Colombia: narcotraffico e oligarchie dietro l’attentato contro Turbay?
Sul quotidiano il manifesto Claudia Fanti ha ricordato che Miguel Uribe Turbay era uno tra i più fieri oppositori al processo di pace su cui sta scommettendo, pur con molte difficoltà e alcune contraddizioni, il governo di Gustavo Petro, finito nel mirino delle destre con l’accusa, quantomeno fantasiosa, di aver in qualche modo aperto la strada al giovanissimo attentatore che, peraltro, almeno finora, non ha dato alcuna motivazione al suo gesto, pur avendo ammesso di esser stato pagato da qualcuno per compiere il suo gesto.
Pochi giorni prima degli spari contro Miguel Uribe Turbay, condannati subito con fermezza dal presidente colombiano, i due avevano dato vita ad un durissimo scontro su X. Da un lato, il senatore del Centro Democrático era tornato ad imputare a Petro la sua, ormai lontanissima, militanza tra le fila della guerriglia dell’M-19, dall’altra lo stesso Petro aveva risposto ricordando a Uribe Turbay di essere nipote di un presidente, Julio César Turbay Ayala, che tra il 1978 e il 1982, aveva ordinato la tortura di diecimila colombiani.
La sparatoria contro Miguel Uribe Turbay, avvenuta in un parco pubblico della capitale durante un evento elettorale, nonostante manchi ancora un anno alle votazioni per eleggere il nuovo inquilino di Palacio Nariño, ha scioccato il paese, soprattutto perché un video, divenuto subito virale sui social, testimonia gli attimi in cui il senatore viene colpito. Sarebbe tuttavia errato pensare che il paese sia “di nuovo” piombato nella violenza politica perché, in pratica, non ne è mai uscito. Purtroppo il processo di pace arranca, sia sul versante dei gruppi armati paramilitari di estrema destra sia su quello della guerriglia elenista e dei gruppi dissidenti delle Farc, mentre non passa settimana senza che i movimenti sociali, indigeni o contadini non piangano qualche leader sociale assassinato.
Solo nei primi quattro mesi del 2025 sono stati uccisi 34 leader politici e, nel 2024, sono caduti sotto i colpi di armi da fuoco ben 265 lottatori sociali. I responsabili hanno goduto delle più completa impunità. Non si tratta più di un problema definibile semplicemente come “di sicurezza”, ma di una strategia di potere ben precisa, volta a reprimere soprattutto quei territori dove la società civile si autoorganizza, a partire da regioni quali Cauca, Chocó e Catatumbo, storicamente tra le più abbandonate dallo Stato.
Nonostante tutto questo, con una notevole faccia tosta, il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha definito l’attentato come «una minaccia diretta alla democrazia e il risultato della retorica violenta della sinistra che proviene dai più alti livelli del governo colombiano», fingendo di ignorare che l’arma da fuoco utilizzata contro Miguel Uribe Turbay dal quindicenne era stata acquistata proprio negli Stati Uniti, precisamente in Arizona.
E ancora, come nota acutamente su Il Fatto quotidiano il latinoamericanista Diego Battistessa, “sono emerse ipotesi inquietanti su una possibile manovra interna da parte di settori conservatori volta a strumentalizzare l’attacco, mobilitare l’elettorato di destra e rilanciare la retorica anticomunista in un paese fortemente polarizzato”. Questa stessa ipotesi è stata rilanciata anche da quotidiani e siti web colombiani di controinformazione, i quali hanno ricordato come lo stesso Uribe Turbay non solo non fosse nemmeno un candidato ufficiale delle destre, ma anche poco apprezzato anche dai suoi stessi compagni del Centro Democrático. Da tempo Maria Fernanda Cabal e Paloma Valencia, a loro volta esponenti di spicco dell’ultradestra, accusano il senatore di giocare sporco per ridurre le loro correnti in minoranza all’interno del partito.
Si parla anche della possibilità che l’attentato sia stato in qualche orchestrato dallo stesso Centro Democratico per portare maggior visibilità e consensi al partito fondato dall’ex presidente Álvaro Uribe di cui, peraltro, il senatore non è parente.
Intanto, l’avvocato della famiglia di Uribe Turbay ha denunciato Augusto Rodríguez, direttore dell’Unidad Nacional de Protección, per non averlo protetto a sufficienza durante l’evento elettorale conclusosi con la sparatoria contro di lui. Nel 2023 il senatore risultava in effetti tra le persone ad alto rischio. Tuttavia, se Rodríguez ha confermato l’insufficienza del sistema di protezione a tutela del senatore, composto da sette guardie di sicurezza e due veicoli blindati, il presidente Gustavo Petro ha fatto notare che il numero delle persone addette a proteggere il senatore si era inspiegabilmente ridotto a tre il giorno dell’evento.
Ancora Petro ha dichiarato che l’attentatore aveva partecipato al programma governativo Jóvenes de Paz per ridurre la delinquenza giovanile: da qui si è scatenata una vera e propria campagna mediatica, sempre sui social, da parte dei suoi detrattori. L’impressione è che dietro all’attentato contro il senatore si celino le oligarchie colombiane, legate al narcotraffico, che hanno percepito, da tempo, le molteplici difficoltà dell’esecutivo e stiano cercando ogni pretesto possibile per indebolirlo e arrivare alle presidenziali del 2026 in una posizione favorevole all’ultradestra.
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