Schede

Il 26 maggio 2004 il New York Times riconobbe i propri errori pubblicando un articolo

Le presunte armi di distruzione di massa di Saddam in Iraq

Giornali come il New York Times, fino al 2003 ostili alla guerra, finirono per accettare come veritiere le affermazioni di Powell e per considerare ineluttabile l'intervento armato. A guerra terminata non fu trovata alcuna traccia di quelle fantomatiche armi.
16 novembre 2023

2004 - Il New York Times pubblica una ammissione di errore giornalistico, riconoscendo la parzialità dei suoi reportage e la mancanza di scetticismo verso le fonti, relativamente alle rivelazioni sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Queste armi costituirono la cosiddetta "pistola fumante", addotta da Bush per promuovere la Guerra in Iraq del 2003. (In fondo potrai vedere un interessante documentario di Michael Moore in due parti in cui fa luce du alcune "verità nascoste" relative alla guerra in Iraq)
Il 2 febbraio 2003 il Segretario di Stato americano Colin Powell aveva presentato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU fotografie satellitari di installazioni mobili di armi biologiche e conversazioni fra esponenti iracheni intercettate dai servizi di sicurezza che volevano dimostrare che Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzione di massa e che nulla era la sua volontà di distruggerle.
In quella occasione Powell aveva sottolineato: "Saddam ha scorte per armare almeno 16.000 testate con agenti chimici o biologici. Saddam infatti ha almeno da 100 a 500 tonnellate di armi chimiche. L'Iraq ha già testato le armi chimiche sulle persone. Ha utilizzato dei condannati a morte come cavie".
"Sono almeno 7 e non più di 18 i laboratori chimici mobili di Saddam. L'Iraq non ha giustificato neanche un cucchiaio dell'antrace che ha prodotto" aveva spiegato successivamente Powell e, mostrando una boccettina da un grammo di antrace, aveva aggiunto che sarebbe bastato a fare una strage nel Senato degli Stati Uniti.
Il Segretario di Stato Usa, mostrando poi le foto di rampe missilistiche, aveva affermato "L'Iraq ha un programma per la costruzione di missili a lunga gittata", aggiungendo quindi che l'Iraq stava sperimentando un missile con una gittata di 1200 chilometri capace di colpire obiettivi in Egitto, Russia e Arabia Saudita. A suo dire, Baghdad possedeva già un missile con una gittata di 900 chilometri.
Infine Powell aveva ricordato che Saddam voleva costruire a qualunque costo un'arma atomica. Aveva detto "Saddam vuole la bomba atomica. E si è procurato due dei tre elementi chiave per costruirla", precisando che Baghdad aveva cercato di procurarsi materiale fissile, nel 1990 e nel 2000 e magneti per la produzione di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. I tubi di alluminio che Baghdad aveva acquisito potevano essere inoltre usati allo stesso scopo, per produrre il materiale fissile necessario ad alimentare una bomba.
In realtà quelle prove erano molto esili e gli indizi frammentari e poco affidabili; la sua tesi fu accolta freddamente e i suoi argomenti furono considerati molto deboli.
Il braccio di ferro con l'ONU fu accompagnato da manifestazioni di protesta in gran parte del mondo, notevoli sia per la grande partecipazione che per la loro estensione geografica. Ma gli effetti pratici furono irrilevanti; infatti esse non scalfirono la determinazione dell'amministrazione statunitense (il cui elettorato era in maggioranza favorevole alla guerra) e non riuscirono neppure a porre una pressione sufficiente su governi (come quello italiano e spagnolo) che appoggiavano l'invasione a dispetto dell'opposizione da parte delle rispettive opinioni pubbliche. E anche giornali come il New York Times, fino ad allora ostili alla guerra, finirono per accettare come veritiere le affermazioni di Powell e per considerare ineluttabile l'intervento armato. Salvo poi fare un autocritica ad un anno di distanza, dopo che a guerra terminata non era stata trovata alcuna traccia di quelle fantomatiche armi.

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