Latina

L’inferno quotidiano del più piccolo paese dell’America centrale

Hell Salvador

Nonostante le detenzioni arbitrarie, le torture in carcere, il tentativo di silenziare giornalisti, attivisti e movimenti sociali l’anti-bukelismo non smobilita, ma rilancia all’insegna di un’opposizione coraggiosa e tenace.
27 luglio 2025
David Lifodi

Hell Salvador

Il recente sondaggio promosso dall’Instituto Universitario de Opinión Pública dell’Universidad Centroamericana José Simeón Cañas (UCA) non lascia spazio a dubbi: 48 salvadoregni su 100 temono che criticare pubblicamente il presidente Nayib Bukele o il suo governo possa costare l’arresto e la detenzione.

Si tratta di un timore tutt’altro che infondato: ogni giorno cresce il numero di leader sociali arrestati su ordine della magistratura filo-bukelista. Il caso più clamoroso riguarda Atilio Montalvo, 72enne ex dirigente del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional e tra i firmatari, nel 1992, degli accordi di pace che sancirono la fine della guerra civile e l’abbandono della lotta armata da parte della guerriglia nel più piccolo paese dell’America centrale. Insieme a lui è detenuto José Santos Melara, 69enne, anch’esso tra i promotori delle manifestazioni contro il bukelismo. Montalvo e Melara, divenuti obiettivi politici di Bukele, sono sospettati di aver progettato attentati dinamitardi contro il presidente e, per questo, la magistratura ne ha decretato l’arresto. Tra le attività che hanno infastidito maggiormente quello che non può essere definito in alcun altro modo se non un regime, i cortei di protesta contro la riforma delle pensioni, l’imposizione del bitcoin e dello stato d’assedio in ampie zone del paese.

L’arresto di Santos Melara e Montalvo rappresenta un evidente tentativo di intimorire l’Alianza por un El Salvador en Paz, la sigla sotto la quale si sono riuniti attivisti per i diritti umani, sindacalisti ed ex esponenti della guerriglia efemelista. Il Comité de Familiares de Presos Políticos de El Salvador ha ricordato i problemi di salute di entrambi i detenuti e ha fatto presente che le accuse nei confronti dei due attivisti sociali risultano essere del tutto inconsistenti. La notizia dei presunti attentati dinamitardi contro Bukele è stata infatti appresa “per sentito dire” da un testimone, ma è stata sufficiente per far si che Santos Melara e Montalvo si trovino ormai in carcere dal maggio 2024.

Purtroppo, non si tratta degli unici casi di persecuzione politica. L’avvocata Ruth López, impegnata anche sul fronte della difesa dei diritti umani, dopo 17 giorni di detenzione, iniziata lo scorso 18 maggio, ha dichiarato di trovarsi nello stato di “prigioniera politica”. La 47enne, a capo del gruppo di magistrati anticorruzione, coordinatrice delle indagini sul software di spionaggio Pegasus, utilizzato dal regime per tenere sotto controllo attivisti, giornalisti e oppositori che indagavano sull’inquinamento dell’acqua dovuta alla costruzione di una delle tante carceri di massima sicurezza e su episodi di corruzione che hanno coinvolto la cerchia più ristretta del bukelismo, ha invocato di essere sottoposta ad un processo pubblico. Bukele le imputa la spesa di fondi pubblici per fini personali.

Tra i primi a chiedere la liberazione di Ruth López quaranta avvocati latinoamericani attivatisi anche per rendere noto il caso di Ivania Cruz, anch’essa avvocata, costretta ad abbandonare, suo malgrado, il paese per aver difesa una comunità di desplazados e divulgato il caso di Fidel Zavala, un attivista che aveva denunciato la tortura sistematica nelle carceri salvadoregne. Zavala era stato arrestato lo scorso 25 febbraio e, dopo aver chiamato direttamente in causa il viceministro della Sicurezza Osiris Luna per gli abusi e le violenze degli agenti nei confronti dei carcerati, si è trovato, a sua volta, in un penitenziario.

Sul quotidiano El Faro, uno dei più rigorosi attendibili mezzi d’informazione non solo di El Salvador, ma dell’intera America latina, Angèlica Càrcamo si chiede cosa deve ancora accadere per spingere la comunità internazionale a riconoscere come dittatura la presidenza bukelista. Oggi il gioco di parole Hell Salvador, per quanto arguto, riflette in tutto e per tutto la definitiva svolta autoritaria di Bukele, caratterizzata dalla cooptazione dei poteri dello Stato e dalla persecuzione politica fino alla repressione dei movimenti sociali e alla censura dei media non allineati.

La classifica mondiale della libertà stampa colloca El Salvador al 135° posto della graduatoria su 180°. Prima dell’avvento del bukelismo il paese occupava una più onorevole 81° posizione. Testimoni di questa brutta posizione in graduatoria gli stessi giornalisti di El Faro, che più volte si sono scontrati con il bukelismo, soprattutto dopo aver diffuso le dichiarazioni di un ex pandillero che parlava apertamente di un patto stipulato tra il presidente e le pandillas per dare l’idea, di fronte all’opinione pubblica, di aver pacificato il paese.

La Mesa por el Derecho a Defender Derechos imputa al bukelismo 533 aggressioni contro giornalisti e attivisti per i diritti umani, ma, nonostante tutto, l’opposizione a quella che continua ad essere definita come “dittatura cool” esiste e resiste: il silenzio non è un’opzione.

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