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Sardegna, nuova porta dei migranti africani

Quest'anno è stato «boom» di sbarchi sull'isola. In Algeria, da dove partono, li chiamano «harraga», bruciatori di strade. In Italia finiscono a Porto Pino, vicino alla base militare. I sindaci sardi ora chiedono aiuto a Roma. Ma il presidente dell'Associazione dei Comuni precisa: «Non vogliamo un centro di permanenza temporanea»
23 agosto 2007
Costantino Cossu
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Dall'antica Ippona, che oggi si chiama Annaba, sono centoventicinque le miglia marine da percorrere per raggiungere, dall'Algeria, la costa sud-occidentale della Sardegna. Un passo breve, oltre il quale un esercito di migranti cerca le porte del paradiso, la salvezza dalla fame e dalle guerre. I barchini di legno e di vetroresina carichi di disperati approdano a Porto Pino, un lungo arenile di sabbia bianchissima e sottile, cinto dal verde di una pineta. Davvero un paradiso, d'inverno quasi sempre chiuso perché sta dentro la base di Capo Teulada, e sulla battigia battono le chiglie dei mezzi delle marine militari dei paesi Nato che si esercitano allo sbarco su terre nemiche.
D'estate, invece, ci si può prendere il sole, a Porto Pino; dallo scorso anno è aperto persino un campeggio. E così capita che i clandestini di Annaba, gli «harraga» («bruciatori di strade») come li chiamano in Algeria, concludano il loro viaggio tra bagnanti e turisti. Da giugno ne arrivano ormai ogni giorno, a piccoli gruppi: venti, cinquanta, cento. In genere vengono bloccati prima, al largo, dalla Guardia costiera e dalla Finanza. Sono affamati e disidratati per il sole e la sete patita durante la traversata. Vengono portati da polizia e carabinieri a Carbonia, a Iglesias, a Sant'Anna Arresi e a Sant'Antioco per un pasto caldo e una visita medica. Dopo Lampedusa, la «porta» sarda è ormai il principale canale d'ingresso dell'immigrazione africana in Italia.
Per capire che cosa sta accadendo bisogna spostarsi dalle spiagge candide della Sardegna alle cale algerine che punteggiano la costa tra Annaba a Banzart (Biserta, un tempo): Sidi Salem, Ain Achir, Rafès Zahouane, Cape Rosa. Da qui partono i barchini, gusci di noce di appena quattro-cinque metri con motori da venti cavalli. Chi sale su quelle barche e perché? Molti sono algerini, che cercano di lasciare il loro paese per trovare altrove condizioni di vita migliori. Ma altrettanti migranti si imbarcano dopo un lungo viaggio per terra che li ha portati sulle coste algerine dal Marocco, dal Mali, dal Niger e dal Sudan. L'Algeria, quindi, come sbocco verso l'Europa di un flusso migratorio originato dal malessere economico e sociale non solo dell'area nord africana ma anche di quella subsahariana. Immensi territori impoveriti da processi globali che gettano popolazioni intere nella miseria, spesso con l'aggravante di sanguinosi conflitti armati.
Chi fugge dall'inferno sino a qualche anno fa cercava di raggiungere le coste europee attraverso Gibilterra. Alla rocca si accedeva imbarcandosi clandestinamente a Melilla e soprattutto a Ceuta, le due enclave spagnole in territorio marocchino. Ma poi Zapatero ha blindato il confine. Da lì non si passa più. I «bruciatori di strade» hanno allora attivato altre rotte: da Titwan, in Marocco, verso Almeria e Cartagena, in Spagna; e da Annaba verso le coste sarde. Chi arriva a Porto Pino ha come obiettivo prevalentemente la Francia, da raggiungere attraverso la Corsica. Ma stando a sentire i funzionari della questura di Carbonia, molti puntano anche su Roma e su Napoli.
Secondo la Gendarmerie nationale algerina il flusso migratorio negli ultimi anni ha registrato un forte crescita: nel corso del 2005 sono stati arrestati, prima che uscissero dalle acque territoriali, 403 immigrati, la maggior parte provenienti dal Marocco, dal Mali e dal Niger. Ma dai dati di quest'anno risulta che la cifra è quasi raddoppiata. Se agli «harraga» che la Gendarmerie ferma prima che entrino in acque internazionali si aggiungono quelli bloccati in Italia e in Spagna e quelli che invece riescono a non farsi prendere e a dileguarsi nel nulla, si capisce che la faccenda è davvero seria. Ad Algeri, poi, la preoccupazione vera è legata alla constatazione che negli ultimi cinque anni il numero dei cittadini algerini che prendono la via del mare aumenta stabilmente. Segno di un forte malessere sociale. Non a caso El Watan, il maggior quotidiano nazionale, ha intitolato «Gli algerini, nuovo boat people» una sua recente inchiesta.
Ma anche in Sardegna i problemi non mancano. Questo martedì i sindaci del Sulcis hanno incontrato a Roma Marcella Lucidi, sottosegretario agli Interni con delega per i problemi dell'immigrazione. Gli amministratori sardi chiedono di non essere lasciati soli. Gli sbarchi di clandestini sono ormai quotidiani e della prima assistenza si occupano i comuni della zona, che però non hanno né strutture né fondi adeguati. L'aiuto della Croce Rossa, della Caritas e di altre associazioni di volontari non basta.
I sindaci chiedono al governo l'applicazione dell'accordo tra Algeria e Italia sull' immigrazione che prevede maggiori controlli alla partenza. Accordo in vigore dall'ottobre del 2006 e mai reso operativo. Ma questo è soltanto un aspetto del problema. Al di là di ogni accordo bilaterale, serve una politica attiva di inserimento di chi comunque arriva in Italia e vuole costruire un progetto di vita o cercare nuove chance in altri stati europei. Questo non avviene. Chi sbarca in Sardegna, dopo aver ricevuto dalla prefettura un'ordinanza di rimpatrio, è tenuto a rientrare a casa entro cinque giorni. E sino all'aprile di quest'anno andava pure peggio, perché i migranti, dopo tre o quattro giorni, venivano caricati su un aereo militare e portati al centro di permanenza di Crotone. E poi c'è il problema dei migranti che arrivano da paesi in guerra, per i quali il foglio di rimpatrio significa il ritorno a situazioni a gravissimo rischio. «Noi non chiediamo che venga aperto un Cpt», dice Tore Cherchi, sindaco Ds di Carbonia «Ai Cpt - precisa Cherchi - siamo contrari. Servono però risorse finanziarie e mezzi per affrontare in maniera efficace il problema dell'assistenza ai migranti che raggiungono le nostre coste, in attesa che possano ritornare, se lo desiderano, ai loro paesi di origine o che riescano a trovare un inserimento in Italia». Una posizione, quella di Cherchi contro i cpt, che trova il sostegno di molti gruppi di base, a cominciare dal Cagliari Social Forum. Le logiche repressive o di puro e semplice contenimento non trovano per il momento in Sardegna grande spazio.
Altra questione aperta è quella dei burattinai del traffico degli irregolari. La magistratura di Cagliari sospetta che dietro gli sbarchi in Sardegna ci sia un'organizzazione criminale che tiene insieme boss algerini e malavita sarda. I barchini avrebbero come appoggio, al largo, grosse navi mercantili. La rotta sarebbe la stessa attraverso la quale passa lo smercio di droga. Apparentemente una coincidenza, ma sulla quale si indaga ormai da un anno.

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