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Il dramma dei rifugiati senza un tetto

5 settembre 2005
Cinzia Gubbini
Fonte: www.ilmanifesto.it - 28 agosto 2005

In questi giorni a Roma, nella centralissima Porta Maggiore, turisti e autoctoni hanno fatto i conti con una scena impressionante: un gruppo di tende, piazzate in mezzo a un marciapiede, dentro cui dormivano famiglie africane. Etiopi, per la precisione. Poco più in là, alla fine di una strada famosa nella capitale per ospitare un frequentatissimo mercato, via Sannio, da qualche settimana è nata un'occupazione spontanea di una casa abbandonata. «Siamo rifugiati», dice un cartello appeso sul cancello, tra una bandiera italiana e una bandiera arcobaleno. Gli occupanti sono anche loro per la maggior parte etiopi. Quella casa non ha corrente elettrica, e nemmeno l'acqua. Ci vivono intere famiglie. Una situazione potenzialmente pericolosa, non è neanche il caso di sottolinearlo. E non è l'unica. Ma loro rispondono che è sempre meglio che vivere per strada. Eppure tutti in quella casa hanno in tasca il tesserino blu che in Italia viene dato alle persone che vengono riconosciute rifugiate in base alla Convenzione di Ginevra. Un tesserino ambitissimo, quello. Perché l'Italia detiene la maglia nera in Europa in materia di rifugiati: nel 2003 solo 555 persone hanno ricevuto lo status di rifugiato. Ma allora, quale tipo di protezione viene proposta a queste poche persone che, dopo accuratissimi controlli, riescono a dimostrare di aver subìto nel proprio paese una persecuzione personale? La risposta è: nessuna. E così i rifugiati finiscono per ingrossare la massa variegata e multietnica (italiani compresi, ovviamente) che rappresenta un vero bubbone nazionale: l'emergenza casa. Cosicché lo stato riconosce un diritto a una persona, ma poi i bisogni di quella persona ricadono sulle spalle degli enti locali.

Per la verità un circuito di accoglienza esiste, e si chiama Piano nazionale asilo (Pna). Nato sotto il governo di centrosinistra coinvolge circa 90 comuni, è stato istituzionalizzato con la legge Bossi-Fini, che ha previsto un apposito fondo (nonostante una parte dei comuni aderenti continui a campare dei finanziamenti straordinari dell'otto per mille). Eppure, in quattro anni di vita i posti letto disponibili in tutto il paese non hanno mai superato la soglia dei 2.200. Un numero da sempre insufficiente. Senza contare che, per la precisione, il Pna è nato per dare accoglienza non ai rifugiati ma ai richiedenti asilo.

Ora però per i richiedenti asilo sono stati previsti ben altri tetti: quelli dei centri di identificazione, che - al contrario delle case - sono stati costruiti in fretta e furia. I posti del Pna verranno assegnati ai rifugiati? Non si sa, la discussione deve ancora essere avviata. Ma non fa ben sperare la ratifica della direttiva sugli standard minimi di accoglienza che è stata pubblicata in Gazzetta a fine luglio e diventerà operativa a ottobre. Nonostante gli standard dettati dall'Europa siano letteralmente minimi, l'Italia ha scelto di interpretarla in senso ancora più restrittivo. Addirittura alcuni interventi sono stati del tutto cancellati, come quelli a favore delle vittime di tortura. L'Associazione nazionale dei comuni si è già dichiarata preoccupata.

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