Fallimento del Consiglio europeo di Bruxelles. La Costituzione "congelata", le "Prospettive Finanziarie" in alto mare

Dal Summit due visioni europee

20 giugno 2005
Delegazione italiana PSE
Fonte: Newsletter delegazione DS al Parlamento Europeo - 18 giugno 2005

Il Consiglio europeo di Bruxelles si è chiuso con un nulla di fatto. Anzi: con la certificazione della “crisi profonda” in cui si trova l’Unione. I capi di Stato e di governo dei 25 hanno affrontato i due temi principali che si trovavano nell’agenda del vertice: il processo di ratifica del trattato costituzionale e il negoziato sulla “Prospettive Finanziarie 2007-2013”. Le risposte date dal Consiglio, nei due giorni di lavoro, sino alla notte tra venerdì e sabato scorsi, hanno rispecchiato la situazione di serio stallo tra i governi: il processo di ratifica è stato allungato nel tempo e la data del 1 novembre 2006 originariamente fissata per fare il punto sulle ratifiche è stata allungata di almeno un anno. Una prima valutazione si farà non già nel semestre britannico (luglio-dicembre 2005) ma nel corso del semestre di presidenza dell’Austria, nei primi mesi del 2006. La Costituzione, dunque, è congelata, in attesa di vedere cosa succede nel dibattito politico in Europa e nelle dinamiche politiche nazionali (referendum, elezioni legislativa e presidenziali in numerosi Stati).

Il negoziato sulle “Prospettive Finanziarie” è clamorosamente fallito. Dopo una giornata di trattative, di incontri bilaterali, di sedute plenarie, il Consiglio ha dovuto prendere atto, nella tarda serata di venerdì 17, che non sarebbe stato possibile raggiungere un’intesa sull’ultima proposta della presidenza di turno del Lussemburgo. Una proposta che non piaceva a molti Stati ma che, soprattutto, non riusciva a smuovere la rigidità britannica sul diritto a mantenere intatto il “rimborso” annuale di 4,6 miliardi di euro. Una rigidità cui faceva seguito quella della Francia che si teneva stretta agli accordi sulla politica agricola stilati nel 2002. A sostegno della Gran Bretagna, sono accorsi anche l’Olanda e la Svezia, tutti contributori netti dell’Unione. Ma non la Germania. Il presidente di turno, Jean Claude Juncker, ha cercato di mediare sino all’ultimo ma ha poi dovuto arrendersi. E ha dichiarato, al termine dei lavori, che l’Europa si trova in una “crisi profonda”. Juncker ha ricordato che una serie di nuovi Stati dell’Unione, guidati dalla Polonia, si sono detti disponibili a rinunciare ad una parte degli aiuti in loro favore pur di agevolare l’intesa. Non è bastato. E Juncker ha detto di “provare tristezza e vergogna”, a nome dei Paesi più vecchi in fatto di adesione. Il presidente di turno ha detto che la crisi dell’Europa deriva anche dalla presenza di due visioni: una che intende l’Europa come area di libero scambio, l’altra che vede l’Europa come un processo d’integrazione politica.

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