Guatemala: tutti uniti contro Otto Pérez Molina
Lo scorso 25 aprile migliaia di guatemaltechi sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni del presidente del paese, Otto Pérez Molina, e della sua vice, Roxana Baldetti: entrambi sono accusati di corruzione e, in particolare, di aver fatto sparire oltre 130 milioni di dollari dalle casse dello stato.
Riuniti sotto la parola d’ordine Renuncia ya, almeno trentamila persone hanno manifestato a Città del Guatemala in uno dei più imponenti cortei di protesta nella storia del paese. I guatemaltechi chiedono el cambio e ne hanno motivi più che validi, stufi di un presidente che ha mirato soltanto ad arricchire l’esigua quanto vorace classe imprenditoriale del paese e tra i responsabili dei massacri delle comunità maya durante l’operazione tierra arrasada degli anni Ottanta. Il soprannome di Molina, “Mano Dura”, proviene infatti dall’intransigenza che l’ex generale aveva mostrato allora, complice dei peggiori criminali che sono stati alla presidenza del paese, su tutti Rios Montt, ma anche da quando è divenuto a sua volta mandatario del paese. È stato Molina, infatti, a ordinare ai militari di invadere i villaggi indigeni in resistenza contro l’estrazione mineraria a cielo aperto e la costruzione delle centrali idroelettriche, e sempre lui ha svenduto le risorse del Guatemala alle multinazionali. I casi più clamorosi di violazioni dei diritti umani, quelli verificatisi a Santa Cruz Barillas e Totonicapán, esigono ancora giustizia. Hoy ponemos de moda la dignidad e Nuestro deber es defender a Guatemala sono stati gli slogan più gettonati in Plaza de la Constitución, la piazza di Città del Guatemala dove ha sede il governo. Il governo temeva la manifestazione del 25 aprile, non a caso è stato fatto tutto il possibile per bloccare la connessione ad internet e i segnali telefonici per rendere difficile la comunicazione tra i manifestanti. Inoltre, pare che Molina abbia ordinato l’utilizzo di droni per fotografare le facce di coloro che hanno partecipato alla protesta, sui quali hanno tenuto gli occhi puntati anche centinaia di poliziotti in assetto di guerra nel tentativo di criminalizzare i contestatori del presidente. Forse è presto per parlare di una nuova primavera per il Guatemala, sfiancato dalle politiche neoliberiste e da una repressione non troppo diversa da quella degli anni Ottanta, eppure a scendere in piazza è stata l’intera società guatemalteca, non soltanto i movimenti sociali, e Città del Guatemala non è stato l’unico luogo dove si sono svolti cortei di protesta. Anche a Quetzaltenango, Ixcán, Santa Eulalia, Antigua e Huehuetenango si sono tenute manifestazioni anti-governative, e i guatemaltechi residenti all’estero hanno espresso tutta la loro insoddisfazione per quanto sta accadendo nel loro paese scendendo in piazza in Messico, Cile, Costarica e Inghilterra. I guatemaltechi sono usciti per le strade vincendo la paura e contestando il saccheggio sistematico del loro paese, l’impunità, l’ingiustizia sociale e la corruzione: lo hanno fatto insieme indigeni e operai, professionisti e campesinos, il proletariato urbano e gli studenti delle università private e pubbliche, tra cui lo storico ateneo di San Carlos, quello dove negli anni Ottanta i patrulleros andavano ad arrestare i giovani che lottavano per un Guatemala dove il diritto d’espressione e la libertà di pensiero fossero garantiti. Inoltre, un altro aspetto che ha contraddistinto le manifestazioni è stata l’auto-organizzazione: la società civile ha propagato la protesta, ma non i partiti, rimasti in secondo piano. La giornata di mobilitazione è stata un vero successo, sebbene la televisione pubblica abbia deciso di boicottare la copertura delle manifestazioni ignorandole, come se non esistessero, ma è stata l’intera società guatemalteca a rialzare la testa dopo decenni di oppressione. La marcia dell’indignazione, che aveva come obiettivo principale l’impresentabile coppia Molina-Baldetti, si è presto trasformata in una serie di cortei in cui si chiedeva la fine del femminicidio (una piaga che affligge l’intero Centroamerica), la terra ai contadini che la lavorano (per poi vedersene espropriati i frutti dallo stato e dalle imprese), l’uguaglianza per le coppie omosessuali, il rispetto dei diritti dei migranti. Sono in molti a sostenere che la marcia del 25 aprile è solo l’inizio, la prima rivendicazione per le tante lotte sociali che il Guatemala deve affrontare, a partire da quella della memoria.
Estamos unidos porque queremos un cambio è stata una delle parole d’ordine dei manifestanti: se Otto Pèrez Molina venisse cacciato dalla presidenza del paese, un altro futuro per il Guatemala potrebbe davvero essere possibile.
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