Latina

«Siamo in una telecrazia»

Scrittrice d'impegno La giornalista Elena Poniatowska parla della campagna elettorale
2 luglio 2006
Gianni Proiettis
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Elena Poniatowska Amor, giornalista e scrittrice con un immenso curriculum di lotte e denunce, stava a un lato di López Obrador nella sua oceanica chiusura di campagna. All'altro fianco c'era Rosario Ibarra de Piedra, la piú combattiva delle madres de mayo messicane, in lizza per un posto al senato.
Come giudica la campagna elettorale che si è appena conclusa?
Nella storia del Messico non c'era mai stata una campagna più combattuta, meschina e indegna, perché gli insulti non hanno avuto limiti. Imitiamo tutti i mali degli Stati uniti e la nostra è stata una campagna troppo lunga e nefasta che fa molto danno al nostro paese, perché alla fine siamo noi che la paghiamo con le nostre imposte. L'accanimento contro il candidato della sinistra poi non ha precedenti, mancava soltanto che lo aggredissero fisicamente.
Come vede il ruolo giocato dai media, in particolare dalle televisioni?La televisione è il grande elettore in questo paese,attraverso due emittenti che appartengono a privati: Televisa e TvAzteca. Entrambi ballano alla musica del miglior offerente e non hanno i minori scrupoli. Entrambi si sono arricchite in modo vergognoso con questa campagna. All'ultimo, anche il candidato della sinistra, Andrés Manuel López Obrador, è dovuto ricorrere agli annunci a pagamento sebbene avesse detto che non voleva spendere tanto per la sua campagna. Però l'offensiva degli altri due candidati che bombardavano i telespettatori con un diluvio di spot doveva essere ribattuta a un certo momento. In Messico, durante la presidenza Fox e grazie alla recente riforma - chiamata giustamente la ley Televisa - la televisione ha acquisito un tale potere che si può parlare di una telecrazia.
Come sintetizzerebbe il sessennio di Vicente Fox?Come un fallimento, e sono indulgente. Non ha mantenuto niente di quello che aveva promesso e ha privilegiato ancora di più la classe imprenditoriale. Ha fatto crescere il precipizio fra i ricchi e i poveri e non ha mai creato i posti di lavoro promessi. Più di 4 milioni di messicani sono dovuti andare negli Stati uniti durante la sua presidenza e lui ha avuto il cinismo di dichiarare che era molto buono che le rimesse dei migranti fossero l'entrata più importante dopo il petrolio. (Si è dimenticato di menzionare il narcotraffico, che non ha affatto combattuto). La classe agiata messicana è ipocrita, bigotta e non esce da se stessa.
Qualche previsione sulle elezioni di oggi e il futuro del Messico?Secondo molte inchieste, Amlo ha 6 punti di vantaggio su Calderón. È importante che il margine sia alto perché non si generino proteste. Se vince Amlo, il Messico sarà un paese diverso, perché credo fermamente nel suo «primero los pobres», che non è solo uno slogan ma una necessità impellente. Se il Messico non si occupa dei suoi poveri, andrà a fondo. Per di più, il nostro paese avrà per la prima volta un governo di sinistra e finirá di inclinare la bilancia dalla parte di Bolivia, Argentina, Brasile, Uruguay, Cile, Venezuela e Cuba.
Lei ha partecipato alla campagna al lato di Amlo e questo le è valso un linciaggio morale da parte del Pan. Come si è sentita di fronte a questi attacchi? A che posto aspira nel nuovo governo?
Io mi dedico a scrivere e non aspiro a nessun posto di governo. Amlo mi cercò per essere aiutato nella campagna contro il desafuero e dopo che, il 24 aprile 2005, un milione e mezzo di messicani si manifestarono a suo favore nel Zócalo, mi chiamò di nuovo per appoggiarlo in un nuovo programma di cultura. Siccome lo considero un uomo onesto - cosa rara fra i politici messicani - ho accettato. In quanto agli attacchi del Pan, ho ricevuto molti più messaggi di solidarietà che di insulti e mi sono resa conto di chi mi ama e chi no.

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