Latina

L'uomo nero del Planalto vuol chiudere il Congresso

Brasile: Bolsonaro tenta la spallata autoritaria

Il 15 marzo estrema destra in piazza per sostenere i militari e l'attacco alle istituzioni
4 marzo 2020
David Lifodi

Bolsonaro vuole un autogolpe

Sull’onda di quanto accaduto in El Salvador, anche il Brasile potrebbe scegliere la strada dell’autogolpe tramite una sorta di crisi istituzionale pilotata. Resta solo da capire quale sarà il ruolo dei militari: condivideranno acriticamente la deriva autoritaria di Bolsonaro o si smarcheranno dall’uomo nero? Ciò che è certo è che la paventata chiusura del Congresso e del Supremo Tribunale Federale sembra trovare d’accordo tutta l’estrema destra verdeoro.

È ancora Whatsapp lo strumento che, dopo aver giocato un ruolo determinante nel favorire l’arrivo di Bolsonaro al Planalto, certifica un ulteriore scivolamento a destra del paese. È stato il presidente in persona a condividere sull'applicazione di messaggistica istantanea più utilizzata in tutto il mondo, assicurandone di fatto l’endorsement, la manifestazione dell’ultradestra brasiliana che, il prossimo 15 marzo, scenderà in piazza per chiedere a gran voce la chiusura del Congresso. Nel video che incita a disfarsi del Congresso vi è una summa dei principali passaggi politici di Bolsonaro, compresa la coltellata ricevuta in campagna elettorale da uno squilibrato a cui fu subito attribuita la militanza nel Psol (partido Socialismo e Liberdade) e che di certo spostò verso il messia nero un altro bel gruzzolo di voti. Quanto ai generali Augusto Heleno ed Hamilton Mourão, non hanno perso tempo ad appoggiare i contenuti della protesta di piazza.

Le istituzioni brasiliane, per ora, di fronte all’ennesimo attacco alla democrazia hanno nicchiato ed il motivo è facilmente intuibile. Rodrigo Maia, presidente della Camera dei deputati (partito Demócratas, orientamento conservatore), Dias Tofolli (presidente del Supremo Tribunale Federale) e David Alcolumbre, presidente del Senato e del Congresso (anch’esso del partito Demócratas) condividono le politiche economiche del ministro dell'Economia Paulo Guedes, volte ad attaccare i diritti civili, politici e sociali conquistati a seguito di dure lotte.

Ancora una volta, i movimenti sociali, la società civile e le organizzazioni popolari si trovano di fronte ad una sfida molto impegnativa, quella di costruire un argine di fronte al bolsonarismo dilagante. Lo sciopero dei lavoratori petrolchimici per protestare contro i licenziamenti collettivi senza averne prima discusso con i sindacati ha rappresentato una prima, significativa, risposta. Si parla, inoltre, di dar vita ad un fronte comune di partiti, movimenti, sindacati e di tutti coloro che si riconoscono nei valori democratici in occasione dell’8 e del 14 marzo, il giorno prima della manifestazione convocata dall’estrema destra, sull'esempio del Frente Brasil Popular sorto durante la campagna elettorale per le presidenziali che poi hanno sancito la vittoria di Bolsonaro.

La deriva fascista del Brasile sembra molto simile a quella del Cile pinochetttista, al quale il ministro Guedes ha sempre dichiarato pubblicamente di volersi ispirare e, del resto, è lo stesso presidente il primo a ritenere il Congresso un intralcio alla sua opera di devastazione sociale e ambientale del paese, basti pensare al Pl 191/20 che, di fatto, legalizza la costruzione di nuove dighe, miniere e l’utilizzo di semi transgenici nei territori indigeni, come se non fosse già stata abbastanza sufficiente la costante pressione della lobby agraria la quale, nel corso degli anni, ha permesso che soltanto poco più di 1/3 delle aree da assegnare agli indios previste dalla Costituzione del 1988 fossero realmente attribuite alle comunità.

L’ulteriore militarizzazione del paese, per adesso, passa attraverso la nuova riforma di gabinetto che attribuisce maggior potere al generale Augusto Heleno, alla guida della sicurezza istituzionale e noto per i massacri compiuti dai suoi uomini in occasione dell’occupazione di Haiti sotto l’egida dell’Onu. Solo pochi giorni fa è stato proprio Heleno ad invitare i parlamentari “a fottersi”. Il militare non sapeva di essere registrato, ma anche questa sua volgare esternazione ha rappresentato un nuovo spot per la manifestazione del 15 marzo. Alla Casa civile andrà Walter Braga, finora a capo dello stato maggiore dell’esercito e agli affari strategici l’ammiraglio Flávio Rocha. Nove dei ventidue ministeri sono occupati dai militari, ma in tutto il governo sono circa 2.500 gli esponenti delle Forze armate a ricoprire incarichi di vario tipo, molti di più perfino rispetto all’epoca della dittatura militare.

In uno scenario caratterizzato da una crisi economica e sociale, con milioni di disoccupati e pensionati abbandonati a se stessi, lo scorso 9 febbraio le forze di sicurezza dello stato di Bahía hanno ucciso Adriano da Nóbrega, detto "Capitán Adriano" perché ex capitano della polizia militare di Rio de Janeiro fino al 2014 e passato poi al gruppo di sicari denominato Officina della morte. Indicato, tra le altre cose, come uno dei responsabili dell’omicidio di Marielle Franco, Adriano da Nóbrega è stato ucciso pochi giorni prima della riforma di gabinetto voluta da Bolsonaro, con la cui famiglia, come è noto, il sicario da tempo intratteneva rapporti. Molto probabilmente l’uomo è stato ucciso perché non svelasse tutto ciò che sapeva sulla famiglia del presidente e in quanto testimone chiave dell'assassinio di Marielle e del suo autista, avvenuta il 14 marzo 2018.

Con l’arrivo di Bolsonaro al Planalto, le forze armate si sono trasformate di nuovo nel punto di riferimento per le classi dominanti, come una garanzia contro il ritorno al governo del Pt e strumento di difesa contro l’attivismo dei movimenti sociali. Oggi Bolsonaro, se davvero chiuderà il Congresso, sa bene che provocherà una crisi istituzionale da cui uscirà con un potere assoluto in un paese dove i militari non hanno mai fatto una pubblica ammenda per quanto accaduto sotto la dittatura del periodo 1964-1985. C’è da chiedersi come mai nessuno denunci il rischio concreto di chiusura del Congresso in Brasile, mentre in Venezuela, ogni dichiarazione o atto di Maduro viene immediatamente e sistematicamente messo in discussione a prescindere con prese di posizione a livello internazionale.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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