Altro che G8. Ora la polizia è militarizzata
Alla prima seduta del Senato, lo scorso 28 aprile, 55 senatori di tutta l'Unione hanno richiesto di istituire una Commissione parlamentare d´inchiesta su quanto accaduto cinque anni fa durante il G8 di Genova. Come ha detto il senatore Gigi Malabarba (che il 20 luglio cede il posto a Haidi Giuliani, madre di Carlo) bisogna «risalire alla catena di comando delle forze dell'ordine che ha deciso quei comportamenti nelle piazze, nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto». Giustissimo. Occorre però preoccuparsi non solo di quanto accadde nel luglio 2001, ma di quanto è appena accaduto nel luglio 2006.
Intervenendo il 4 luglio alle commissioni difesa congiunte di senato e camera, il ministro della difesa Arturo Parisi ha sottolineato che «l'accesso alle carriere iniziali nelle forze di polizia è riservato, da quest'anno fino al 2020, ai volontari delle forze armate». Il governo Prodi conferma così di condividere appieno la legge 226 che, varata dal governo Berlusconi il 23 agosto 2004, stabilisce la sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva: poiché per entrare nelle forze di polizia ad ordinamento civile e militare (l'Arma dei carabinieri) occorre aver fatto il servizio militare, i posti messi annualmente a concorso in tali corpi vengono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o in rafferma annuale.
«Tale meccanismo - sottolinea Parisi - consente alle forze di polizia di incorporare personale che, seppure formato in funzione dell'impiego nelle forze armate, può vantare un'esperienza più ampia rispetto a quella di chi proviene direttamente dalla vita civile, maturata proprio negli impegni di sicurezza cui sopra ho fatto cenno», ossia nelle «missioni di sicurezza» all'estero.
Questo è certo. I volontari dell'esercito che hanno prestato servizio in teatri bellici come quelli dell'Iraq o Afghanistan, e poi entrano nella polizia, possiedono una «esperienza più ampia» rispetto a chi proviene dalla vita civile: sono addestrati alla guerra, sono abituati a combattere. Questo è il bagaglio formativo, non solo militare ma ideologico, che essi portano con sé entrando nella polizia di stato. In tal modo il «nuovo modello di difesa» - che proietta le nostre forze armate in uno «spazio estesosi a tutto il mondo» per «la difesa degli interessi vitali del paese» e «la gestione delle crisi internazionali» (Parisi) - incide profondamente non solo nella politica estera ma in quella interna.
Il concetto di sicurezza - afferma il capo di stato maggiore della difesa di Paola - si configura sempre più come «un continuum senza frontiere, in cui sicurezza interna e sicurezza esterna non sono più separate» (Centro alti studi per la difesa, 20 giugno). Nel quadro di questa dottrina militare l'Arma dei carabinieri è già stata collocata, con il rango di forza armata, alle dirette dipendenze del capo di stato maggiore della difesa, in base alla legge 78 varata dal secondo governo D'Alema il 31 marzo 2000. Nel quadro della stessa dottrina, la polizia di stato viene di fatto militarizzata riservando l'accesso ai volontari delle forze armate.
Dovrebbero riflettere quei pacifisti che nel 2004 hanno inneggiato (anche sul manifesto) all'abolizione della leva obbligatoria, sostenendo che «cattive ragioni possono produrre talvolta buoni risultati». La leva obbligatoria è stata abolita perché occorre un esercito di professionisti della guerra, proiettabile in Afghanistan e altri teatri bellici nel quadro della strategia statunitense e della Alleanza atlantica.
E i professionisti della guerra - compresi quelli che il 6 agosto 2004 urlavano a Nassiriya «E' ferito, annichiliscilo!» (filmato di Rai News 24, 8-12-2005) - da ora in poi opereranno nel nostro paese con le divise della polizia di stato. E' questo un processo potenzialmente pericoloso per la nostra democrazia, che finora nessuno ha posto in discussione in parlamento e nel paese. Che cosa si aspetta? Una situazione come quella di cinque anni fa a Genova, magari con agenti della polizia di stato che urlano «annichiliscilo»?
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