Palestina

COLTIVARE LA PACE

In vino spes. La cantina Cremisan, ponte tra Gerusalemme e Betlemme

30 giugno 2010
Maria Chiara Rioli

I vigneti intorno a Cremisan BETLEMME. «Mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto», invita nella Bibbia l'autore del Qohelet. A Betlemme, la casa del pane, secondo l'etimologia del nome ebraico, c'è chi impasta farina e pigia grappoli e olive. Accade che quelle mani e piedi abbiano anche accento italiano: è il caso di Cremisan, località tra Betlemme e Gerusalemme, dei suoi vini e olii ottenuti dall'impegno dei padri salesiani, la Congregazione fondata da don Bosco, insieme a cooperanti dell'ong VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) e a coltivatori palestinesi.
Il lavoro in Terra santa non scorre solo al ritmo dei giorni e delle stagioni, ma anche secondo le ordinanze militari che decidono il passaggio dei beni attraverso i checkpoint e quali campi saranno percorsi dal Muro, lungo la manciata di chilometri tra Betlemme e Gerusalemme. Continua ancora oggi infatti la costruzione della barriera che tratteggia e frammenta i confini di uno stato che non c'è: i Territori palestinesi. Il Muro, voluto nel 2002 dall'allora primo ministro Ariel Sharon per contrastare gli attentati suicidi in Israele, spezza paesi e famiglie, ma anche oliveti e vigneti e quindi attività economiche. 
Nell'area tra Betlemme e Gerusalemme, s'incontra Cremisan: qui da 125 anni anni c'è chi unisce passione e competenza per dare un sapore di pace a una terra in cui da decenni non scorre latte e miele, ma violenza e divisione.

VIN «SANTO». Immerso nella collina, all'ombra di ulivi secolari e di una grande pineta, Cremisan ha una storia più antica del conflitto israelo-palestinese. Nel 1863 don Antonio Belloni, sacerdote ligure missionario in Terra santa, inizia la sua opera di cura e aiuto di ragazzi orfani a Beit Jala, nell'area di Betlemme. Don Antonio riesce ad acquistare quattro grandi terreni a Betlemme, Beit Jemal, Cremisan e Nazareth. Sono gli anni in cui cresce nel mondo la presenza della famiglia religiosa fondata da don Bosco e dedicata ai giovani. Don Belloni ne approfondisce il carisma e decide di diventare salesiano, donando alla congregazione anche le terre in cui aveva cominciato la sua opera.
A fine Ottocento a Cremisan viene aperto un centro di formazione che nel 1957 diverrà istituto teologico internazionale, attivo fino al 2004. Ma oltre alla cultura, don Belloni ha distillato anche vino, creando una cantina e iniziando la produzione vinicola. Una scommessa che potrebbe sembrare azzardata in una terra a larga componente islamica. Il progetto, invece, ha richiamato in questo secolo esperti e coltivatori locali e internazionali, permettendo di dare lavoro a numerose famiglie. Lo spiega don Luciano Nordera, sacerdote veneto che da 24 anni vive e lavora a Cremisan: «Perché in un centro di spiritualità c’è una cantina? Don Belloni stesso l'ha fondata nel 1885, nelle grotte naturali della zona, e dopo quattro anni la trasferì dov’è oggi. Essa doveva finanziare la costruzione della casa di Cremisan e dar lavoro ai palestinesi, aspetto sociale sempre mantenuto. A Betlemme il sacerdote costruì anche un forno che ancora oggi garantisce ogni giorno il pane a famiglie in difficoltà».
«All'interno della cantina», continua don Luciano, «lavorano in modo stabile circa 25 operai cristiani e musulmani. Altre 25 famiglie collaborano nelle fasi di realizzazione di grandi progetti, come il terrazzamento di nuovi vigneti, la raccolta della nostra uva, delle olive e la rivendita del vino».

NEL MONDO. «Lavoratori qualificati, ottimi vitigni, selezione accurata dell'uva» sono i tre segreti con cui don Luciano spiega la qualità dei vini Cremisan, che alla base hanno la scelta di una «coltivazione biologica, non chimica». La selezione dei vitigni Hamdàni-Jàndali, Daboùki e Bàladi e il lavoro dell'enologo Andrea Bonini e dell'agronomo Roberto Paglierini, insiema ai coltivatori locali, hanno prodotto ottime annate di vini e creato una rete di distribuzione internazionale. Attraverso il sostegno del VIS, della provincia di Trento e di vari sponsor, alcuni giovani palestinesi hanno studiato nuove tecniche di coltivazione nelle cantine di san Michele all'Adige. I vini bianchi e rossi, da tavola e da dessert (David’s Tower, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Malvasia), insieme al brandy e al succo d'uva – a Cremisan si producono anche olio d'oliva, aceto, noci e mandorle –  sono stati presentati con successo all'ultima edizione di Vinitaly nel mese di aprile.

IL FUTURO. Grazie alla Cooperazione Italiana e all’Associazione tedesca per la Terra Santa sono stati fatti grandi lavori di terrazzamento, che devono ancora essere completati. Tra i progetti in cantiere, la sostituzione delle attrezzature ormai obsolete.
Cremisan non è però un'oasi nel deserto: il monastero è collocato all'interno della Green Line, i confini dei Territori palestinesi stabiliti dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967. L'area è però stata annessa giuridicamente alla municipalità israeliana di Gerusalemme. Nel mese di marzo l'esercito ha avviato la costruzione del Muro nella zona di Beit Jala, lambendo i vigneti di Cremisan e centinaia di ettari dell'area.
Un comitato popolare che riunisce centinaia di palestinesi, israeliani e attivisti internazionali organizza ogni settimana manifestazioni nel vicino villaggio di al-Walaja, di fronte ai bulldozer al lavoro. Le proteste internazionali potrebbero spingere Israele a modificare il tracciato del Muro nell'area. Affinché la prossima vendemmia non sia l'ultima.

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