Latina

Lo scorso luglio inflitte condanne tra i 5 e i 7 anni di carcere a 23 attivisti che avevano partecipato alle Jornadas de Junho del 2013 contro le grandi opere legate ai mondiali di calcio del 2014 e alle Olimpiadi del 2016

Brasile: persecuzione giudiziaria contro le organizzazioni popolari

Per condannare i militanti è stata utilizzata la “delazione premiata” e l’infiltrazione degli agenti all’interno dei movimenti sociali
12 settembre 2018
David Lifodi

#euapoioos23

La recente conferma della condanna nei confronti di Lula, che impedirà all’ex presidente brasiliano di presentarsi alle elezioni del prossimo 7 ottobre (sarà sostituito da Fernando Haddad) e l’accoltellamento del leader dell’estrema destra Jair Bolsonaro (a cui è seguita una campagna vergognosa volta a dimostrare che l’attentatore era militante attivo prima del Partido Socialismo e Liberdade e poi del Partido dos Trabalhadores) hanno fatto sparire dai giornali il caso dei 23 attivisti a cui sono state inflitte pene tra i 5 e i 7 anni di carcere per i disordini legati alle cosiddette Jornadas de Junho del 2013, quando il Brasile fu attraversato da un’ondata di manifestazioni di protesta contro lo svolgimento della Coppa del mondo, che si sarebbe tenuta nel 2014, e le Olimpiadi in programma nel 2016 a Rio de Janeiro. Vi parteciparono, in tutto il paese, oltre un milione e mezzo di persone.

A far scoppiare la scintilla fu l’aumento del prezzo del biglietto degli autobus, contro il quale, non da allora, già si batteva il Movimento Passe Livre, da sempre impegnato a sostenere la gratuità del trasporto pubblico. Pian piano, a scendere in piazza, fu tutta la sinistra sociale brasiliana, a partire dai movimenti urbani, dai Sem Teto fino al Movimento Nacional de luta pela moradia, che contestavano gli sgomberi delle occupazioni a scopo abitativo e delle fasce sociali più povere del paese ad opera del governo petista per far posto ad infrastrutture ritenute necessarie per mondiali di calcio e Olimpiadi. Il governo non seppe dare un segnale chiaro, agì in maniera repressiva e la destra fu brava ad infiltrarsi negli scontri che per molti giorni incendiarono le principali città brasiliane: il loro scopo era quello di farla finita con il petismo, come dimostrarono le mobilitazioni del biennio 2015-2016, di ispirazione apertamente conservatrice (nel migliore dei casi).

Rio de Janeiro fu la città dove si verificò il maggior numero di episodi di violenza, soprattutto per la spropositata reazione della polizia, che riuscì ad infiltrare anche alcuni dei suoi uomini all’interno dei movimenti sociali. A pagare furono 23 attivisti (tra cui 7 donne e anche alcuni minori), processati nello scorso mese di luglio. L’accanimento nei loro confronti rappresenta un avvertimento di stampo mafioso a tutti coloro che ancora manifestano per chiedere la libertà di Lula, oltre ad emettere un chiaro segnale di criminalizzazione dei movimenti sociali, del dissenso e contro il diritto a manifestare. A sostenere questa tesi, tra gli altri, vi è l’avvocata Eloisa Samy, anch’essa condannata a 7 anni dal giudice Flávio Itabaiana.  Nel corso delle Jornadas de Junho la donna si trovava in strada per prestare assistenza ai giovani fermati dalla polizia o vittime degli abusi compiuti dagli stessi militari nelle ore successive all’arresto. Arrestata a sua volta, oggi sostiene che la battaglia dei 23 indagati continuerà per dimostrare la propria innocenza, ma evidenzia che l’intento di questo processo è quello di intimidire le organizzazioni popolari impegnate a chiedere la liberazione di Lula e che fino a pochi giorni fa hanno continuato a riempire le piazze e le strade del paese.

Sui 23 indagati pendono accuse pesanti, a partire da quella di associazione armata, mentre non si parla né delle motivazioni che avevano spinto i giovani a manifestare (la battaglia per il trasporto gratuito si era presto trasformata in una serie di rivendicazioni per il diritto all’istruzione, alla salute e contro il furto dei beni pubblici operato dall’allora governatore dello stato di Rio de Janeiro Sérgio Cabral, poi condannato nell’ambito dell’Operação Lava Jato, la stessa per la quale è stato incriminato Lula) né dell’eccessivo utilizzo della forza da parte dei militari. Inoltre, il processo ai 23 è stato caratterizzato da una serie di abusi e illegalità, per questo è ancora in corso la campagna Não è só pelos 23, è por todos que lutam. Contro i movimenti che erano scesi in piazza in Brasile, ma soprattutto a Rio, è in corso infatti una vera e propria caccia alle streghe.

Gli attivisti condannati appartenevano principalmente ai movimenti di lotta fluminense Ocupa Cabral e Ocupa Câmara e la persecuzione giudiziaria nei loro confronti deriva soltanto dalla volontà di criminalizzare il diritto a manifestare. Di prove certe non ce ne sono, anzi, e molti sono pronti a mettere in discussione le pseudo testimonianze offerte da tre persone la cui imparzialità è davvero poco credibile, a partire dalla delazione di un ex esponente del movimento poi cacciato e passando dalle dichiarazioni di due poliziotti infiltrati nelle organizzazioni popolari, di cui uno è l’agente Maurício Alves da Silva, in servizio presso la Força Nacional e che aveva il compito di passare tutte le informazioni al Centro Integrado de Comando e Controle. Questo caso, peraltro, è assai simile a quello di 18 attivisti del Centro Cultural São Paulo arrestati in circostanze simili a quelle in cui sono coinvolti i 23 e, anche in quel caso, vi fu un infiltrato, il maggiore Willian Pina Botelho, all’interno del movimento.

Il processo ai 23, nel quale anche il Partido dos Trabalhadores ha delle responsabilità poiché battezzò tutti i manifestanti come persone assoldate dalla destra, è stato fortemente contestato anche dagli avvocati di Artigo 19 e dall’associazione Justiça Global per una serie evidente di irregolarità, tra cui l’utilizzo della delazione premiata. Accusati di associazione per delinquere, i 23 rispondono che i veri crimini sono aumentare le tariffe del trasporto pubblico, ghettizzare gli abitanti delle favelas e perseguitare i movimenti di lotta per la casa. “Lutar não è crime”, ribadiscono. “Fascistas, hoje e sempre:  não passarão. Viva as jornadas de junho de 2013!”

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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