Messico: la necromacchina di Guanajuato

Da alcuni anni si è costituito il collettivo “Proyecto de Búsqueda”, il cui scopo è far pressione sulle istituzioni affinché sia fatta giustizia, ma, a livello statale, poco è stato fatto e, anzi, una parte significativa degli scomparsi, soprattutto nel periodo primavera-estate di quest’anno, è purtroppo composta anche da adolescenti.
A schierarsi in prima persona, rivolgendosi apertamente ai cartelli della droga di Guanajuato, vi sono anche le Madres Buscadoras, attive in seno al gruppo “Hasta Encontrarte”: più volte hanno chiesto alle organizzazioni criminali di far tornare a casa i loro cari supplicandoli di non uccidere né loro stesse né i loro familiari. Inoltre, è stato realizzato anche il video Volverte a ver, un ulteriore tentativo per evitare che il caso dei desaparecidos di Guanajuato finisca nell’oblio.
Nel disinteresse delle autorità, accusate dalle Madres di muoversi soltanto a parole, l’appello ai narcotrafficanti è chiaro: desiderano solo che i loro figli tornino a casa sani e salvi, non vogliono vendette né cercano colpevoli (“Que sepan que no buscamos culpables, no queremos tener problemas, lo único que queremos es regresarlos a casa. Les pedimos que no nos maten”). Secondo il collettivo “Hasta Encontrarte”, la responsabilità della situazione è delle istituzioni dello stato, in un contesto di sempre maggiore insicurezza e violenza che attraversa non solo Guanajuato, ma tutto il Messico.
Nello stato di Guanajuato sono molti i gruppi di ricerca formatisi spontaneamente per sostenere le famiglie che hanno almeno una persona desaparecida, in particolar modo nelle città di Celaya e Irapuato. In particolare, di fronte alla scarsa mobilitazione delle autorità, i collettivi di ricerca incollano le foto dei desaparecidos di fronte alla sede della Fiscalía Regional con alcuni dati che possano servire ad identificare gli scomparsi, a partire da una minuziosa descrizione dell’abbigliamento che indossavano il giorno della sparizione.
A lottare contro l’indolenza delle istituzioni sono principalmente le donne, la cui sfida però spesso è stata pagata cara: alcune di loro sono state uccise, tra cui Teresa Magueyal, lo scorso mese di maggio, mentre altre hanno dovuto fare i conti con frequenti minacce di morte. È stato grazie alle brigate di ricerca indipendenti che, nell’ottobre 2020, è stato individuato una sorta di centro di reclusione clandestino da cui sono emersi i resti di 80 persone provenienti da 65 sepolture illegali. La presenza, a fianco delle famiglie, di organizzazioni come Serapaz, Universidad Iberoamericana León e Coalición Internacional de Sitios de Conciencia, purtroppo, serve soltanto come opera di sensibilizzazione tra la popolazione, ma non a smuovere le istituzioni.
È lo stesso Fabrizio Lorusso, sempre su La Jornada, il 6 maggio scorso, nell’articolo Guanajuato es una fosa, a sottolineare le connivenze tra chi dovrebbe indagare e il crimine organizzato, dalla polizia locale a quella federale, la collusione di alcuni amministratori con i gruppi coinvolti nel traffico di esseri umani e addirittura la criminalizzazione delle vittime e dei loro familiari, utilizzando un termine significativo, la necromáquina, di cui i principali artefici sono le autorità stesse e il crimine autorizzato, oltre che organizzato, dallo Stato, per far sparire le persone nella più totale impunità.
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