Latina

Sui massacri nei penitenziari pesa la pessima gestione della presidenza Temer

Brasile: emergenza carceri dovuta alla guerra tra bande rivali

La giudice Carmen Lucia Antunes, alla guida del Supremo Tribunale Federale, potrebbe sostuire Temer al Planalto
23 gennaio 2017
David Lifodi

internet

Sono quasi sessantamila le morti provocate ogni anno in Brasile a causa della guerra tra i principali gruppi criminali del paese, ma l'inizio del 2017 è stato segnato, nel più grande paese dell'America latina, da una scia di sangue senza precedenti.

Il massacro avvenuto a Manaus, nel complesso penitenziario Anísio Jobin, lo scorso 1 gennaio, rappresenta solo la punta dell'iceberg di un paese il cui sistema carcerario è giunto al collasso, grazie anche all'inettitudine delle istituzioni che dovrebbero occuparsene. In Brasile la popolazione dei detenuti sfiora le settecentomila unità, ma a fronte della continua crescita della popolazione carceraria, ciò che manca sono le strutture destinate ad accoglierla. Ad esempio, un reportage di Agnese Marra per la rivista uruguayana Brecha segnala che il carcere di Manaus dovrebbe ospitare 454 persone e invece ne accoglie, in condizioni subumane, oltre 1200. Le carceri brasiliane in gran parte sono divenute il buco nero della democrazia, dei diritti calpestati e gran parte dei reclusi vi finiscono per piccoli reati e poi si trasformano nella manovalanza del grandi cartelli criminali del paese. Nelle prigioni brasiliane, per capirsi, i colpevoli di reati quali l'evasione fiscale non vi fanno nemmeno ingresso. Inoltre, la maggioranza dei detenuti è costretta a rimanere in carcere in via preventiva, in attesa di essere sottoposta al processo, ma difficilmente la giustizia brasiliana riesce ad arrivare almeno al primo grado di giudizio. All'invivibilità delle carceri si aggiunge un ulteriore aspetto tutt'altro che secondario, segnalato dal frate domenicano Frei Betto in una lettera indirizzata al ministero della Giustizia: buona parte dei penitenziari non sono gestiti dallo Stato, ma da imprese che utilizzano il proprio personale (agenti, medici, infermieri ecc...) e lo impiegano a loro piacimento.

Il massacro di Manaus, sottolinea ancora Brecha, non è derivato da una sommossa dei detenuti per chiedere il miglioramento delle condizioni di vita all'interno del carcere, e nemmeno è stato scatenato dall'insoddisfazione per la lentezza della giustizia brasiliana, ma è stato provocato da una guerra tra bande rivali. Da un lato il Primeiro Comando da Capital, di San Paolo, dall'altro la Família do Norte, che ha agito per conto del Comando Vermelho, con il quale è alleata. Nati negli anni Settanta, questi gruppi si sono dedicati progressivamente alla criminalità, ma in realtà, è il caso ad esempio del Comando Vermelho, all'inizio del loro percorso si battevano per i diritti dei detenuti e, come si intuisce dal nome, avevano un orientamento politico ben preciso. La Família do Norte, che per conto del Comando Vermelho (di Rio de Janeiro) ha compiuto il massacro a scapito della fazione rivale allo scopo di marcare il territorio e far capire al Primeiro Comando da Capital che non sono i padroni del Brasile, da tempo aveva fatto presagire la strage. Tuttavia, alcune conversazioni registrate dalla polizia militare di Manaus tra i capi della Família do Norte in cui si accennava all'azione criminale non sono servite a smuovere le istituzioni. Il presidente Michel Temer si è pronunciato solo dopo alcuni giorni parlando genericamente di “pauroso incidente”, ma altri hanno fatto anche peggio. José Melo, governatore dello stato di Amazonas, ha liquidato la questione evidenziando come tra i carcerati rimasti uccisi nel massacro (tra cui anche molti detenuti non appartenenti ad alcuna delle fazioni in campo) non ci fossero di certo dei santi, mentre Bruno Júlio, esponente del Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb), ha auspicato una strage del genere alla settimana. Il deputato Major Olimpio, anch'esso del Partido do movimento democrático brasileiro, il partito del presidente Michel Temer, ha scritto su facebook che un massacro del genere dovrebbe accadere anche a Bangú, il penitenziario di Rio de Janeiro. Dichiarazioni del genere non fanno altro che aumentare nella società brasiliana l'idea dei detenuti come rifiuti della società, ma, a fronte di ulteriori spese per la costruzione di nuove carceri, come ordinato dallo sceriffo Temer, è evidente che non saranno alcuni penitenziari in più a risolvere l'incandescente situazione carceraria brasiliana.

Sull'emergenza carceraria il presidente Temer, che non si è nemmeno recato nei luoghi dove sono avvenuti gli ultimi massacri, rischia di giocarsi anticipatamente il Planalto. La giudice Carmen Lucia Antunes, alla guida del Supremo Tribunale Federale, non solo ha scelto la strada di accelerare la scarcerazione dei detenuti ancora in attesa del giudizio, ma sta varando un piano per diminuire la popolazione carceraria brasiliana e ha ordinato un'indagine per capire quanti e quali sono i reclusi sottoposti a tortura o privati illegalmente della libertà nei penitenziari di tutto il paese. Qualcuno sostiene che potrebbe essere la stessa Carmen Lucia Antunes a sostituire Temer al Planalto fino alle nuove elezioni, data l'incapacità del presidente e del suo governo di risolvere la situazione. Solo pochi giorni fa, proprio dal Planalto, insistevano ancora nello smentire che in Brasile sia in corso una guerra tra bande criminali per il controllo del traffico di droga, ma è evidente che la situazione è tutt'altra. Non a caso, quattro giorni dopo il massacro di Manaus è arrivata la vendetta del Primeiro Comando da Capital, che, in un penitenziario dello stato di Roraima, ha fatto una strage di detenuti appartenenti alla Família do Norte. Rischia di giocarsi la candidatura alla presidenza anche Geraldo Alckmin (Partido da Social Democracia Brasileira), governatore di San Paolo, che continua a smentire la presenza nel suo stato di cellule dormienti del Primeiro Comando da Capital (Pcc), pronte a scatenare operazioni di vera e propria guerriglia urbana. L'ultima volta che il Pcc provocò un'offensiva di questo tipo fu nel 2006, quando a San Paolo rimasero uccise più di 600 persone.

La rottura del patto di non belligeranza tra Primeiro Comando da Capital e Comando Vermelho potrebbe rappresentare un'ulteriore fattore di instabilità in un Brasile amministrato da golpisti e faccendieri al potere grazie anche alla crisi di rappresentanza derivante dal declino del Partido dos Trabalhadores.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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