Un anno dopo: nessuno vede, nessuno sente
La mia famiglia ed io non dimenticheremo mai il 16 marzo del 2003, il giorno in cui perdemmo la nostra cara amica Rachel Corrie. Volontaria dell'International Solidarity Movement (ISM), Rachel viveva con noi a Rafah, come fosse un membro della nostra famiglia. Ci aiutava anche quando non ne avevamo bisogno. Cercava di portare ottimismo e felicità nelle nostre vite. Ogni mattina usciva con i suoi amici per affrontare i bulldozer dell'occupazione e per difendere le case dal loro distruttivo assalto. Ogni sera tornava a casa da noi, stanca, dopo un duro giorno di confronto. Il giorno del suo assassinio, ritornavo a casa dal lavoro, quando vidi che lei ed i suoi amici cercavano di impedire ai bulldozer di demolire la casa adiacente alla mia. Poi, i bulldozer cominciarono ad avvicinarsi alla mia abitazione, ed io fui sorpreso di vedere Rachel in piedi di fronte ad essi, con tutto il coraggio, la forza e la determinazione che possedeva. Piccola com'era, sembrava una montagna, risoluta di fronte a quelle macchine gigantesche. Affiancato da due carri armati, il bulldozer si avvicinò sempre di più alla mia casa e Rachel era sempre lì, in piedi, con un megafono in mano e ripeteva che non si sarebbe mossa. Il guidatore la vedeva chiaramente, tuttavia continuava la sua marcia. La sentivo urlare: "Stop, stop! Fermo così!". Si era identificata come membro dell'ISM, ma senza esiti. Lei cominciò ad urlare a pieni polmoni, ma il guidatore si avvicinava sempre più. Vidi con chiarezza che l'aveva quasi raggiunta. All'improvviso, le gettò addosso un mucchio di sabbia, Rachel perse l'equilibrio e cadde. Allora non la vidi più, nonostante fosse a non più di 10 metri da me. All'improvviso cominciai a gridare, con la percezione di averla persa come tanti palestinesi prima di lei. Chiamai i paramedici e fece inviare un'ambulanza immediatamente. Prestai io stesso, nell'ambulanza i primi soccorsi per cercare di salvarla. Gli amici dell'ISM le erano attorno, avevamo rimosso assieme la sabbia dal suo corpo ed assieme l'avevamo adagiata nell'ambulanza che la trasportò all'ospedale. Dal primo momento, sapevo che le sue condizioni erano disperate. Ero con i suoi amici, Alice e Tom, quando un team medico di sette persone smise di cercare di riportarla in vita. Ora non ci sono più internazionali con noi a Rafah, questa isolata città al confine con l'Egitto. Gli ultimi hanno rinnovato i visti, intendendo tornare, ma l'esercito israeliano ha loro impedito il re-ingresso a Gaza. Le difficoltà che la mia famiglia ed io abbiamo sperimentato continuano e sono peggiorate da quando gli internazionali sono andati via. Abbiamo perso la nostra casa subito dopo, come se l'esercito israeliano non aspettasse altro che la partenza dell'ISM. Per ciò che riguarda Rachel ed il messaggio che ella ha lasciato a noi ed al mondo, posso dire solo che lei era alla ricerca della verità. Aveva dedicato a questo la sua vita. Aveva convogliato la verità così come essa la sperimentava, riportando i crimini dell'esercito israeliano contro gli innocenti civili palestinesi. La mano dell'occupazione l' ha uccisa a sangue freddo come per dirci: "Vi negherò anche la vostra voce di denuncia". Non siamo al sicuro finché non vi siano voci che raggiungano l'esterno. Chiedo ai nostri amici dell'ISM di ritornare. Rafah ha bisogno di voi. I carri armati entrano ed escono in totale libertà, uccidono e distruggono a piacimento. E, senza di voi, nessuno vede e nessuno sente. Non vi e' un solo giorno in cui la mia famiglia ed io non pensiamo a Rachel. Quando la sua famiglia e' giunta a Rafah per visitarci, ho detto loro che la perdita di Rachel aveva colpito la mia famiglia e l'intero popolo palestinese, non solo loro. Tutti l'abbiamo persa. Vediamo ancora quel bulldozer che ce l' ha portata via. Tutto ciò che posso fare e' parlare di lei, ma non posso darle giustizia.
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