Latina

La vera storia della repubblica delle banane

Recensione al libro di Francesco Serino (Mursia, 2017) dedicato al colpo di stato compiuto dalla Cia in Guatemala nel 1954 per rovesciare il presidente Árbenz
18 giugno 2018
David Lifodi

copertina La vera storia della repubblica delle banane

Oggi come ieri il Guatemala è una repubblica delle banane, attualmente nelle mani di un ex comico razzista, fascista e corrotto quale è Jimmy Morales , ma anche in passato amministrata da militari genocidi e vassalli dell'impero della peggior specie. Il paese visse la sua primavera tra il 1951 e il 1954, gli anni della presidenza di Jacobo Árbenz, il cui fantoccio, sbeffeggiato dai suoi oppositori con al collo una scritta in cui si richiamavano i suoi presunti legami con Mosca, è riprodotto nella foto in copertina del libro La vera storia della repubblica delle banane, che Francesco Serino dedica al racconto del colpo di stato messo a segno da Cia e United Fruit Company in Guatemala.

Il Guatemala del XXI secolo è un paese poverissimo, dove gli indigeni, nonostante siano in gran maggioranza in quella che, non a caso, è conosciuta come "la terra dei maya", sono considerati alla stregua delle bestie e questa piccola repubblica centroamericana è ritenuta dalle multinazionali come una sorta di vero e proprio supermarket delle risorse naturali. Ieri c'era la United Fruit Company, oggi Dole e Del Monte, per rimanere nel settore bananiero, senza contare le imprese dedite alla costruzione delle centrali idroelettriche e delle miniere a cielo aperto che costringono le comunità indigene a trasformarsi in sfollati ambientali. La premessa, dal titolo assai appropriato "Oggi come ieri", sottolinea come le multinazionali, "oggi come in passato, optano per comportamenti ai limiti dell'autoritarismo, utilizzando potere prettamente politico e <lasciapassare> come le compensazioni economiche – o più semplicemente la corruzione, in favore delle autorità e dei governi locali per portare avanti specifici piani industriali".

Francesco Serino racconta nel dettaglio la rivoluzione del 1944, che portò alla caduta di Ubico e alla presidenza del paese Juan José Arévalo Bermejo, il primo mandatario democratico alla guida del Guatemala che si autodefiniva un "socialista spirituale", si dichiarava convinto sostenitore dell'unità dell'America centrale e perorava con urgenza una maggiore indipendenza economica del paese dagli Stati uniti. Ai giorni nostri, come del resto allora, ogni anelito di libertà proveniente dal "cortile di casa" degli Stati uniti era visto con terrore non solo dalla Casa bianca, ma anche dalle multinazionali, a partire da quella United Fruit Company (poi trasformatasi in Chiquita) che all'inizio del Novecento aveva espropriato circa un milione di ettari di terreno identificato come "proprietà indigena" e imponeva, sotto Cabrera prima e Ubico poi, l'abolizione dell'autonomia dei municipi locali nelle mani degli indios e la sostituzione dei sindaci provenienti dalle comunità indigene con funzionari nominati dal governo.

Quando Jacobo Árbenz giunse alla presidenza del paese si pose come obiettivo principale quello di migliorare il tenore di vita delle masse contadine e tutto ciò impensierì ancora di più la United Fruit Company che alla fine degli anni Quaranta, come sottolinea Serino, "possedeva il 25% delle terre coltivabili del Centroamerica, oltre settantamila capi di bestiame, 2.400 chilometri di linee ferroviarie, reti telefoniche e telegrafiche, radio e impianti in ogni porto dei Caraibi". In pratica, Árbenz aveva a che fare con una sorta di stato nello stato, pronto a contestare ogni suo minimo tentativo di mettere in discussione la concentrazione della terra e del potere, senza contare che la sua vicinanza con il Partido Guatemalteco del Trabajo, fino a pochi anni prima costretto quasi alla clandestinità, assunse legittimità politica, per quanto non avesse certo la struttura dei partiti comunisti presenti in altri paesi latinoamericani.

Nonostante Árbenz non avesse alcuna intenzione di gettare le basi per uno stato di ispirazione socialista, come avrebbe fatto Castro a Cuba nel 1959, le trame che scatenarono il golpe non furono troppo diverse da quelle attuali, che hanno condotto ai recenti colpi di stato in Honduras, Paraguay, Brasile e ai molteplici tentativi di destabilizzazione in altri paesi sudamericani, dalla transnazionale di turno (in questo caso la United Fruit Company) ad una stampa che fece di tutto per convincere l'opinione pubblica dell'urgenza di un intervento per scongiurare un peraltro improbabile rischio che il marxismo giungesse al potere in Guatemala.

Basterebbe cambiare solo i nomi dei protagonisti di allora per capire come le tecniche di contrainsurgencia di allora sono le stesse di 64 anni fa.

La vera storia della repubblica delle banane

di Francesco Serino

Mursia, 2017

€ 16

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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