Tra Usa e India accordo storico sul nucleare (civile)
Chissà cosa pensa Henry Kissinger dell'accordo indo-statunitense sul nucleare civile, festeggiato negli Stati uniti durante la visita del premier indiano Singh. Negli anni `70 lui e Richard Nixon pensavano che gli indiani fossero infidi, traditori e aggressivi. Erano i tempi in cui Indira strizzava l'occhio a Mosca e si preparava a invadere il Pakistan orientale che sarebbe diventato Bangla Desh. Allora gli indiani era nemici e tra i due paesi il sangue è rimasto cattivo per molto tempo. Tanto che, nel 2003, gli indiani erano ancora «rilassati e pigri» e affetti da un' «atavica lentezza burocratica» come scrisse la rivista strategica Jane's, rivelando il contenuto delle 130 pagine dell'«Indo-US Military Relationship: Expectations and Perceptions», preparato dalle teste d'uovo del Pentagono per Donald Rumsfeld. In quel dossier, che fece innervosire gli indiani (che stavano rifiutando il corteggiamento Usa sull'Iraq), ce n'era anche per la comunità economica locale liquidata, in una intervista, come «gente che non paga». Ma poi le cose sono cambiate. Rapidamente cambiate. E forse davvero pochi si sarebbero immaginati che potessero andare tanto in là, dimostrando che gli umori e le intenzioni tra l'aquila e l'elefante sono davvero altro. In buona sostanza, e la cosa deve essere stata a lungo preparata, il presidente Bush e il premier indiano Singh hanno deciso che i due paesi possono condividere le loro conoscenze tecnologiche sul nucleare. A scopo civile ovviamente, e non è ancora ben chiaro in che forma. Inoltre il Congresso deve approvare e gli umori non sono omogenei. Ma il tabù è rotto in modo clamoroso perché Washington, per la prima volta, tratta la delicata materia con un paese che non solo non è un alleato storico (semmai un ex nemico della guerra fredda), ma che, teoricamente, dovrebbe far parte del club degli stati canaglia. Quelli cioè che hanno fatto la scelta nucleare fuori dal Trattato di non proliferazione e in gran segreto. Segreto di pulcinella diventato appariscente nel 1974 col primo test indiano e, più recentemente, con la corsa al nucleare di India e Pakistan che ha portato i due paesi dell'Asia meridionale ad essere oggetto di sanzioni (ormai completamente rientrate). Gli americani non sono teneri coi paesi che svolgono programmi nucleari a scopo militare (con la sola eccezione di Israele e, da poco, del Pakistan su cui chiudono un occhio) e si sono sempre rifiutati di collaborare in questo campo con gli stati che rifiutano le ispezioni dell'Aiea. Ma New Delhi non è Tehran e nemmeno Pyongyang. E' inoltre più importante di Islamabad su uno scacchiere internazionale in rapida evoluzione.
«Partnership strategica» titola la stampa indiana. Più cauta quella americana: «Usa e India potrebbero condividere tecnologia nucleare». Riflesso di un atteggiamento ancora incerto, ma che il timore di una Cina forte tende a modificare rapidamente. Sulla Cina gli americani hanno idee diverse. C'è la vecchia logica del contenimento, quella dell' «engagement» o del «co-engagement». L'Amministrazione è orientata verso la soluzione morbida del coinvolgimento del gigante cinese ma l'opzione «containment» resta forte.
Ed è questa dunque la lettura prevalente sull'accordo nucleare tra elefante e aquila. Bilanciare il dragone, pericolosamente amico dell'India da un paio d'anni: da quando Cinesi e indiani hanno deciso di chiudere le vecchie rivalità di frontiera. E pensare che durante la crisi in Bangla Desh gli americani cercarono di spingere Pechino, allora appena «riavvicinata» col ping pong, a far guerra all'India. Mao ci pensò un paio di giorni e lasciò cadere. Aveva la vista più lunga di Richard e Henry.
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