Latina

Dal Messico a passo di ironia

Una raccolta di racconti e una biografia di Elena Poniatowska, la più importante autrice messicana, da sempre a fianco del movimento zapatista
28 gennaio 2004
FRANCESCA LAZZARATO
Il subcomandante Marcos la chiama Dulcinea, Octavio Paz l'ha definita «l'uccellino della letteratura messicana», per Carlos Fuentes è La Poni e per tutti gli altri doña Elena o la princesa roja (cioè la «principessa rossa», in quanto discendente dall'ultima casa regnante di Polonia). Al momento, però, Elena Poniatwska è diventata semplicemente Elenísima grazie a Michael K. Schuessler, professore alla Columbia University, che le ha dedicato una biografia-saggio avvincente come un romanzo. Presentato meno di un mese fa alla Feria del Libro di Guadalajara e già inserito nella classifica dei titoli più venduti del Messico, il libro di Schuessler si intitola appunto Elenísima. Ingenio y figura de Elena Poniatowska (Editorial Diana, 215 Pesos ) e si presenta come una intelligente ed esaustiva analisi di vita e opera della più importante scrittrice messicana contemporanea, giornalista combattiva e caustica schierata fin dall'inizio con il movimento zapatista e acerrima avversaria del presidente Fox, colui che durante l'ultimo vertice delle Americhe si è distinto come il più zelante valletto che un George Bush possa desiderare. In quell' Elenísima i lettori riconosceranno subito un'allusione al titolo dell'opera di Poniatowska più nota in Italia, ossia Tinisima (tradotta nel `97 per le edizioni Frassinelli), una bella biografia della fotografa e rivoluzionaria italiana Tina Modotti, lungamente vissuta in Messico. E certo il superlativo che connota la magnifica Tina si adatta perfettamente anche a Elena, nata a Parigi nel 1933 dal principe Jean, la cui famiglia si stabilì in Francia in epoca napoleonica, e da Paula Amor, aristocratica messicana in esilio che nel 1944 decise di tornare per sempre nel proprio paese d'origine insieme alla figlia. Due genitori d'eccezione, i Poniatowski, membri attivi della resistenza francese e combattenti ostinati quanto orgogliosi, che la figlia ha rievocato con commozione durante la cerimonia di consegna della Legion d'onore conferitale l'anno scorso, accostandoli nel ricordo all'avo Josef Poniatowski, maresciallo di Francia al seguito di Napoleone, che preferì lanciarsi in groppa al suo cavallo nel fiume Elster piuttosto che arrendersi all'esercito russo. Combattività, ostinazione e orgoglio sono, del resto, tratti fondamentali del carettere di Elenísima, una donnina minuta e fragile che dal 1953 (anno del suo debutto nel giornalismo) a oggi ha tenacemente difeso i diritti civili e la causa delle donne, denunciato la politica del Pri e del cocacolero Fox e, soprattutto, ha raccontato nei suoi libri un Messico poverissimo, offeso, emarginato e tuttavia militante, il Messico delle soldaderas, dei contadini del Chiapas, degli studenti di Tlateloloco e delle muertas di Ciudad Juarez. Aveva quindi ragione lo scrittore Alfonso Reyes a dire «Elena è nata come Minerva, armata di tutto punto», ma avrebbe dovuto aggiungere che si tratta di una Minerva dotata di un enorme senso dell'umorismo, di una fresca insolenza, della capacità di esprimersi in una prosa brillante e incisiva che ci restituisce il suono e il ritmo della lingua «di strada» fitta di modismos, di espressioni colloquiali, di parole indigene: uno «stile folklorico» che, dice Carlos Fuentes, è nato per esprimere la meraviglia e la gioia di una ragazzina francese di fronte a un Messico che doveva apparirle simile e un'immensa e colorata città dei balocchi (quello narrato nel suo libro d'esordio, Lilus Kikus del 1954) e che si è poi trasformato «nella più importante arma culturale per appoggiare gli oppressi e gli indifesi che la prosa messicana del secondo novecento abbia mai conosciuto.» Si deve forse a questo idioma musicale e «parlato» la relativa intraducibilità dei libri di Poniatowska, pubblicata tuttavia in dieci paesi: romanzi come Todo empezó el domingo (1963), Hasta no verte Jesús mío, México, (1969, intitolato in italiano Fino al giorno del giudizio e pubblicato nel 1993 da Giunti), La noche de Tlatelolco (1970) o La piel del cielo, (Premio Alfaguara 2001) sono tuttavia capaci di sopravvivere a traduzioni che inevitabilmente ne attenuano il sapore, e di esprimere fino in fondo la convinzione dell'autrice circa la necessità di allontanarsi dal realismo magico per privilegiare una letteratura di testimonianza e di denuncia, il cui miglior strumento restano la risata e la satira «agre come un limone verde.» La literatura testimonial nasce dalla vita di tutti i giorni - dice Poniatowska - dalla voce e dalla chiacchiera, dai contadini che si raccolgono attorno al fuoco... I senza- voce, coloro che non hanno nessuno cui dettare la propria autobiografia, sono quelli che in realtà possiedono la voce più potente, anche se sconosciuta». Non bisogna credere, però, che quelli di Poniatowska siano testi a tesi e tanto meno frutti tardivi del defunto realismo socialista. Da grande scrittrice qual è, Elenisìma non è mai caduta in questa trappola ed è sempre riuscita a trasformare l'esperienza collettiva in autentica letteratura, calandosi appieno nella forma del romanzo-cronaca cui, con stile differente e con esiti comunque grandissimi, hanno aderito altri grandi autori latino-americani, come gli argentini Tomas Eloy Martinez e Rodolfo Walsh, anch'essi venuti dal giornalismo militante, e come Eduardo Galeano. Questa straordinaria capacità di scrivere storie, che dietro l'apparente spontaneità nascondono un lungo lavoro e un magnifico artificio letterario, torna anche nel nuovissimo libro di Poniatowska, pubblicato contemporaneamente alla biografia di Schuessler e intitolato Tlapalerìa (Lom Ediciones, pag.99, 50 pesos): otto racconti riuniti in un volumetto che l'autrice ha voluto breve perché fosse alla portata di tutti (di recente in Messico si è accesa una furibonda discussione sull'applicazione dell'Iva ai libri, denunciata da alcuni scrittori come un modo per rendere ancora più difficile l'accesso alla cultura da parte delle classi meno abbienti). Ciascuna delle otto storie ha come protagonista una donna apprentemente qualunque, incapace di sottrarsi alla chiusura soffocante della banalità quotidiana: la giovane drogata chiusa in una sordida comunità, la madre che considera con orrore la propria famiglia riunita a tavola attorno a un piatto di carciofi, le casalinghe che si rimandano voce e chiacchiere in un misero negozio di alimentari, l'insegnante che porta in giro per musei un gruppo di alunni simile a una mandria di bufali. Un libro sulla disillusione, insomma, amaro e allo stesso tempo ironico, che difficilmente vedremo tradotto in italiano. Considerata un vero e proprio monumento nazionale in Messico, dove sta per apparire la sua opera omnia a cura del Fondo de Cultura Económica, la scrittrice Poniatowska resta assai poco conosciuta nel nostro paese (anche se il suo impegno politico è tutt'altro che ignoto ai lettori del manifesto o di Carta). Un peccato, perché vale senz'altro la pena di leggere un'autrice che dice di sé: «È dal 1953 che continuo a fare domande che restano senza risposta. E credo che morirò con un punto interrogativo impresso sotto le palpebre».

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