Presidenziali Brasile: Dilma al Planalto
Dilma Rousseff ce l'ha fatta. I pronostici della vigilia sono stati ampiamente confermati, tanto che, dopo appena un'ora dalla chiusura delle urne, i primi exit-poll già davano la candidata petista come sicura presidenta del Brasile. Lo stesso Tribunale Supremo Elettorale (Tse) in breve tempo aveva certificato Dilma come la prima donna ad insediarsi al Planalto nella storia del suo paese: con il 56% dei voti validi la Rousseff ha distanziato ben presto il socialdemocratico José Serra, fermatosi al 43,99%. Tutto come nelle presidenziali precedenti, quando anche allora si temeva che il ballottaggio avrebbe finito per essere fatale a Lula: in quella circostanza, come oggi, questi timori sono stati presto fugati. Sull'incertezza del secondo turno pesavano le posizioni favorevoli all'aborto di Dilma, tirate di nuovo fuori insieme al suo passato di ex-guerrigliera (come se dovesse vergognarsi di aver lottato contro la dittatura militare e aver trascorso in carcere più di due anni sotto tortura) da un'imponente campagna mediatica orchestrata nel tentativo di screditarla, tanto da spingere anche il Papa Benedetto XVI a prendere posizione a favore di José Serra. In questo contesto, dovuto inoltre alla forte pressione delle chiese evangeliche, la Rousseff è stata costretta a fare marcia indietro per intercettare i voti al centro impegnandosi a mantenere l'attuale legislazione, che considera l'aborto un crimine e le stesse aperture nei confronti delle politiche di genere e in tema di omosessualità hanno finito per passare in secondo piano. Dato per scontato che il successo di Dilma rappresenta una boccata d'ossigeno rispetto alla temuta vittoria di Serra, la cui conquista del Planalto avrebbe decisamente significato un regresso notevole per la parte più progressista del paese, vanno comunque sottolineate numerose contraddizioni (alcune già sopraelencate) presenti nelle politiche petiste e della Rousseff in particolare. Non è un caso infatti che l'astensionismo, già a livelli record in occasione del primo turno, abbia raggiunto ieri il 21%, crescendo quindi di quattro punti percentuali in un paese in cui l'assenza dalle urne è punita con sanzioni pecuniarie. Può darsi che in questo 21% sia rientrato quell'astensionismo politico quasi invocato, pochi giorni prima del voto, da un editoriale del Correio da Cidadania, ritenuto una sorta di "avvertimento popolare alle classi dominanti" e giustificato dalle stesse politiche neoliberiste di un comune partido da ordem a cui sono accomunati Rousseff e Serra. Gli ascolti molto bassi negli ultimi dibattiti tra i due candidati al Planalto testimonierebbero una certa disaffezione dalla politica.
Come già avvenuto in occasione dei successi di Lula invece, i movimenti popolari si propongono di spostare a sinistra l'esecutivo Rousseff con le loro rivendicazioni, pur mantenendo la più ampia autonomia. Lo spiega Gilmar Mauro, coordinatore del Movimento Sem Terra, che più della vittoria di Dilma è felice per la sconfitta di Serra ed invita subito la nuova arrivata al Planalto ad impegnarsi per la riforma agraria fin dal primo giorno del suo insediamento ufficiale, il 1 Gennaio 2011. Non è però soltanto la riforma agraria a dover rientrare nell'agenda di governo, da cui è peraltro sparita da tempo immemorabile. Il movimento nero chiede politiche volte ad eliminare le ancora presenti disuguaglianze razziali in Brasile, l'approvazione dell'Estatuto de Igualdade Racial ed un lavoro quotidiano in grado di abbattere le barriere esistenti per quanto riguarda l'accesso all'istruzione. Allo stesso modo dovranno assumere un peso specifico le politiche di genere, su cui Dilma si è più volte contraddetta per attrarre l'elettorato centrista, a partire dalle unioni civili degli omosessuali e passando per un impegno concreto a favore dell'inserimento delle donne in ambito lavorativo e politico. Altri temi su cui fin da ora è richiesta una presa di posizione chiara alla presidenta riguardano la democratizzazione dei media, di cui la stessa Dilma è stata spesso una delle vittime preferite, ed il miglioramento delle condizioni lavorative, come già richiesto della Cut (Central Única dos Trabalhadores). Lascia inoltre molto perplessi la vicepresidenza affidata a Michel Temer, vicino al socialdemocratico Cardoso durante i suoi due mandati consecutivi al Planalto tra il 1995 e il 2003 fino a correre come vice di Serra nelle presidenziali del 2002, quando il candidato tucano fu sconfitto da Lula. Una carriera politica praticamente opposta a quella di Dilma, abbandonata solo pochi anni fa per entrare nell'entourage lulista.
Per parte sua Rousseff nel primo discorso da neo-eletta si è impegnata a combattere a fondo la povertà estrema in cui vivono, secondo le ultime stime, almeno l'8% dei 192 milioni di brasiliani. Non sarà un compito facile per la ex ministra della Casa Civil, che è riuscita a conquistare il Planalto sfruttando al meglio la popolarità di Lula, attualmente al livello record dell'83%.Da sottolineare come non abbia inciso sull'esito del ballottaggio l'enorme bacino di voti di Marina Silva. Si temeva che molti elettori del Partido Verde (Pv) si schierassero con Serra, del resto la ex-seringueira aveva raccolto consensi sia a sinistra (ad esempio da coloro che non hanno mai digerito le posizioni luliste su grandi opere quali la transposição del Rio São Francisco e la centrale idroelettrica di Belo Monte), ma anche a destra: i quadri del Pv, nonostante la sbandierata neutralità del partito e la volontà di lasciare gli elettori liberi di votare secondo coscienza, hanno in maggioranza appoggiato Serra e lo stesso è avvenuto in numerosi stati del paese, non a caso si è parlato di tucanos verdes. In definitiva, però, non c'è stato uno spostamento di massa dell'elettorato verde da Marina Silva a Serra.
In una giornata di festa, che permette a Dilma di contare su un'ampia maggioranza al Congresso (311 deputati su 503), la nota dolente viene dai ballottaggi per i governatori degli stati dell'unione. Il Partito SocialDemocratico di Serra (Psdb) e i suoi alleati Democratas (Dem) andranno comunque a governare oltre il 52% dell'elettorato brasiliano. Dopo San Paolo, Minas Gerais, Paraná e Tocantins (già conquistati al primo turno) anche Alagoas, Pará, Roraima e Goiás, Amapá, Rondônia, Paraíba, Piauí saranno a guida tucana, fatto che ha permesso a Serra, al termine di una campagna elettorale senza esclusione di colpi, di ridurre la portata del successo petista.
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