Colombia, le minacce dei «paras»
«A tutti gli stranieri che con la scusa "umanitaria" pretendono di venire in Colombia con le loro organizzazioni, diciamo che sono nostro obiettivo militare permanente». Questo il tono di un lungo comunicato diffuso da un comando centrale di paramilitari colombiani, le Autodefensas Colombia Libre. Destinatari, sindacalisti, ecologisti, avvocati per i diritti umani, esponenti della sinistra.
Una minaccia che incombe anche sulla delegazione internazionale che, dal 19 al 29 settembre, si recherà in Colombia, su richiesta dell'Organizzazione nazionale degli indigeni (Onic). Una minaccia da prendere sul serio, visto il numero di omicidi impuniti di cui sono responsabili queste bande di mercenari. Ufficialmente, i corpi paramilitari si sono smobilitati dopo la legge «Giustizia e Pace», l'amnistia malmascherata che il presidente Alvaro Uribe ha promulgato nel 2005. Ma, come attesta il nuovo documento ufficiale della Commissione internazionale di giuristi, lo scioglimento è stato solo di facciata, e nuove filiazioni possono aver preso il testimone. La Commissione torna perciò a puntare il dito sulle responsabilità del governo colombiano.
Da anni le organizzazioni umanitarie denunciano i numerosi massacri di indigeni, colpevoli di ostacolare i progetti di sfruttamento selvaggio delle risorse con la loro presenza. Gli indigeni Awa - circa 15.300 - vivono nella parte occidentale della Ande colombiane, dalla conca del fiume Telembì sino alla parte del nord dell'Ecuador; sono divisi in varie «riserve» nelle regioni di Nariño e Putumayo, e oggi rischiano l'estinzione, incalzati e decimati dagli appetiti scatenati dai giacimenti di oro. Già nel 2004, l'Alto commissariato delle Nazioni unite chiedeva l'intervento della comunità internazionale per fermare il lento genocidio delle popolazioni, ma nessuna delle procedure d'urgenza da allora attivate ha messo un freno ai massacri. Anzi, dopo le famigerate Autodefensas unidas de Colombia(Auc), la sigla-contenitore dei paramilitari, ufficialmente smobilitate da Uribe, ecco in azione le Acl. Si vantano di controllare «il 70% del territorio nazionale», forti delle potenti coperture di cui non fanno mistero: «Siamo qui per servire la causa di sterminare la rivoluzione e tutte le componenti della sinistra - scrivono infatti nel documento - e lo stiamo facendo in una situazione di guerra permanente insieme alle legittime forze armate colombiane e al signor presidente dottor Alvaro Uribe Velez».
«Che il nostro silenzio si trasformi in un solo grido», scrivono invece gli indigeni, e chiedono di non essere lasciati soli. Per questo, la missione di verifica internazionale, preparata dalla Onic, ha deciso di sfidare il pericolo e di recarsi in Colombia per un'operazione di monitoraggio e di interposizione. Poi, redigerà un documento che servirà ad aprire una campagna di denuncia all'Onu, l'Unione europea e il G24. Della missione fanno parte delegati europei, statunitensi e latinoamericani. Per l'Italia, la Onic ha invitato Giuseppe De Marzo, portavoce dell'associazione A Sud, che da anni realizza progetti di cooperazione con le comunità indigene. Ma anche l'impegno di A Sud non è esente da rischi: «Durante un sit-in sotto l'ambasciata colombiana - denuncia De Marzo - siamo stati filmati e fotografati. In seguito, la nostra sede è stata "visitata" da qualcuno interessato soprattutto agli hard disk. E dopo le minacce dei paramilitari rivolte a Restrepo, l'associazione di avvocati colombiani con cui lavoriamo, il nostro sito è stato misteriosamente oscurato».
E così, per denunciare il «il ricatto delle armi» a cui è sottoposta la cooperazione internazionale in Colombia, Francesco Martone, di Rifondazione comunista, ha presentato un'interrogazione in senato, e Patrizia Sentinelli, sottosegretaria agli esteri con delega alla cooperazione, ha interessato del problema l'ambasciata. Il collettivo di avvocati colombiani «Alvaro Restrepo», fra i primi a ricevere lettere di minaccia da parte delle Acl, ha invece unito la propria voce al nuovo documento ufficiale della Commissione internazionale di giuristi: «Vista la legislazione vigente che legalizza l'impunità e vista l'enormità dei crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi in Colombia, chiediamo l'intervento della Corte penale internazionale».
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