Latina

Guatemala: la popolazione scende in piazza contro il "TRATTATO DI LIBERO COMMERCIO". e ci lascia morti e feriti

4 aprile 2005
Redazione Adista
Fonte: ADISTA - 26 marzo 2005

CITTÀ DEL GUATEMALA-ADISTA. Dura ormai da settimane la protesta del popolo guatemalteco contro il governo del presidente della coalizione di destra Óscar Berger sulla ratifica del Trattato di libero commercio tra gli Stati Uniti e i Paesi del Centroamerica e Repubblica Dominicana (Cafta). E ha già pagato il suo tributo di morti e feriti. Finora un maestro e un contadino sono stati assassinati e una ventina di uomini e donne sono finiti all'ospedale per le manganellate e l'intossicazione da lacrimogeni provocate da alcuni agenti della Polizia nazionale civile. Il governo l'ha chiamata a dare man forte all'esercito per domare la pacifica marcia attraverso la città di migliaia di studenti, donne, professori universitari e insegnanti, rappresentanti dell'Unità di azione sindacale e popolare, del Collettivo delle organizzazioni sociali (Cos), del Coordinamento nazionale delle organizzazioni contadine (Cnoc) e del Coordinamento nazionale Indigeno e contadino (Conic).
Il popolo guatemalteco, a partire dall'8 marzo, ha iniziato a riunirsi attorno al Parlamento dove era in corso il dibattito sull'approvazione del Cafta, chiedendo ai deputati che la decisione venisse presa dopo una consultazione popolare. Il Congresso però ha ignorato totalmente la richiesta, adottando invece la procedura veloce dei casi di "urgenza nazionale", e qualche giorno dopo, con 126 voti a favore su 138 (i 12 deputati di sinistra si sono astenuti), ha ratificato l'accordo. Lo scorso dicembre il Salvador era stato il primo Paese del Centroamerica a ratificare il Tlc e la scorsa settimana era stato il turno dell'Honduras.
Il Movimento indigeno contadino sindacale e popolare (Micsp) ha risposto alla ratifica con un grande sciopero nazionale che il 14 marzo ha radunato migliaia di persone nella capitale e nelle diverse province. Una manifestazione pacifica tra le cui file, denunciano gli organizzatori, la polizia ha infiltrato un manipolo di provocatori che tirando sassi e creando tafferugli hanno sollecitato la reazione delle forze dell'ordine, le quali hanno risposto con le manganellate e con i lacrimogeni (tra l'altro provocando un incendio di 5 ettari di foresta nella provincia del Colotenango).
Il Cafta, spiegano i dirigenti del Micsp in un comunicato, "attenta alla sovranità nazionale, alla vita e alla salute del Paese; perché permetterà il saccheggio delle risorse naturali del Paese da parte di imprese transnazionali; perché ridurrà i posti di lavoro e le entrate della classe lavoratrice delle campagne e delle città; perché colpirà la piccola e media impresa urbana, la piccola economia contadina ed indigena, e perché aumenterà le condizioni di povertà della maggioranza del Paese".
Anche il rettore dell'Università di San Carlos (Usac), Luis Leal, è sceso in piazza guidando una colonna di manifestanti al centro della città. E la Usac ha sottoscritto un documento di 19 pagine, "Liberalizzazione, un modello che radica la dipendenza" in cui fa un'analisi dettagliata delle gravissime conseguenze del Cafta sull'economia del Guatemala. "Non si tratta - avverte l'Università - dell'inizio della liberalizzazione commerciale, perché questo processo dura già da decenni"; da tempo "il Centroamerica ha concesso agli Stati Uniti e alle sue trasnazionali di godere dei benefici doganali e fiscali nelle zone franche", ma con il Cafta "questa apertura si amplia e tocca altre dimensioni dell'economia. Ben oltre il commercio, il Trattato regola la liberalizzazione in altri campi (investimenti, acquisti governativi), "estendendo l'ambito della liberalizzazione dal settore dei beni a quello dei servizi".
Un invito al dialogo tra governo e organizzazioni sociali per evitare spargimenti di sangue era giunto, la domenica precedente allo sciopero, dall'arcivescovo di Città del Guatemala, il card. Rodolfo Quezada Toruño. "Qui c'è un peccato originale", aveva dichiarato alla stampa dopo la messa in cattedrale. "Credo che il Trattato di Libero Commercio lo conosca poca gente, si sono fatti numerosi negoziati alle spalle del popolo". E riferendosi alla presidenza di Óscar Berger: "Vogliamo un governo che non si converta in avvocato delle imprese - aveva detto - ma che ricerchi il bene comune, il bene della nazione, di cui non fanno parte solo gli industriali, tanto decisivi per il futuro del Paese, ma anche i settori popolari". Quezada ha spiegato di non essere né a favore né contro il Tlc, ma ha chiesto che prevalga la dignità dell'uomo e il buonsenso. Si è fatto quindi promotore di un incontro per cercare una soluzione pacifica al conflitto, invitando il 15 sera nella sede dell'arcivescovado alcuni dirigenti sociali - il vicepresidente Eduardo Stein, il procuratore dei diritti umani Sergio Morales e il rettore Leal - ma la riunione è stata un fallimento.
I membri delle organizzazioni sociali chiedevano che Berger non rendesse effettivo l'accordo e ne rimettesse l'approvazione finale ad una consultazione popolare. Chiedevano inoltre l'immediato ritiro delle forze dell'ordine dalle strade a garanzia del pubblico diritto a manifestare, la destituzione del capo della polizia responsabile degli omicidi e del ministro del governo Carlos Vielmann, "venduto" agli Usa.
La risposta di Berger è stata l'immediata pubblicazione del Tlc sulla Gazzetta Ufficiale (atto che ha reso effettivo l'accordo), unita ad una vaga promessa che il governo indagherà sulle morti ed ad un altrettanto vago invito alle organizzazioni sociali e contadine di "partecipare ad un meccanismo multi-settoriale per monitorare il Tlc, per godere delle opportunità di questo accordo e per prevedere schemi per i settori vulnerabili". "Ci danno il contentino - ha protestato Daniel Pascual, dirigente del coordinamento contadino - come se il dialogo potesse finire qui, e nel frattempo è già iniziata la persecuzione dei dirigenti sociali. Il governo ha dimostrato ancora una volta che manca la volontà politica".

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