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PeaceLink e Unimondo - Il comportamento prosociale contro ogni razzismo

Laura Tussi26 luglio 2017

Gli studi sul comportamento prosociale comprendono ricerche sull’altruismo, sul comportamento d’aiuto, di cooperazione e di riguardo verso gli altri; tutti comportamenti intesi come azioni volte al fine di proteggere, favorire o mantenere il benessere di un determinato soggetto sociale. Implicito in tale descrizione è un ulteriore uso del termine “prosociale” inteso come capacità cognitiva nei confronti dell’altro: tendenza, cioè, a percepire i bisogni dell’altro, ad assumerne le prospettive, a viverne le emozioni e a reagire emotivamente in congruenza con la situazione.

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La categoria “prosociale” può quindi essere applicata non soltanto a comportamenti singoli, ma anche a forme stabili di relazione nel contesto sociale. E’ apparso subito chiaro agli studiosi che hanno tentato in tempi recenti dei lavori di sintesi sui molti contributi della letteratura in proposito, che con il termine “prosociale” si coprono praticamente tutti i comportamenti che non siano di antagonismo, o di danneggiamento, aggressivi o distruttivi addirittura. E’ alla luce di questa considerazione che Staub preferisce chiamare il comportamento prosociale: comportamento sociale positivo. Inoltre la vastità del campo di studio rende praticamente impossibile trovare delle variabili che non siano, più o meno direttamente correlate al fenomeno prosociale. Come osserva Reykowski, il comportamento prosociale, in quanto forma di comportamento sociale, è controllato da un complesso sistema regolatore nel quale l’intervento di qualsiasi fattore che possa mutare lo stato del sistema può influenzare le sue funzioni regolatrici, compreso, quindi, il comportamento prosociale (Reykowski, 1982).

L’insegnamento delle tecniche mediative, in forma prettamente esperienziale, contribuisce al generarsi di una cultura della mediazione che possa intendersi come spazio per comprendere le ragioni dell’altro e mettersi nei panni dell’altro in termini cognitivi ed emotivi. Il comportamento prosociale può essere sollecitato da fattori interni e in particolare dall’empatia come elemento motivante. L’empatia ha un ruolo centrale nel comportamento prosociale in quanto precursore e segnale della capacità di percepire e sentire i bisogni e le esigenze altrui.

L’empatia come “capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri”, con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e la buona qualità della relazione di aiuto. Numerose ricerche hanno trovato proprio nell’empatia uno dei fattori motivazionali più importanti del comportamento prosociale. Batson sostiene che c’è uno stretto collegamento tra empatia e altruismo. Evitare l’empatia porta al disinteresse per i bisogni degli altri. Esiste un’empatia centrata sull’altro e un’empatia focalizzata su se stessi. Si richiede uno sviluppo notevole della propria capacità cognitiva ed un esame accurato di quella persona in difficoltà che rifiuta l’aiuto, perché lo considera  come una minaccia alla propria autostima, specie quando non è nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un segno di inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da qualcuno definito “prosociale” o anche comportamento di aiuto. Due studiosi, Latané e Darley, descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione personale; realizzare l’azione. Uno dei principali fattori di sviluppo della psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si possa gradualmente identificare. Nell’aiutare il prossimo, si ricevono dei benefici a livello oltre che morale e/o materiale, anche fisico.

L’importanza della reciprocità nelle relazioni altruistiche è notevole. La professionalità del terapeuta consiste anche nel ricordare che lo scopo dell’empatia è comprendere il paziente per poterlo aiutare. Ralph Greenson afferma: "Essenziale per lo sviluppo della capacità ottimale di provare empatia, pare la capacità del terapeuta di essere allo stesso tempo distaccato e coinvolto, osservatore e partecipe, oggettivo e soggettivo nei confronti del paziente. Soprattutto il terapeuta deve consentire che avvengano oscillazioni e passaggi tra questi due tipi di posizioni. Freud descrisse l’attenzione sospesa, liberamente fluttuante, che si richiede all’analista".

Secondo Hoffman l’empatia è intesa come un’attivazione affettiva o una risposta affettiva vicaria più appropriata di un’altra alla situazione dell’altro. Secondo Eisenberg l’empatia viene definita come percezione del bisogno dell’altro che implica comprensione e simpatia.  Essa si differenzia da altri tipi di emozione. Il contagio emotivo, frequente nei bambini, consiste nel sentire la stessa emozione dell’altro e nel rifletterla; non è una risposta cognitiva e può presentarsi in bambini molto piccoli che non differenziano chiaramente tra il proprio e altrui disagio. La simpatia o comprensione dei sentimenti altrui:  quando si risponde all’emozione altrui con un’emozione che non è identica ma congrua: è una preoccupazione simpatetica orientata verso l’altro, che potrebbe motivare l’azione altruistica. Preoccupazione  personale: questo è un sentimento negativo, che nasce in risposta al disagio altrui.

Hoffman si distanzia dalla tesi psicoanalitica classica che vede l’altruismo come una forma di egoismo, ma sottolinea la natura impulsiva e istintiva delle risposte altruistiche, che emergono indipendentemente dal perseguimento di scopi egoistici e sono sostenute da emozioni e sentimenti empatici. Con il progredire dell’età, le risposte empatiche si arricchiscono di altri significati, oltre a riconoscere le emozioni e a reagirvi istintivamente:  sul piano dello sviluppo cognitivo identificare e comprendere  il significato delle emozioni altrui costituisce un’abilità complessa e discriminativa, che implica il superamento dell’egocentrismo. Solo se i soggetti sono in grado di differenziare il proprio stato emotivo da quello di un altro, possono sviluppare sentimenti di compassione e compartecipazione emotiva, capaci di sollecitare tentativi di aiuto adeguati ad alleviare lo stato di bisogno  altrui.

Laura Tussi

Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui PressenzaPeacelinkIldialogoUnimondoAgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.

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