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Presentazione del Messaggio di Giovanni Paolo II del Cardinale Renato R. Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Giovanni Paolo II: la pace e' possibile

Messaggio di Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2004, presentato dal Cardinale Renato R. Martino
1 gennaio 2004
di Redazione (redazione@vita.it)
Fonte: www.vita.it - 31 dicembre 2003

Sono lieto di trovarmi con voi per l'annuale appuntamento di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace 2004. Il tema proposto quest'anno all'attenta considerazione, spirituale ed etica, di tutta la Chiesa e degli uomini e delle donne di buona volontà, è il seguente: “Un impegno sempre attuale: educare alla pace”.

Il Santo Padre, di fronte alle gravi questioni riguardanti la pace e la sicurezza dei nostri giorni, ha inteso, con questo Suo Messaggio, proporre quello che di proprio e di specifico caratterizza la missione della Chiesa: il suo compito educativo e formativo delle coscienze. La Chiesa, “esperta in umanità”, con il suo secolare insegnamento sociale sulla pace, da sempre richiama tutti al fondamentale compito dell'educazione alla pace, nella consapevolezza che solo uomini e popoli spiritualmente e culturalmente formati ai valori della pace sono in grado di realizzarla.

Ritengo opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che il Santo Padre ha voluto inquadrare il tema del diritto internazionale nel più ampio contesto dell'educazione alla pace. Pur mantenendo una sostanziale attenzione tematica al diritto internazionale, che costituisce il cuore del Messaggio, il Santo Padre ha così sottolineato la specificità del contributo che la Chiesa può offrire, quello educativo e formativo. In questa maniera, la riflessione sulle questioni inerenti al diritto internazionale vengono affrontate, sul piano contenutistico e metodologico, in una prospettiva più rispondente alla missione religiosa e morale della Chiesa, ben esplicitata al n. 42 della Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II. A questo proposito il Santo Padre afferma: “Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione” (n. 3).

Un accorato appello
Il Messaggio si apre con un accorato appello ai Capi delle Nazioni, ai giuristi, agli educatori della gioventù, agli uomini e donne tentati dal ricorso al terrorismo, invitando tutti a considerare che la pace è possibile e, se possibile, anche doverosa! In questo appello risuona il richiamo ai vari livelli di responsabilità che devono essere attivati se si vuole costruire la pace: il livello propriamente politico, quello scientifico e culturale, quello educativo, quello esistenziale che attiene alla coscienza delle persone, soprattutto se tentate di scegliere le scorciatoie della violenza terroristica per risolvere problemi e conflitti.

Paolo VI e Giovanni Paolo II e la pace
Dopo l'appello, il Messaggio ricorda quanto il Magistero sia stato sollecito nel favorire la causa della pace tramite gli annuali Messaggi che hanno accompagnato la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, voluta da Paolo VI nel 1968. In questa parte del documento il Santo Padre rende un omaggio al Suo grande predecessore, il quale, con l'istituzione della Giornata Mondiale della Pace e i Messaggi, ha avviato e delineato un percorso rilevantissimo per il contributo fondamentale, ben conosciuto e apprezzato al livello nazionale e internazionale, che la Cattedra di Pietro offre per l'instaurazione della pace nel mondo. Dal testo si può facilmente cogliere, da una parte, la piena consapevolezza di un ruolo carico di responsabilità per la promozione della pace e, dall'altra, la sollecitudine pastorale a intensificare gli sforzi. Tale sollecitudine acquista una luce particolare tenendo conto del 25° anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II, il quale ha fatto dell'impegno per la pace uno dei punti forti e caratterizzanti del Suo ministero, nella profonda convinzione che la pace non è solo questione riguardante la dimensione politica, ma anche quella religiosa. Afferma il Santo Padre: “Nei venticinque anni di Pontificato, che il Signore mi ha finora concesso, non ho cessato di levare la mia voce, di fronte alla Chiesa ed al mondo, per invitare i credenti, come tutte le persone di buona volontà, a far propria la causa della pace, per contribuire a realizzare questo bene primario, assicurando così al mondo un'era migliore, nella serena convivenza e nel rispetto reciproco” (n. 1). Ormai possiamo dire che la Giornata Mondiale della Pace, nata da una felicissima intuizione di Paolo VI, sia diventata, anche per merito dell'attuale pontefice, una risorsa per tutta l'umanità.

Permettete che mi soffermi ancora su questa prima parte del documento per segnalare le note n. 2 e n. 3, che indicano i temi delle Giornate che si sono tenute finora. Solitamente le note in calce non ricevono troppa considerazione, ma in questo caso deve essere diverso, perché il richiamo ai titoli dei Messaggi apre uno spiraglio che ci consente di entrare nell'animo del Papa e di trovarvi la Sua ansia per la causa della pace: “È nata così una sintesi di dottrina sulla pace, che è quasi un sillabario su questo fondamentale argomento: un sillabario semplice da comprendere per chi ha l'animo ben disposto, ma al tempo stesso estremamente esigente per ogni persona sensibile alle sorti della umanità”. Nelle varie iniziative che saranno prese per un'appropriata celebrazione della Giornata della Pace di quest'anno, si dovrà avere un particolare riguardo a mettere in adeguato risalto il contributo di Giovanni Paolo II alla pace. In questa prospettiva, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace non mancherà di promuovere alcune iniziative e di fornire le opportune indicazioni alle Chiese locali.

Diritto internazionale come diritto della pace
Veniamo ora alla parte centrale del Messaggio, tutto concentrato nello svolgimento del tema dell'educazione alla legalità, intesa come necessità, “di guidare gli individui e i popoli a rispettare l'ordine internazionale … La pace ed il diritto internazionale sono intimamente legati fra loro: il diritto favorisce la pace”. Nel lungo cammino storico percorso dal diritto internazionale hanno preso forma, con forza crescente, “principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unità e la comune vocazione della famiglia umana” (n. 6). Tra i principi che stanno al cuore di quel complesso di norme che fu qualificato come jus gentium, il Messaggio ricorda il principio secondo cui pacta sunt servanda. Gli accordi liberamente sottoscritti devono essere onorati: “È questo - afferma il documento - il cardine ed il presupposto inderogabile di ogni rapporto fra parti contraenti responsabili. La sua violazione non può che avviare una situazione di illegalità e di conseguenti attriti e contrapposizioni che non mancherà di avere durevoli ripercussioni negative. Risulta opportuno richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto” (n. 5).

Il Messaggio rileva come uno dei frutti più rilevanti del diritto internazionale sia stata, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, l'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, chiamata a “vegliare sulla pace e sulla sicurezza globali, a incoraggiare gli sforzi degli Stati per mantenere e garantire questi fondamentali beni dell'umanità” (n. 6), avendo quale cardine “il divieto del ricorso alla forza” (n. 6). Il Santo Padre rammenta agli smemorati che sono solo due le eccezioni a tale divieto: il diritto naturale alla legittima difesa, da esercitarsi con i criteri della necessità e della proporzionalità, nell'ambito delle Nazioni Unite; il sistema di sicurezza collettiva, “che assegna al Consiglio di sicurezza la competenza e la responsabilità in materia di mantenimento della pace, con potere di decisione e ampia discrezionalità” (n. 6).

Il Messaggio dà atto alle Nazioni Unite di aver “contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, nonostante i limiti e i ritardi “dovuti in gran parte alle inadempienze dei suoi membri” (n. 7). Il dovuto riconoscimento è accompagnato dall'invito a “una riforma” delle Nazioni Unite, che ponga l'Organizzazione in grado di funzionare efficacemente per il conseguimento dei propri fini statutari, tuttora validi. A questo punto il Santo Padre richiama due documenti del suo Magistero sociale, la Sollicitudo rei socialis del 1987 e il Discorso alla 50 Assemblea Generale del 1995, nei quali aveva messo in luce “un preciso obbligo morale e politico” di raggiungere tale obiettivo.

Una simile riforma è resa particolarmente urgente se si considera la difficoltà del diritto internazionale a offrire soluzioni alla conflittualità derivante dai mutamenti nella fisionomia del mondo contemporaneo: “Un ordinamento giuridico costituito da norme elaborate nei secoli per disciplinare i rapporti tra Stati sovrani si trova in difficoltà a fronteggiare conflitti in cui agiscono anche enti non riconducibili ai tradizionali caratteri della statualità. Ciò vale, in particolare, nel caso dei gruppi terroristici” (n. 8).

Nella lotta al terrorismo il Santo Padre offre due importanti indicazioni:

a) la prima indicazione è di natura politica e pedagogica: “Allo stesso tempo, l'impegno contro il terrorismo deve esprimersi anche sul piano politico e pedagogico: da un lato, rimuovendo le cause che stanno all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti più disperati e sanguinosi; dall'altro, insistendo su un'educazione ispirata al rispetto per la vita umana in ogni circostanza: l'unità del genere umano è infatti una realtà più forte delle divisioni contingenti che separano uomini e popoli” (n. 8);

b) la seconda indicazione riguarda il compito del diritto internazionale,“chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi di prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei reati. In ogni caso, i Governi democratici ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti dell'uomo: il fine non giustifica mai i mezzi” (n. 8).

Il compito della Chiesa
Nell'illustrare il contributo dottrinale della Chiesa - mediante la riflessione filosofica e teologica di numerosi pensatori cristiani - all'elaborazione dei principi necessari ad una pacifica convivenza, il Santo Padre sottolinea la necessità che il diritto internazionale non sia mai slegato da presupposti etici e morali: “Le vicende storiche insegnano che l'edificazione della pace non può prescindere dal rispetto di un ordine etico e giuridico, secondo l'antico adagio: “Serva ordinem et ordo servabit te” (conserva l'ordine e l'ordine conserverà te). Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la legge del più forte. Suo scopo essenziale è di sostituire “alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto”, prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori, nonché adeguate riparazioni per le vittime. Ciò deve valere anche per quei governanti i quali violano impunemente la dignità e i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato” (n. 9).

Il Messaggio del Santo Padre si chiude con una pagina, ricca di vigore evangelico, in cui il valore della giustizia è completato dall'amore: “Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore” (n. 10). Il Papa descrive la forza liberante e rigenerante dell'amore“Il cristiano sa che l'amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l'uomo. Ed è ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo. L'amore è perciò la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani anche tra loro. L'amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanità nella quale regni la ‘civiltà dell'amore' potrà godere di una pace autentica e duratura” (n. 10). E chiude il Suo Messaggio con un invito alla speranza, perché “Omnia vincit amor”.

Il messaggio di Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2004

A voi mi rivolgo, Capi delle Nazioni, che avete il dovere di promuovere la pace!
A voi, Giuristi, impegnati a tracciare cammini di pacifica intesa, predisponendo convenzioni e trattati che rafforzano la legalità internazionale!
A voi, Educatori della gioventù, che in ogni continente instancabilmente lavorate per formare le coscienze nel cammino della comprensione e del dialogo!
Ed anche a voi mi rivolgo, uomini e donne che siete tentati di ricorrere all'inaccettabile strumento del terrorismo, compromettendo così alla radice la causa per la quale combattete!

Ascoltate tutti l'umile appello del successore di Pietro che grida: Oggi ancora, all'inizio del nuovo anno 2004, la pace resta possibile. E se possibile, la pace è anche doverosa!

Una concreta iniziativa
1. Il primo mio Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, all'inizio del Gennaio del 1979, era centrato sul motto: “Per giungere alla pace, educare alla pace”.

Quel Messaggio di Capodanno si inseriva nel solco tracciato dal Papa Paolo VI, di v. m., il quale aveva voluto per il 1º Gennaio di ogni anno la celebrazione di una Giornata Mondiale di preghiere per la Pace. Ricordo le parole del compianto Pontefice nel Capodanno 1968: “Sarebbe Nostro desiderio che poi ogni anno questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa, all'inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo, che sia la pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire” [1].

Facendo mio il voto espresso dal venerato Predecessore sulla Cattedra di Pietro, ogni anno ho voluto continuare la nobile tradizione, dedicando il primo giorno dell'anno civile alla riflessione ed alla preghiera per la pace nel mondo.

Nei venticinque anni di Pontificato, che il Signore mi ha finora concesso, non ho cessato di levare la mia voce, di fronte alla Chiesa ed al mondo, per invitare i credenti, come tutte le persone di buona volontà, a far propria la causa della pace, per contribuire a realizzare questo bene primario, assicurando così al mondo un'era migliore, nella serena convivenza e nel rispetto reciproco.

Anche quest'anno sento il dovere di invitare gli uomini e le donne di ogni Continente a celebrare una nuova Giornata Mondiale della Pace. L'umanità infatti ha più che mai bisogno di ritrovare la strada della concordia, scossa com'è da egoismi e da odi, da sete di dominio e da desiderio di vendetta.

La scienza della pace
2. Gli undici Messaggi rivolti al mondo dal Papa Paolo VI hanno progressivamente tracciato le coordinate del cammino da compiere per raggiungere l'ideale della pace. Poco a poco, il grande Pontefice è venuto illustrando i vari capitoli di una vera e propria “scienza della pace”. Può essere utile riandare con la memoria ai temi dei Messaggi lasciatici da Papa Montini per tale occasione [2]. Ognuno di essi conserva ancor oggi una grande attualità. Anzi, di fronte al dramma delle guerre che, all'inizio del Terzo Millennio, ancora insanguinano le contrade del mondo, soprattutto in Medio Oriente, quegli scritti, in certi loro passaggi, assurgono al valore di moniti profetici.

Il sillabario della pace
3. Da parte mia, nel corso di questi venticinque anni di Pontificato ho cercato di avanzare sul cammino intrapreso dal mio venerato Predecessore. All'alba di ogni nuovo anno, ho richiamato le persone di buona volontà a riflettere sui vari aspetti di una ordinata convivenza, alla luce della ragione e della fede.

È nata così una sintesi di dottrina sulla pace, che è quasi un sillabario su questo fondamentale argomento: un sillabario semplice da comprendere per chi ha l'animo ben disposto, ma al tempo stesso estremamente esigente per ogni persona sensibile alle sorti della umanità [3].

I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente illustrati. Ora non rimane che operare, affinché l'ideale della pacifica convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli individui e dei popoli. Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace è annunziare Cristo che è “la nostra pace” (Ef 2,14), è annunziare il suo Vangelo, che è “Vangelo della pace” (Ef 6,15), è chiamare tutti alla beatitudine di essere “artefici di pace” (cfr Mt 5,9).

L'educazione alla pace
4. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1º Gennaio 1979 lanciavo già quest'appello: “Per giungere alla pace, educare alla pace”. Ciò è oggi più urgente che mai, perché gli uomini, di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l'umanità, sono tentati di cedere al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile.

La Chiesa, invece, ha sempre insegnato ed insegna ancor oggi un assioma molto semplice la pace è possibile. Anzi, la Chiesa non si stanca di ripetere: la pace è doverosa. Essa va costruita sui quattro pilastri indicati dal beato Giovanni XXIII nell'Enciclica Pacem in terris, e cioè sulla verità, la giustizia, l'amore e la libertà. Un dovere, quindi, s'impone a tutti gli amanti della pace, ed è quello di educare le nuove generazioni a questi ideali, per preparare un'era migliore per l'intera umanità.

L'educazione alla legalità
5. In questo compito di educare alla pace, s'inserisce con particolare urgenza la necessità di guidare gli individui ed i popoli a rispettare l'ordine internazionale e ad osservare gli impegni assunti dalle Autorità, che legittimamente li rappresentano. La pace ed il diritto internazionale sono intimamente legati fra loro il diritto favorisce la pace.

Fin dagli albori della civiltà i raggruppamenti umani che venivano formandosi ebbero cura di stabilire tra loro intese e patti che evitassero l'arbitrario uso della forza e consentissero il tentativo di una soluzione pacifica delle controversie via via insorgenti. Accanto agli ordinamenti giuridici dei singoli popoli si costituì così progressivamente un altro complesso di norme, che fu qualificato col nome di jus gentium (diritto delle genti). Col passare del tempo, esso venne estendendosi e precisandosi alla luce delle vicende storiche dei vari popoli.
Questo processo subì una forte accelerazione con la nascita degli Stati moderni. A partire dal XVI secolo giuristi, filosofi e teologi si impegnarono nella elaborazione dei vari capitoli del diritto internazionale, ancorandolo a postulati fondamentali del diritto naturale. In questo cammino presero forma, con forza crescente, principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unità e la comune vocazione della famiglia umana.

Centrale fra tutti questi principi è sicuramente quello secondo cui pacta sunt servanda: gli accordi liberamente sottoscritti devono essere onorati. È questo il cardine ed il presupposto inderogabile di ogni rapporto fra parti contraenti responsabili. La sua violazione non può che avviare una situazione di illegalità e di conseguenti attriti e contrapposizioni che non mancherà di avere durevoli ripercussioni negative. Risulta opportuno richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto.

Uno di questi momenti fu senza dubbio il dramma che l'umanità sperimentò durante la seconda guerra mondiale: una voragine di violenza, di distruzione e di morte quale mai s'era conosciuta prima d'allora.

L'osservanza del diritto
6. Quella guerra, con gli orrori e le terrificanti violazioni della dignità dell'uomo a cui dette occasione, condusse ad un profondo rinnovamento dell'ordinamento giuridico internazionale. La difesa e la promozione della pace furono collocate al centro di un sistema normativo e istituzionale ampiamente aggiornato. A vegliare sulla pace e sulla sicurezza globali, a incoraggiare gli sforzi degli Stati per mantenere e garantire questi fondamentali beni dell'umanità, i Governi chiamarono un'organizzazione appositamente costituita l'Organizzazione delle Nazioni Unite con un Consiglio di Sicurezza investito di ampi poteri d'azione. Quale cardine del sistema venne posto il divieto del ricorso alla forza. Un divieto che, secondo il noto cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, prevede due sole eccezioni. Una è quella che conferma il diritto naturale alla legittima difesa, da esercitarsi secondo le modalità previste e nell'ambito delle Nazioni Unite: di conseguenza, anche dentro i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità.

L'altra eccezione è rappresentata dal sistema di sicurezza collettiva, che assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza e la responsabilità in materia di mantenimento della pace, con potere di decisione e ampia discrezionalità.

Il sistema elaborato con la Carta delle Nazioni Unite avrebbe dovuto “preservare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nell'arco di una vita umana ha inflitto indicibili sofferenze all'umanità” [4]. Nei decenni successivi, tuttavia, la divisione della comunità internazionale in blocchi contrapposti, la guerra fredda in una parte del globo terrestre, i violenti conflitti scoppiati in altre regioni, il fenomeno del terrorismo, hanno prodotto un crescente scostamento dalle previsioni e dalle aspettative dell'immediato dopoguerra.

Un nuovo ordinamento internazionale
7. È doveroso tuttavia riconoscere che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, pur con limiti e ritardi dovuti in gran parte alle inadempienze dei suoi membri, ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace.

L'azione dei Governi nazionali trarrà un forte incoraggiamento dal constatare che gli ideali delle Nazioni Unite sono largamente diffusi, in particolare mediante i concreti gesti di solidarietà e di pace delle tante persone che operano anche nelle Organizzazioni Non Governative e nei Movimenti per i diritti dell'uomo.

Si tratta di un significativo stimolo per una riforma che metta l'Organizzazione delle Nazioni Unite in grado di funzionare efficacemente per il conseguimento dei propri fini statutari, tuttora validi: “L'umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale” [5]. Gli Stati devono considerare tale obiettivo come un preciso obbligo morale e politico, che richiede prudenza e determinazione. Rinnovo l'auspicio formulato nel 1995: “Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ‘famiglia di nazioni' “ [6].

La piaga funesta del terrorismo
8. Oggi il diritto internazionale fa fatica ad offrire soluzioni alla conflittualità derivante dai mutamenti nella fisionomia del mondo contemporaneo. Tale conflittualità, infatti, trova frequentemente tra i suoi protagonisti attori che non sono Stati, ma enti derivati dalla disgregazione degli Stati o legati a rivendicazioni indipendentiste o connessi con agguerrite organizzazioni criminali. Un ordinamento giuridico costituito da norme elaborate nei secoli per disciplinare i rapporti tra Stati sovrani si trova in difficoltà a fronteggiare conflitti in cui agiscono anche enti non riconducibili ai tradizionali caratteri della statualità. Ciò vale, in particolare, nel caso dei gruppi terroristici.

La piaga del terrorismo è diventata in questi anni più virulenta e ha prodotto massacri efferati, che hanno reso sempre più irta di ostacoli la via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i problemi, particolarmente nel Medio Oriente.

Tuttavia, per essere vincente, la lotta contro il terrorismo non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici. Allo stesso tempo, l'impegno contro il terrorismo deve esprimersi anche sul piano politico e pedagogico: da un lato, rimuovendo le cause che stanno all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti più disperati e sanguinosi; dall'altro, insistendo su un'educazione ispirata al rispetto per la vita umana in ogni circostanza: l'unità del genere umano è infatti una realtà più forte delle divisioni contingenti che separano uomini e popoli.

Nella doverosa lotta contro il terrorismo, il diritto internazionale è ora chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi di prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei reati. In ogni caso, i Governi democratici ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti dell'uomo il fine non giustifica mai i mezzi!

Il contributo della Chiesa
9. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Come potrebbe questa parola, che invita a operare nell'immenso campo della pace, trovare così intense risonanze nel cuore umano, se non corrispondesse ad un anelito e ad una speranza che vivono in noi indistruttibili? E per quale altro motivo gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio, se non perché Egli per sua natura è il Dio della pace? Proprio per questo, nell'annuncio di salvezza che la Chiesa diffonde nel mondo, vi sono elementi dottrinali di fondamentale importanza per l'elaborazione dei principi necessari ad una pacifica convivenza tra le Nazioni.

Le vicende storiche insegnano che l'edificazione della pace non può prescindere dal rispetto di un ordine etico e giuridico, secondo l'antico adagio: “Serva ordinem et ordo servabit te” (conserva l'ordine e l'ordine conserverà te). Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la legge del più forte. Suo scopo essenziale è di sostituire “alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto” [7], prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori, nonché adeguate riparazioni per le vittime. Ciò deve valere anche per quei governanti i quali violano impunemente la dignità e i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato.

Rivolgendomi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 13 Gennaio 1997, individuavo nel diritto internazionale uno strumento di prim'ordine per il perseguimento della pace: “Il diritto internazionale è stato per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo che esso sia sempre più chiamato a diventare esclusivamente un diritto della pace, concepita in funzione della giustizia e della solidarietà. In questo contesto, la morale è chiamata a fecondare il diritto; essa può esercitare altresì una funzione di anticipo sul diritto, nella misura in cui gli indica la direzione del giusto e del bene” [8].

Rilevante è stato, nel corso dei secoli, il contributo dottrinale offerto dalla Chiesa, mediante la riflessione filosofica e teologica di numerosi pensatori cristiani, per orientare il diritto internazionale verso il bene comune dell'intera famiglia umana. In particolare, nella storia contemporanea i Papi non hanno esitato a sottolineare l'importanza del diritto internazionale quale garanzia di pace, nella convinzione che “un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” (Gc 3,18). Su tale via è impegnata, mediante gli strumenti che le sono propri, la Chiesa, alla luce perenne del Vangelo e con l'ausilio indispensabile della preghiera.

La civiltà dell'amore
10. Al termine di queste considerazioni ritengo, però, doveroso ricordare che, per l'instaurazione della vera pace nel mondo, la giustizia deve trovare il suo completamento nella carità. Certo, il diritto è la prima strada da imboccare per giungere alla pace. Ed i popoli debbono essere educati al rispetto di tale diritto. Non si arriverà però al termine del cammino, se la giustizia non sarà integrata dall'amore. Giustizia e amore appaiono, a volte, come forze antagoniste. In verità, non sono che le due facce di una medesima realtà, due dimensioni dell'esistenza umana che devono vicendevolmente completarsi. È l'esperienza storica a confermarlo. Essa mostra come la giustizia non riesca spesso a liberarsi dal rancore, dall'odio e perfino dalla crudeltà. Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore.

È per questo che, più volte, ho ricordato ai cristiani e a tutte le persone di buona volontà la necessità del perdono per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli. Non c'è pace senza perdono! Lo ripeto anche in questa circostanza, avendo davanti agli occhi, in particolare, la crisi che continua ad imperversare in Palestina e in Medio Oriente: una soluzione ai gravissimi problemi di cui da troppo tempo soffrono le popolazioni di quelle regioni non si troverà fino a quando non ci si deciderà a superare la logica della semplice giustizia per aprirsi anche a quella del perdono.

Il cristiano sa che l'amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l'uomo. Ed è ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo. L'amore è perciò la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani anche tra loro. L'amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanità nella quale regni la “civiltà dell'amore” potrà godere di una pace autentica e duratura.

All'inizio di un nuovo anno voglio ricordare alle donne ed agli uomini di ogni lingua, religione e cultura l'antica massima: “Omnia vincit amor” (l'amore vince tutto). Sì, cari Fratelli e Sorelle di ogni parte del mondo, alla fine l'amore vincerà! Ciascuno si impegni ad affrettare questa vittoria. È ad essa che, in fondo, anela il cuore di tutti.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2003.

Ioannes Paulus II

Note
[1] Insegnamenti, V (1967), 620.

[2]
1968 1º Gennaio: Giornata Mondiale della Pace
1969 La promozione dei diritti dell'uomo, cammino verso la pace
1970 Educarsi alla pace attraverso la riconciliazione
1971 Ogni uomo è mio fratello
1972 Se vuoi la pace, lavora per la giustizia
1973 La pace è possibile
1974 La pace dipende anche da te
1975 La riconciliazione, via alla pace
1976 Le vere armi della pace
1977 Se vuoi la pace, difendi la vita
1978 No alla violenza, Sì alla pace

[3] Ecco i temi delle successive 25 Giornate Mondiali della Pace
1979 Per giungere alla pace, educare alla pace
1980 La verità come forza della pace
1981 Per servire la pace, rispetta la libertà
1982 La pace, dono di Dio affidato agli uomini
1983 Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo
1984 La pace nasce da un cuore nuovo
1985 La pace e i giovani camminano insieme
1986 La pace è valore senza frontiere. Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace
1987 Sviluppo e solidarietà, chiavi della pace
1988 La libertà

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    Ha chiesto alla Chiesa di riconoscere i propri errori passati e di pentirsi, ma ha incontranto resistenze. Durante il suo pontificato si è sviluppata una nuova stagione di impegno civile che ha segnato una svolta rispetto al passato. In questi anni credenti e non credenti hanno marciato assieme nelle mobilitazioni per la pace, sono andati insieme nelle missioni ad aiutare i fratelli più poveri.
    2 aprile 2005 - Alessandro Marescotti
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