organi sottratti all'influenza dell'esecutivo.
Le conseguenze di questa situazione sono assai gravi. I cittadini italiani son privi di diritti in un settore fondamentale non solo per la difesa della privacy, ma per la salvaguardia di essenziali liberta' civili. Mi limito a ricordare, tanto per segnalare un'abissale distanza, che il Tribunale costituzionale tedesco, nella sentenza sul censimento del 1983, ha affermato il carattere fondamentale del diritto a l'"autodeterminazione informativa".
E' probabile che, nell'immediato futuro, rimarranno le difficolta' all'approvazione di una seria legge sulle banche dati. L'attuale maggioranza non mi sembra proprio incline alla creazione di strumenti capaci di dare ai singoli cittadini alle loro associazioni e ad una autori davvero indipendente forti poteri di controllo sui "signori dell'informazione" pubblici e privati. E, soprattutto, si faranno piu' dure le pretese di un mondo imprenditoriale che, in una legge come questa, vede solo vincoli e nuovi costi. Si riuscira' a far capire che vi sono dimensioni che non possono essere sottomesse al logica economica? Le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro costano certo alle imprese: se ne puo' chiede per questo la cancellazione?
Quando sono in pericolo diritti fondamentali, con quello alla libera costruzione della sfera privata e alla non discriminazione, chi usa strumenti potenzialmente pericolosi deve sopportare i costi perche' i rischi siano annullati o controllati.

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