Latina

La destra spera di cacciare Rousseff dal Planalto tramite l'impeachment

Brasile: movimenti sociali in piazza per Dilma e la democrazia

Il grande accusatore Eduardo Cunha è accusato di corruzione, riciclaggio di denaro sporco ed evasione fiscale
16 dicembre 2015
David Lifodi

internet

 

Ce l'hanno fatta in Argentina e in Venezuela sfruttando il loro apparato mediatico e grazie agli aiuti esterni, ma ora mirano al colpo grosso anche in Brasile: le destre latinoamericane, a partire da quella verdeoro, vogliono capitalizzare al massimo l'impeachment dichiarato dal presidente della Camera dei deputati Eduardo Cunha (Partido do Movimento Democrático Brasileiro) nei confronti della presidenta Dilma Rousseff. A respingere quello che a tutti gli effetti sembra un golpe mascherato alla paraguayana o alla hondureña (basti pensare alla fine che hanno fatto Fernando Lugo e Manuel Zelaya), il Brasile democratico che oggi scende in piazza sotto le insegne del Frente Brasil Popular, una sorta di movimento dei movimenti di cui fanno parte 66 organizzazioni popolari.

L'appello del Frente a manifestare parte da un dato di fatto incontrovertibile: Eduardo Cunha, il grande accusatore di Dilma Rousseff, è accusato di corruzione, riciclaggio di denaro sporco e appropriazione indebita di risorse dello stato, quindi il mandato di presidente della Camera dovrebbe essergli revocato all'istante. Il gioco di Cunha è chiaro: utilizzare l'impeachment come moneta di scambio per ottenere l'appoggio dei partiti d'ooposizione e salvare il suo mandato nonostante una lunga lista di reati di cui è accusato, non ultima l'evasione fiscale, come già certificato dalla Procura Generale della Repubblica. E invece a rischiare di finire sul banco degli imputati è Dilma Rousseff, anche se gli ultimi sondaggi riferiscono che al Congresso la presidenta avrebbe ancora almeno 87 voti in più dei 171 necessari per rimanere al Planalto. Rousseff è sotto inchiesta per aver violato le leggi fiscali brasiliane e di aver manipolato le finanze del paese per favorire la propria campagna elettorale in occasione delle presidenziali del 2014, ma poiché queste accuse al momento appaiono quantomeno aleatorie, le destre intendono farla cadere dall'incarico in quanto il suo indice di popolarità sarebbe in caduta libera. In questo caso, basterebbe allora attendere il 2018 per punirla nell'urna, ma il movimento per la sua destituzione non sembra intenzionato ad attendere così tanto. Una parte dell'opposizione non si è ancora rassegnata al successo di Dilma Rousseff, avvenuto sul filo di lana nei confronti di Aécio Neves, e preme per un governo di transizione che indica nuove elezioni dove, probabilmente, il Partido dos Trabalhadores andrebbe incontro ad una sconfitta in un contesto in cui è sotto gli occhi di tutti la crisi economica che sta attraversando il paese. Inoltre, segnala il Frente Brasil Popular, composto da sindacati, movimenti popolari, organizzazioni studentesche, indigene e contadine, donne e dai settori progressisti della Chiesa, si cerca di far rovesciare Dilma Rousseff per poi fare terra bruciata delle conquiste sociali dei lavoratori, privatizzare Petrobrás e trasformare il paese in un nuovo laboratorio delle politiche neoliberiste. Per la verità, sia durante l'era lulista sia sotto la presidenza Rousseff, il Brasile non ha svoltato a sinistra come molti si attendevano. Certo, sono stati varati numerosi programmi sociali (su tutti Bolsa Familia e Fome Zero), anche se in chiave esclusivamente assistenzialista, il paese ha svolto un ruolo di primo piano nell'integrazionismo latinoamericano, ma è altrettanto evidente che al Planalto si è cercato di giocare sui due tavoli, ed è innegabile che Lula e Rousseff abbiano tutt'altro che sbattuto le porte in faccia al desenvolventismo a tutti i costi, alle imprese minerarie e dell'agrobusiness e alle grandi opere iniziate in occasione dei mondiali di calcio del 2014 e che termineranno con le olimpiadi di Rio 2016. In mezzo le proteste di piazza del giugno 2014, nate su impulso della sinistra radicale, ma poi cavalcate abilmente dalla destra estrema in occasione della Coppa del Mondo. Tuttavia è evidente che un ritorno della destra neoliberista al Planalto sarebbe una sciagura, sebbene la riforma agraria resti un sogno e la costruzione di nuove dighe la faccia da padrone anche in epoca petista. È per questi motivi che, alla fine, organizzazioni solitamente critiche con il Pt e il Planalto, a partire dai Sem Terra, non hanno esitato un attimo quando si è trattato di mobilitarsi per mantenere l'ordine democratico che molti vogliono sovvertire: questo non è il momento di giudicare la presidenta dal punto di vista politico, ma di difendere la legalità e la legittimità delle istituzioni del paese. Tra gli intellettuali a sostegno di Dilma Rousseff anche Leonardo Boff, noto esponente della Teologia della Liberazione, che ha definito vergognosa l'azione di Cunha, il quale non ha certo l'autorità morale per promuovere l'impeachment. 

La manifestazione del Frente Brasil Popular, all'insegna dello slogan No al golpe. In difesa della democrazia, ha lo scopo di convincere gli indecisi e sconfiggere i golpisti. Ai cortei dell'opposizione, rilanciati anche sulla nostra stampa, viene dato un risalto maggiore del normale come già è accaduto di recente in Venezuela e Argentina, ma la vigilanza della società brasiliana sembra alta e proprio sulla mobilitazione popolare di oggi il Brasile si gioca buona parte di un futuro che rischia comunque di non essere roseo. 

Ce l'hanno fatta in Argentina e in Venezuela sfruttando il loro apparato mediatico e grazie agli aiuti esterni, ma ora mirano al colpo grosso anche in Brasile: le destre latinoamericane, a partire da quella verdeoro, vogliono capitalizzare al massimo l'impeachment dichiarato dal presidente della Camera dei deputati Eduardo Cunha (Partido do Movimento Democrático Brasileiro) nei confronti della presidenta Dilma Rousseff. A respingere quello che a tutti gli effetti sembra un golpe mascherato alla paraguayana o alla hondureña (basti pensare alla fine che hanno fatto Fernando Lugo e Manuel Zelaya), il Brasile democratico che oggi scende in piazza sotto le insegne del Frente Brasil Popular, una sorta di movimento dei movimenti di cui fanno parte 66 organizzazioni popolari.

 

L'appello del Frente a manifestare parte da un dato di fatto incontrovertibile: Eduardo Cunha, il grande accusatore di Dilma Rousseff, è accusato di corruzione, riciclaggio di denaro sporco e appropriazione indebita di risorse dello stato, quindi il mandato di presidente della Camera dovrebbe essergli revocato all'istante. Il gioco di Cunha è chiaro: utilizzare l'impeachment come moneta di scambio per ottenere l'appoggio dei partiti d'ooposizione e salvare il suo mandato nonostante una lunga lista di reati di cui è accusato, non ultima l'evasione fiscale, come già certificato dalla Procura Generale della Repubblica. E invece a rischiare di finire sul banco degli imputati è Dilma Rousseff, anche se gli ultimi sondaggi riferiscono che al Congresso la presidenta avrebbe ancora almeno 87 voti in più dei 171 necessari per rimanere al Planalto. Rousseff è sotto inchiesta per aver violato le leggi fiscali brasiliane e di aver manipolato le finanze del paese per favorire la propria campagna elettorale in occasione delle presidenziali del 2014, ma poiché queste accuse al momento appaiono quantomeno aleatorie, le destre intendono farla cadere dall'incarico in quanto il suo indice di popolarità sarebbe in caduta libera. In questo caso, basterebbe allora attendere il 2018 per punirla nell'urna, ma il movimento per la sua destituzione non sembra intenzionato ad attendere così tanto. Una parte dell'opposizione non si è ancora rassegnata al successo di Dilma Rousseff, avvenuto sul filo di lana nei confronti di Aécio Neves, e preme per un governo di transizione che indica nuove elezioni dove, probabilmente, il Partido dos Trabalhadores andrebbe incontro ad una sconfitta in un contesto in cui è sotto gli occhi di tutti la crisi economica che sta attraversando il paese. Inoltre, segnala il Frente Brasil Popular, composto da sindacati, movimenti popolari, organizzazioni studentesche, indigene e contadine, donne e dai settori progressisti della Chiesa, si cerca di far rovesciare Dilma Rousseff per poi fare terra bruciata delle conquiste sociali dei lavoratori, privatizzare Petrobrás e trasformare il paese in un nuovo laboratorio delle politiche neoliberiste. Per la verità, sia durante l'era lulista sia sotto la presidenza Rousseff, il Brasile non ha svoltato a sinistra come molti si attendevano. Certo, sono stati varati numerosi programmi sociali (su tutti Bolsa Familia e Fome Zero), anche se in chiave esclusivamente assistenzialista, il paese ha svolto un ruolo di primo piano nell'integrazionismo latinoamericano, ma è altrettanto evidente che al Planalto si è cercato di giocare sui due tavoli, ed è innegabile che Lula e Rousseff abbiano tutt'altro che sbattuto le porte in faccia al desenvolventismo a tutti i costi, alle imprese minerarie e dell'agrobusiness e alle grandi opere iniziate in occasione dei mondiali di calcio del 2014 e che termineranno con le olimpiadi di Rio 2016. In mezzo le proteste di piazza del giugno 2014, nate su impulso della sinistra radicale, ma poi cavalcate abilmente dalla destra estrema in occasione della Coppa del Mondo. Tuttavia è evidente che un ritorno della destra neoliberista al Planalto sarebbe una sciagura, sebbene la riforma agraria resti un sogno e la costruzione di nuove dighe la faccia da padrone anche in epoca petista. È per questi motivi che, alla fine, organizzazioni solitamente critiche con il Pt e il Planalto, a partire dai Sem Terra, non hanno esitato un attimo quando si è trattato di mobilitarsi per mantenere l'ordine democratico che molti vogliono sovvertire: questo non è il momento di giudicare la presidenta dal punto di vista politico, ma di difendere la legalità e la legittimità delle istituzioni del paese. Tra gli intellettuali a sostegno di Dilma Rousseff anche Leonardo Boff, noto esponente della Teologia della Liberazione, che ha definito vergognosa l'azione di Cunha, il quale non ha certo l'autorità morale per promuovere l'impeachment.

 

La manifestazione del Frente Brasil Popular, all'insegna dello slogan No al golpe. In difesa della democrazia, ha lo scopo di convincere gli indecisi e sconfiggere i golpisti. Ai cortei dell'opposizione, rilanciati anche sulla nostra stampa, viene dato un risalto maggiore del normale come già è accaduto di recente in Venezuela e Argentina, ma la vigilanza della società brasiliana sembra alta e proprio sulla mobilitazione popolare di oggi il Brasile si gioca buona parte di un futuro che rischia comunque di non essere roseo.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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