Perù: muore suicida l’ex presidente Alan García
Tutto ciò avviene in un momento di forte turbolenza politica ed economica del Perù, con l’attuale presidente Vizcarra in caduta libera nel gradimento e giunto ad un punto di non ritorno che, secondo molti, non si esaurirà con la sconfitta del cosiddetto “aprofujimorismo”. Gli ultimi presidenti nella storia del Perù sono finiti tutti sotto inchiesta per corruzione o altre vicende. Alberto Fujimori, alla guida del paese dal 1990 al 2000, si trova in carcere, condannato a 25 anni per crimini contro l’umanità, furto e corruzione. Alejandro Toledo, per il momento, ha trovato rifugio negli Stati uniti e si augura che Trump non decida di rispedirlo in patria con un mandato di estradizione. Quanto a Ollanta Humala e Kuczynski, anch’essi sono in carcere. Nel frattempo, Vizcarra si trova a fare i conti con numerose rinunce dei suoi ministri, centinaia di conflitti sociali in corso ed una serie di misure antipopolari che, insieme alla carcerazione della figlia di Fujimori, Keiko (36 mesi, anch’essa coinvolta nello scandalo Odebrecht), non sono riusciti a fargli recuperare terreno, anzi.
È in questo contesto che è maturato il suicidio di Garcia, il quale si porterà nella tomba molti segreti legati al caso Odebrecht, a partire dal traffico di influenze e dal riciclaggio del denaro sporco a proposito della costruzione della linea 1 della metro di Lima, nella quale sono coinvolti anche il ministro dei trasporti dell’ex presidente Enrique Cornejo e l’ex direttore dell’Aate (Autoridad Autónoma del Tren Elèctrico) Oswaldo Plascencia. Alan García è stato incastrato proprio da Marcelo Odebrecht, ex ceo della multinazionale brasiliana che, in occasione di un interrogatorio con gli inquirenti peruviani a Curitiba (Brasile) ha confermato che la sigla “AG” sulla rubrica del suo cellulare si riferisse proprio al presidente peruviano, il quale fino ad allora aveva giurato di non aver avuto alcun tipo di contatto con lo stesso Odebrecht.
Sempre Garcia aveva negato di esser stato contattato da Odebrecht per un ciclo di conferenze e difeso le modalità con le quali la ong della sua ex moglie Pilar Nores era stata finanziata dal 2006 al 2010 ancora da Odebrecht, oltre a dirsi convinto di meritare un posto nella storia del Perù. Ad Alan García era stato proibito di uscire dal paese fin dallo scorso novembre, ma anche Ollanta Humala (presidente dal 2011 al 2016) e Kuczynski (alla guida del paese fino all’avvento di Vizcarra) sono in carcere a loro volta per legami pericolosi con Odebrecht.
Se García riteneva di aver diritto ad essere ricordato tra i presidenti del Perù, di certo i suoi connazionali non hanno dimenticato come aveva lasciato il suo paese dopo il primo mandato, concluso nel 1990 con un’iperinflazione che aveva ridotto in miseria il paese. Inoltre, ancora García si distinse per una repressione durissima contro la guerriglia di Sendero Luminoso che poi culminò nel decennio fujimorista, quando il suo successore Alberto “el Chino” Fujimori, con la scusa di sconfiggere la lotta armata, perseguitò tutte le organizzazioni sociali, indigene e contadine. García tornò alla presidenza del paese nel 2006 e gettò definitivamente la maschera. Se durante i primi cinque anni della sua presidenza, almeno agli inizi, sembrava avere un’impronta timidamente progressista, tanto da aderire all’Internazionale socialista, nel suo secondo mandato fu ampiamente sostenuto dal Fondo monetario internazionale, dalle destre, dal fujimorismo e dalle grandi imprese.
Attualmente l’intero Perù è scosso non solo per il suicidio di García, ma per la corruzione dilagante soprattutto tra le più alte cariche del paese, mentre aumentano i casi di femminicidio, i licenziamenti, la povertà e la mano dura contro le organizzazioni popolari.
García passerà alla storia come il primo ex presidente sudamericano a morire suicida nel XXI secolo, mentre per il Perù non si intravede una rapida uscita dalla crisi politico-economica in cui si dibatte.
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