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Poche parole di uno scrittore senegalese per aprire gli occhi e distendere gli animi

Un consiglio di lettura: un libro breve ma efficace, scritto col cuore da una persona che l'immigrazione l'ha vissuta, ma dall'altra parte
18 marzo 2009
Silvia Piovesan

In questo periodo di ronde, possibilità di denuncia per gli operatori sanitari, e sentimenti di paura dilaganti verso il “non italiano”, un passo di un libro uscito due anni fa è più che mai attuale, illuminando e facendo riflettere. A volte, capire delle situazioni che sembrano lontanissime da noi pare difficilissimo, ma, una volta fatto, si rivela un esercizio che accomuna e unisce tutto il genere umano...
“Tutta questa gente che arriva quaggiù da noi, lo fa perché siamo noi che abbiamo creato le condizioni favorevoli a che ciò avvenga.
Se noi occidentali ci fossimo accontentati di vivere frugalmente, senza gli sperperi del consumismo, non avremmo attratto tanti disgraziati ad affrontare pericoli e peripezie per raggiungere la nostra società del benessere. [...]
Ma anche nel terzo mondo tutto è mutato, in Senegal da alcuni anni, anche in inverno, le famiglie che li possiedono, la notte tengono accesi i grandi ventilatori attaccati al soffitto. Per dormire in pace, perché la grande afa disturba il sonno. I pescatori che grazie al fresco dei venti di mare non soffrivano per le zanzare, ora sulle barche devono sopportare questo fastidioso insetto, per via dell'aria divenuta più temperata. Perciò gli immigrati che giungono disperati da noi, sono solo la prima avvisaglia delle moltitudini di ecorifugiati che prima o poi si indirizzeranno verso l'Europa.
Dunque siamo tutti diventati diversi, siamo tutti estranei, siamo tutti stranieri. Se tu dici a un senegalese che lui è uno straniero, lui potrebbe ribattere che lo straniero sei tu rispetto alle tradizioni italiche, quando c'era ancora il culto della famiglia e della parsimonia, il rispetto dei genitori, l'attaccamento ai figli, il timor di Dio e la fede nell'aldilà.[...]
Ecco perché arrivano da noi uomini, donne e bambini dal terzo mondo, e nessuno li può fermare. Essi non vengono solo per cercare lavoro e fortuna, non arrivano soltanto perché gli industriali li chiamano e li lusingano come le sirene dell'Odissea, essi ci raggiungono per portarci in dono le cose preziose che noi abbiamo, ahimè, dimenticato: il sorriso, la voglia di parlare, il gusto di salutarsi, il piacere della compagnia, la disponibilità alla sorpresa, la mancanza di paura verso il prossimo, l'accettazione fatalistica delle difficoltà.
Gli immigrati vengono a colmare questo nostro vuoto spirituale e finché resteremo cosi imbrigliati in una vita materialistica, non ci saranno né leggi xenofobe, né controlli polizieschi che potranno fermarli.
D'altronde fino a qualche lustro fa eravamo noi occidentali ed andare da loro per colonizzarli e renderli schiavi, depredandoli e mandando in frantumi le loro economie di sussistenza. Non lamentiamoci perciò se, dopo aver distrutto le loro comunità, adesso ce li troviamo davanti casa.
Successe così anche quando i Greci, partendo dall'Europa, fecero una spedizione punitiva contro la città di Troia in Turchia (Nord contro Sud) e la distrussero.
Fra i pochi superstiti in fuga dalle rovine di Troia, c'era anche un certo Enea che, dopo molto peregrinare, sbarcò clandestinamente nel Lazio, fato profugus, profugo per via di un destino avverso. Egli sposò Lavinia, una nobile fanciulla del posto, dando origine nientepopodimeno che alla stirpe che avrebbe fondato Roma, la città eterna.
E poi bisognerebbe ricordarci di quando le potenze europee, per avidità di guadagno, gli immigrati se li andava a prendere direttamente con la forza in Africa, incatenandoli e facendoli schiavi. Ci volle la rivoluzione francese per abolire temporaneamente la tratta dei neri. Ma poi Napoleone ripristinò la schiavitù. Lui che aveva conquistato l'Europa al grido liberté, égalité, fraternité!”
Così parlò il secondo italiano. Io lo ascoltai come si ascolta uno che sa tutto di te e che ti spiega il perché e il percome della tua vita.'

Note: Tratto dal libro “Il mio viaggio della speranza: dal Senegal all'Italia in cerca di fortuna”, di Bay Mademba, Bandecchi e Vivaldi Editori, 2006.
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