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Ricordo di un prete scout che difendeva la libertà del suo popolo

Dieci anni fa veniva ucciso dalla camorra don Giuseppe Diana

Il boss Nunzio De Falco, "'O Lupo", è il mandante del delitto di don Giuseppe Diana, il prete anticamorra ucciso a Casal di Principe il 19 marzo del 1994. E per questo è stato condannato all'ergastolo dai giudici della prima Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere presieduta da Maria Rosaria Cosentino. (1)
9 marzo 2004
Geppino Gioia

Il 19 marzo, giorno del suo onomastico, veniva ucciso dalla camorra nel corridoio che dalla sacrestia porta alla chiesa don Giuseppe Diana, mentre stava per iniziare la Messa.

Vengono in mente don Puglisi, Oscar Romero, morti per aver voluto compiere fino in fondo la loro missione, contrastando con la logica dell’amore e della ragione, la violenza di chi impone un modo di vita che imbarbarisce la società umana.

Don Peppe era nato nel 1938, e dall’89 era parroco di San Nicola a Casal di Principe.

Era uno scout, prima capo reparto dell’Aversa 1, poi assistente del gruppo, impegnato in zona e in regione, assistente nazionale dei Foulards Blancs, assistente generale dell’Opera pellegrinaggi Foulards Blancs.

Essere prete e scout significavano per lui la perfetta fusione di ideali e di servizio.

Con questo spirito di servizio aveva intrapreso la lotta alla camorra che infesta la sua zona. Con lo scritto e la parola si era posto a capo della comunità parrocchiale e cittadina per il loro riscatto.

La sua voce ora è divenuta un grido che scuote le coscienze.

«Dove c e mancanza di regole, di diritto, — scriveva don Peppe — si affermano il non diritto e la sopraffazione. Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia. Una Chiesa diversamente impegnata su questo fronte potrebbe fare molto. Dovremmo testimoniare di più una Chiesa di servizio ai poveri, agli ultimi; dove regnano povertà, emarginazione, disoccupazione e disagio è facile che la mala pianta della camorra nasca e si sviluppi».

E ancora:

«Come pastori ci sentiamo le sentinelle del gregge e, se non sempre siamo stati vigili e attenti, stavolta il coraggio della profezia e la coscienza profonda di essere “lievito nella pasta” ci impongono di non tacere. Ai politici vecchi e nuovi diciamo: “Non improvvisate più, non è possibile governare senza programmi, senza un vera scuola di politica”.

Ai giovani lanciamo l’invito di farsi avanti, di far sentire la propria voce e partecipare al dialogo culturale, politico e civile della vita comunale. Invitiamo infine i camorristi a tenersi in disparte, a non inquinare e affossare ancora una volta questo nostro caro paese, che ormai ha bisogno solo di Resurrezione».

Il seme gettato nella terra muore, e dalla sua morte nasce tanto frutto: don Peppe è il seme, le coscienze di tutti noi il frutto maturato dal suo sacrificio.

Abbiamo seguito il suo cammino sino al luogo che accoglie il suo corpo, ma abbiamo pregato anche per i suoi assassini, perché la nostra preghiera sia segno del perdono cristiano che dobbiamo a chi ci ha strappato, in modo così violento, un fratello. Ma il perdono non può essere diviso dalla giustizia, che vogliamo, che pretendiamo, perché solo così si può ristabilire la pace dei cuori e del vivere civile.

Buona strada, Peppe.

Geppino Gioia,

in "Proposta Educativa",

rivista dei capi Agesci , maggio 1994


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Grazie

di Raffaele Nogaro
vescovo di Caserta

Che gran morte, don Giuseppe. Grande come la vita gloriosa del Padre. Grande come tutta la redenzione dell’uomo.

Grazie, don Giuseppe. Hai ridato la trasparenza di Cristo alla nostra Chiesa.

Hai riscattato il popolo di Dio che attendeva il sangue del martire per confermare la sua fede.

Grazie, don Giuseppe, perché hai pagato da sacerdote del Signore.

La tua morte è un’esultanza di vita come quella di don Puglisi, come quella del tuo amato monsignor Romero. È quella vita nuova che porta il fervore della libertà a tutti gli oppressi.

Il tuo gesto è divino. Anche oggi gli uomini di Dio sanno morire perché tutte le genti abbiano la vita e l’abbiano pienamente.

Avevi appena stilato il manifesto della rinascita “Per amore del mio popolo" quando ti incontrai all’istituto “Mattei’ di Caserta, dove la tua voce, contro le organizzazioni del crimine, era ferma e paterna, come quella dl un profeta. Nella tua testimonianza avevo visto una Chiesa nuova, una Chiesa non più compromessa con Il potere, una Chiesa di Cristo. Una Chiesa della libertà e dell’amore.

Grazie, don Peppino, per la grazia infinita della vita che hai donato a me e al miei fratelli.

Non ti dimenticheremo più: sei il sacramento della nostra vittoria.

Sei la primavera dell’amore, che si diffonde stupenda sulla nostra terra.

Note: (1) http://www.lospettro.it/pagina649.htm

Con una intervista pubblicata sul quotidiano "la Gazzetta di Caserta", a firma di Patrizio Mannu, che qui pubblichiamo integralmente, il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, commenta la sentenza emessa dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il delitto di don Peppino Diana

Nogaro: "Don Diana è un martire della libertà"

Caserta - Quando chiesero a Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano, cosa potesse fermare la mafia, candidamente rispose che "occorreva l'esercito. Un esercito di maestri di scuola" .Quanto a dire che la prima cosa da fare era un' operazione culturale piuttosto che armata. Su simile lunghezza d'onda, ma geograficamente diversa, è monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, secondo il quale per contrastare la camorra "occorrerebbero più profeti". Quanto a dire, sobillatori di coscienze, esaminatori dell'intimo piuttosto che vox clamantis di biblica consuetudine. Nogaro ha la stazza del parroco di paese, con un faccione nel quale si disegna una bocca sempre pronta al sorriso e due occhietti mobili dietro la montatura degli occhiali di foggia un po’ passata. Un amore viscerale per il Sud gli ha fatto dimenticare l'origine udinese ed un amore ancor più viscerale perla gente di questo Mezzogiorno lo ha sempre portato ad esporsi. Senza mai mettere il bavaglio alle sue parole, senza mai parlare a salve. E parlare in un territorio nel quale la malavita organizzata ha un prodotto interno lordo di ottimo spessore diventa rischioso. Ma lui è fatto così. In una stanza con tavolo in formica e poltroncine in similpelle, Nogaro parla del caso di don Peppino Diana, assassinato nel 1994 , la Cui sentenza a carico degli assassini è arrivata solo una settimana fa. Ma parlare del "prete di strada" significa anche fare una lunga circonvoluzione su fenomeni molto più ampi. E più ci parli e più ti accorgi che per concetti e parole il “parroco” ha un suo esclusivo modo di pensare. “Lei sembra quasi comunista”, gli dici. E lui: “E’ un’accusa che mi hanno rivolto in molti. Ma non è così”.

Al tramonto di un novecento ormai i archivio, la chiesa ha avuto i suoi moderni martiri.Oscar Romero, per dire uno che sta oltre l'Atlantico; don Pino Puglisi per ricordarne un altro, in quella Trinacria affacciata sopra l' Africa. E perchè no, don Peppino Diana, da Casal di Principe, uno che ha voluto fare rumore ed è finito con quattro pallottole in corpo. Sono, loro, i capisaldo di quella particolare chiesa orizzontale , votata agli uomini: Gli esponenti di quella “teologia della liberazione” , poco simpatica ai poteri costituiti. "Un martire della libertà", ammonisce Nogaro di don Peppino, "e vorrei che fosse questo il titolo del suo articolo". Ma prima è necessario dirsi qualcosa cosa. E' questo il taccuino fedele di un'ora di intervista.

Monsignor Nogaro a una settimana dalla sentenza Diana, lei parla per la prima volta. Una pausa di riflessione. E adesso?

"Ho taciuto a lungo dopo la sentenza Diana e sul caso Diana perché sono rimasto sconcertato sia perla condanna dei responsabili sia per tutta la procedura processuale. Diana per me è un martire della libertà e credo di dirlo a ragion veduta. Diana è un eroe civile e lo dico a ragion veduta. E dopo la sua morte, la struttura procedurale della sentenza ha reso la sua immagine piuttosto ambigua, quasi equivoca e questo a me ha fatto un dispiacere immenso. Un dispiacere per due motivi: evidentemente perché Diana era un mio amico e poi perché in questo modo noi, invece di combattere quella piaga che tormenta le nostre terre -la criminalità organizzata -abbiamo frainteso i motivi ideali e la lotta enorme che contro tale criminalità potevano essere portati; indebolendo, minimizzando, riducendo quasi alla nullità la testimonianza di Diana. E mi spiego. Per tanto tempo si è parlato di fatti passionali nella vita di don Peppino unicamente per depistare la ricerca che si faceva sul suo conto ed anche per depistare la giusta corsa che ci poteva portare ai criminali, ag1i assassini...".

E allora, chi aveva interesse a depistare?
"Non lo so per il momento. Lo dirò dopo. Certo hanno fatto malissimo, io dico soltanto che la sua figura doveva essere vista in modo diverso, molto più nobile e riguardoso. Invece, per tanto tempo, e non si capisce per quale motivo -naturalmente l'interesse era tutto delle cosche camorristiche - è stato buttato tanto fango. S'è parlato di un omicidio passionale, il che non era vero assolutamente".

Si è parlato anche di Diana depositarlo di armi da parte di un clan e poi prestate ad un altro concorrente...

"lo non voglio cercare i colpevoli ne segno il dito contro nessuno, anche perché l’eventuale colpevole mi farebbe pena poiché è un uomo. Non condanno nessuno. Dico soltanto che la sentenza a me ha dato molto dispiacere”.
Una sentenza che Lei trova discutibile, suppongo, e di converso discutibile l’operato del pubblico ministero.

“La sentenza che a Diana attribuisce in qualche modo non dico una connivenza con alcuni clan della camorra ma una conoscenza di certi loro movimenti; ebbene, questa sentenza non è certo rispettosa dell' essere e del vivere di Diana. Era un sacerdote che poteva avere anche i suoi piccoli difetti ma era impegnato con i suoi giovani, con i suoi scout e con la sua gente a lottare contro quella piaga tremenda del suo paese che è la camorra. Diana poco prima aveva firmato un importantissimo e bellissimo documento controllato anche con me, “Per amore del mio popolo”, dove si organizzava con i giovani il tipo di resistenza che sì poteva fare contro ogni tipo di camorra. Aveva dato due mesi prima su Repubblica un'intervista nella quale si parlava della situazione crimina1e e si domandava alle forze dell'ordine, ma soprattutto alle persone responsabili, di intervenire perché questa cancrena non poteva continuare a mantenersi presso la sua gente. Nella sua lotta contro il male don Peppino era illibato, è stato un puro".

Che non custodisse armi lei può affermarlo con assoluta certezza?

"lo lo affermo e credo di poterlo fare con certezza per la conoscenza che avevo di Diana. Ovviamente non ho prove infallibili. lo con lui lavoravo moralmente e non posso pensare che come mio amico sincero pi potesse impegolarsi in azioni così disoneste e così compromettenti. “

Eccellenza, fra qualche mese saranno pubblicate le motivazioni della sentenza e qualcosa di più si capirà. Non so se lei è interessato a leggerle ma, prima, crede di incontrare gli inquirenti per parlare con loro. Un incontro fra uomini di buona volontà?

“No. Io sono sempre rimasto fuori, non voglio condannare nessuno. Dovete anche cercare di capire la mia posizione di sacerdote e di vescovo. Io dico solo che avendo conosciuto Diana, avendo lavorato con lui, sapendo come agiva, dico che per me è moralmente impossibile che fosse non dico un affiliato ma un corrispondente dell’azione camorristica.

Come si dice di rito, il dispositivo di condanna è stato emesso “in nome del popolo italiano”. Ma in aula di popolo italiano ce n’era pochissimo. Non c’erano i parenti del prete, anziani, e lo si capisce. Ma era assente soprattutto quella che si chiama società civile. Che fine ha fatto e perché, secondo lei questa mancanza?

“Non lo so. Io penso che in quella zona la società civile continua a comportarsi come si è comportata per tanto tempo. Non solo il difetto dell’omertà, ma la nostra società ha ancora paura di esporsi con la dignità della propria coscienza; Ed ecco perché la sentenza Diana per tutti è stata una sorta di liberazione. Finalmente si finirà di parlare di uno che ci obbliga ad esaminare la nostra coscienza e ad esporre il nostro pensiero. Non vogliamo né esaminare la nostra coscienza, né esporre il nostro pensiero.”

La politica delle dichiarazioni in questi ultimi tempi ha parlato di tutto: mercato, sviluppo, moneta unica, neolibertà più o meno vagheggiate. Ma mai si è toccato il discorso della criminalità organizzata. Secondo lei è morta la risposta dello Stato allo strapotere criminale dopo l’ondata sentimentale degli anni ’90? Stessa sorte che è toccata a tangentopoli…

Lungo silenzio. “Non vorrei rispondere…”

Ma lo Stato la combatte ancora la camorra, o non più?

Altrettanto lungo silenzio…”Mah, lo Stato ha combattuto la camorra… in modo che io non posso pensare ingenuo, ma furbesco si. Cioè ha combattuto la camorra inviando le forze dell’ordine le quali non riescono bene contro coloro che sono più armati e più potenti di loro. Il fatto è che lo Stato non ha inciso sulle cause che producono la criminalità organizzata in questa zona. Neanche la magistratura è stata mai veramente impegnata in una lotta sistematica contro la mafia con la scusa che non si aveva personale sufficiente per poter seguire tutti i casi e contante altre scuse. Ma perché mi fa dire queste cose…”



Lei ha sempre avuto una palpabile diffidenza verso i politici. La ha ancora?

"Se lo sono stato sempre, forse lo sono ancora.”

Monsignor Nogaro, fuori dalla sua porta ho visto seduta un'umanità dolente e per certi versi disperata. Nella ricerca messianica di: un capitalismo rampante di là da venire, per loro non c'è posto. E allora chi se ne fa carico? ,
"Guardi, io sono rimasto profondamente deluso anche dal governo precedente, cosiddetto governo di sinistra. Perché ha pensato al potere e non alla giustizia sociale e per me è stato uno shock interiore. Adesso mi illudo ancora meno, perché quando il primato diventa il mercato e quando si pensa ad organizzare l’economia con un livello neo liberista, quando vale chi ha soldi e chi sa usarli, certamente la giustizia sociale - e quindi la parte del popolo meno abbiente, meno potente, meno organizzato – subisce conseguenze tremende, disastrose. Io ritengo che la politica, se è vera politica, dovrebbe essere giustizia sociale. Noi invece abbiamo prevalentemente politica di interessi, politica di lobby, politica di gruppi e così il povero diventa sempre più povero, anche qui in Italia, ed il ricco diventa sempre più ricco.”

Da dove veniamo più o meno si sa. Ma dove andiamo con questo passo?

“Possiamo fermarci?…”.

Un’ultima cosa. Quanto don Peppino le mancherà e quanto mancherà a questa comunità?

“Vede, nella Chiesa italiana è mancato don Tonino Bello. E don Tonino in mezzo ai vescovi era diventato una coscienza di resurrezione, una coscienza di giustizia sociale e di amore vero per la gente. I vescovi, penso hanno ancora questa coscienza di comprensione umana. Però manca la bandiera, manca lo stimolo. E’ morto don Dilani., Quando c’era lui i preti avevano grande slancio sociale nella difesa dell’uomo ad ogni costo. Adesso è mancato don Dilani. Sono mancati i profeti. Non c’è più la grinta della difesa dell’uomo fino al sacrificio della vita. E così successo un po’ nella nostra terra. Diana non era uno eccezionale: lo diciamo con franchezza. Era un bravo prete che lottava per il bene della gente. Era uno spiraglio profetico. E’ venuto a mancare e adesso c’è un senso di umiliazione; Un senso di cedimento di quelle che sono le energie morali sul nostro territorio”.




16.6.2001
http://www.lospettro.it/pagina151.htm








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