E' allarme per i diritti delle donne in America Latina
Non accenna a migliorare la situazione delle donne in America Latina. Dopo il caso della città messicana di Ciudad Juarez, sembra essere il Guatemala il paese dove le donne sono ormai soggette ad una vera e propria uccisione mirata. Si tratta in gran parte di ragazze molto giovani, soprattutto in età compresa fra i 13 e 17 anni, ha affermato il sociologo guatemalteco Manfredo Marroquin in un'intervista rilasciata alcuni giorni fa al quotidiano "Il Manifesto". In particolare Marroquin indica nelle cosiddette maras (bande di giovani), di cui spesso le ragazze stesse fanno parte, una delle principali cause della loro desapariciòn e, successivamente, dell'uccisione. In una società come quella guatemalteca in cui le istituzioni non riescono a porre un freno a questa inquietante serie di omicidi, le maras finiscono per rappresentare uno dei principali problemi dei paesi centroamericani, tanto che il "piano Escoba", un insieme di misure repressive varato dal governo di Città del Guatemala, non è stato in grado di risolvere questa situazione e nel corso di tutto il 2004 sono state uccise ben 500 donne.
Ancora sconosciute alla fine degli anni '80 l'M18 e l'Ms sono le due maras maggiormente attive in El Salvador e Guatemala, dove oltre allo spaccio di droga e al racket esercitato sui commercianti, si dedicano principalmente alla guerra tra di loro per la difesa del territorio di appartenenza in una sorta di battaglia all'ultimo sangue senza "una qualsiasi giustificazione razziale, religiosa e ideologica, ma implacabile agli occhi dei suoi membri e alla base della legittimità della banda", come aveva già sottolineato Le Monde Diplomatique in un suo reportage di alcuni mesi fa.
L'accanimento contro le donne, che il sociologo Marroquin individua nel "retaggio di una cultura maschilista e delle sanguinose guerre civili", non è però proprio solo dei paesi centroamericani come il Guatemala, El Salvador, Nicaragua e Honduras, dove le maras sono maggiormente diffuse.
In Perù è addirittura emersa una strategia di sterilizzazione forzata diretta contro le donne indigene con lo scopo dichiarato di ridurre il numero delle nascite tra i settori più poveri del paese, a partire dal periodo in cui era al governo Fujimori, la cui responsabilità diretta è accertata da tutta una serie di documenti ufficiali. La strategia, mascherata sotto il nome di "Programma Sanitario di Pianificazione Nazionale", veniva applicata tramite minacce e ricatti verso le donne e presentato al tempo stesso all'esterno come una soluzione logica secondo la quale la riduzione delle nascite per donna era il modo più logico per ridurre la povertà, tanto da spacciarlo come una possibilità concessa alle indigene per scegliere una maternità responsabile. Il Rapporto Finale su questa vera e propria pulizia etnica ai danni della popolazione indigena non ha interessato solo aspetti della vita economica e sociale, ma in particolare quello demografico tanto che l'ex presidente Fujimori e i ministri della salute che si sono succeduti sotto la sua presidenza sono stati accusati di genocidio e crimini contro l'umanità.
Da entrambi gli avvenimenti emerge un dato comune: che si tratti della sierra andina o delle bidonville del Guatemala, a pagare per questi veri e propri crimini sono sempre gli strati sociali più disagiati, in particolare le donne.
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